Cascina Spiotta, ennesimo colpo di scena: riappare il bossolo che prova l’esecuzione di Mara Cagol

C’è un bossolo fantasma, trovato e poi inspiegabilmente scomparso, tra le carte del nuovo processo che si è aperto davanti la corte di assise di Alessandria per la sparatoria del 5 giugno 1975 alla cascina Spiotta, in località Arzello di Acqui Terme. Si tratta di «un bossolo calibro 9, fabbricazione 70, appartenente ad un proiettile in dotazione dei Carabinieri: Beretta cal. 9», che può riscrivere per intero le circostanze della uccisione di Margherita Cagol, una delle fondatrici delle Brigate rosse, avvenuta quella mattina sulla collinetta antistante la cascina.
La nuova perlustrazione del 20 giugno
Il reperto è «rinvenuto nei pressi del luogo ove giaceva il cadavere della Cagol Margherita», così recita il verbale di ritrovamento stilato il 20 giugno 1975, ovvero 15 giorni dopo il conflitto a fuoco che oppose i due brigatisti che trattenevano Vallarino Gancia, sequestrato il giorno precedente dalla colonna torinese delle Brigate rosse, e una pattuglia dei carabinieri giunta sul posto per ispezionare il casolare. Il 20 giugno il procuratore della repubblica Lino Datovo si recò nuovamente sul posto per procedere all’esame del terreno circostante la cascina alla ricerca di eventuali reperti non ritrovati in precedenza. Colpiscono le due settimane di distanza che separano la nuova ispezione giudiziale dal momento della sparatoria e delle successive indagini e rilievi condotti davanti e dentro il casolare. Le autopsie dei corpi di Margherita Cagol e del carabiniere Giovanni D’Alfonso erano avvenute il 6 e l’11 giugno precedente. Già il 12 giugno i reperti balistici rinvenuti, le armi sequestrate ai due brigatisti, alcuni bossoli, proiettili e frammenti di proiettile e delle bombe Srcm lanciate, erano stati inviati al perito designato dalla procura per gli esami e le comparazioni di rito. Forse erano sorti dei dubbi e quali?
I bossoli esplosi dall’appuntato D’Alfonso
Almeno due carabinieri avevano testimoniato di aver sparato, ma nessun bossolo esploso dalle loro pistole era stato repertato. Il maresciallo Rosario Cattafi ha raccontato di aver tirato almeno due colpi contro la finestra dove si era affacciata Cagol, immediatamente dopo il lancio della prima Srcm, una bomba a mano di origine italiana dalle caratteristiche poco letali (concepita soprattutto per disorientare il nemico, l’effetto è quello di un grosso petardo), in direzione del tenente Umberto Rocca da parte del giovane sportosi dall’entrata della cascina, ma nessun bossolo risulta rinvenuto nella zona antistante. Dopo aver sparato Cattafi corse in aiuto di Rocca col gomito tranciato dalla esplosione dell’ordigno per trascinarlo via.
L’appuntato Pietro Barberis, l’altro carabiniere rimasto di copertura sulla stradina di accesso alla cascina, affermò di aver scaricato l’intero caricatore contro la donna in due momenti diversi e successivamente contro l’uomo in fuga tra i cespugli del bosco sottostante, ma nessun bossolo è mai stato segnalato. Del terzo carabiniere, l’appuntato D’Alfonso, si erano ritrovati accanto al luogo dove era rimasto gravemente ferito cinque bossoli esplosi da un’arma in dotazione ai carabinieri. Stranamente il procuratore non aveva chiesto di effettuare comparazioni con le pistole dei militi operanti, ma soltanto con le armi attribuite ai due brigatisti. Sarà la logica a ricondurre i cinque bossoli calibro nove corto (in dotazione ai carabinieri), insieme al fatto che dalla sua arma erano stati esplosi gran parte dei colpi, ad attribuirgli quei bossoli. Parlare di una indagine lacunosa è dire poco.
Il ritrovamento del bossolo che uccise Cagol
Alle 12,30 di quel 20 giugno le operazioni, ancora senza esito, vennero sospese per riprendere alle 17 con l’assistenza del capitano dei carabinieri Giampaolo Sechi, in forza al nucleo speciale di polizia giudiziaria sotto il comando del generale Dalla Chiesa e del carabiniere Renzo Colonna che disponeva di un apparecchio rivelatore di metalli. L’ispezione veniva nuovamente interrotta a causa di un violento temporale per riprendere verso le 19. È in quel momento che accanto al luogo dove era stato ritrovato il cadavere di Margherita Cagol viene rinvenuto il bossolo calibro 9 in dotazione ai carabinieri. Tuttavia a causa della fangosità del terreno e dello scarso rendimento dell’apparecchio rivelatore, «in siffatte condizioni», le operazioni vengono sospese alle 19,30 e rinviate alle 16,00 del 23 giugno successivo. Il proiettile rinvenuto non arriverà mai sul tavolo del perito, da quel momento scompare dalle indagini. Perché?
