Chains of Freedom Recensione


Con il suo gameplay, che a prima vista basterebbe a etichettarlo come un classico clone di XCOM e una componente di gestione di risorse e munizioni più tipica invece di un survival, Chains of Freedom è certamente un salto nel buio per Nordcurrent, studio di sviluppo attivo principalmente in ambito mobile. Vediamo come se l'è cavata.
Chains of Freedom Recensione
Chains of Freedom è ambientato in un mondo post-apocalittico, nel quale un meteorite ha portato sulla Terra una sostanza aliena di forma cristallina, l'Eden, in grado di corrompere e mutare irrimediabilmente qualsiasi cosa con cui entri in contatto, trasformando uomini e animali in spietati e orribili mostri. Le prime fasi di Chains of Freedom sono concitate, dal momento che il prologo inizia in medias res, con poco tempo per avere spiegazioni più dettagliate sul mondo o sui personaggi; controlliamo infatti una squadra d'elite della Sovranità, un organismo statale che è