Il tiro a segno contro Cagol e la sua esecuzione
Eppure la posizione del bossolo associato ai risultati della perizia autoptica sul corpo della Cagol ci rivelano le modalità della sua morte: uccisa da un colpo tirato a breve distanza quando aveva le braccia alzate in segno di resa. Una ricostruzione che coincide con il racconto fatto nel memoriale scritto tempo dopo da Lauro Azzolini che in aula ha confermato di aver visto per l’ultima volta «Mara» ancora viva, ferita a un braccio, seduta a terra con le mani levate in aria in segno di resa.
Quel bossolo scomparso e l’autopsia condotta dal professor La Cavera dicono chiaramente che Cagol subì un’esecuzione con un colpo singolo esploso a distanza molto ravvicinata sotto l’ascella sinistra con uscita su quella destra, «con andamento pressoché orizzontale lievemente dall’avanti all’indietro» e morte pressoché istantanea.
Dinamica che smentisce la ricostruzione ufficiale fornita dall’appuntato Barberis che disse di aver ucciso la donna sparandole a distanza di almeno dieci-quindici metri, mentre si gettava in avanti per ripararsi dal terzo lancio di una Srcm da parte dell’altro brigatista che era accanto a Cagol. Il colpo mortale è tirato da sinistra mentre Barberis, che sostiene di essersi spostato verso la cascina per riarmare la sua pistola, a quel punto era posizionato sul lato destro della donna, più in alto. Il colpo mortale è tirato a distanza di qualche minuto dai precedenti: il primo esploso con tutta probabilità dall’appuntato D’Alfonso, il secondo dall’appuntato Barberis che centra due volte la 128 dove era salita Cagol: prima sul pneumatico e poi sullo sportello anteriore destro, all’altezza della maniglia. Il proiettile trapassa la carrozzeria e colpisce l’avambraccio destro della donna che urta il cambio ritrovato macchiato insieme al coprisedile da tracce di sangue. Cagol esce dalla macchina con le mani alzate, la sua arma, una Browing 7,65 verrà ritrovata accanto allo sportello completamente scarica.
Il duello con l’appuntato D’Alfonso
Cagol e D’Alfonso si affrontarono all’altezza del porticato situato sul lato destro dell’edificio dove erano diretti i brigatisti in fuga per raggiungere le macchine. L’appuntato che stava sbirciando nelle auto in sosta era rimasto leggermente ferito a una coscia da una piccola scheggia metallica proveniente dalla seconda Srcm tirata a casaccio da Azzolini. Prova a impedire la fuga dei due sorprendendo la donna alle spalle. Il suo colpo ferisce superficialmente Cagol sul dorso, senza penetrare «nella regione destra all’altezza della decima costola» (zona del rene). La donna voltandosi reagisce colpendolo una prima volta alla spalla destra. Il proiettile trapassante si fermerà nel cavo toracico. La perizia darà conferma che era stato esploso dalla Browing della Cagol. Un colpo che secondo il perito non impedisce a D’Alfonso di rispondere al fuoco. Lo scambio ravvicinato tra i due è drammatico e si conclude con un altro colpo che centra D’Alfonso alla testa, ferendolo gravemente. Morirà sei giorni dopo. La perizia stabilirà che «entrambi i colpi sonno stati esplosi da distanza ravvicinata: nell’ordine di pochi metri».
Chi ha ucciso Cagol?
Un contadino del posto, Bruno Pagliano, che stava lavorando la terra in un terreno confinante dopo gli spari si avvicinò alla cascina. Riuscì a vedere il corpo agonizzante di Margherita Cagol prima di essere bruscamente allontanato da un carabiniere armato di mitra. Si trattava di uno dei membri della pattuglia chiamata in rinforzo da Barberis. La sua è una testimonianza importante poiché fotografa la situazione negli ultimi momenti di vita della Cagol. Sul posto c’erano cinque carabinieri della stazione di Aqui Terme: Cattafi e Barberis, D’Alfonso ferito a terra mentre Rocca era stato portato in ospedale, e i sopraggiunti Lucio Prati e Stefano Regina. Oggi nessuno di loro è più in vita. Fantasmi come il proiettile scomparso.
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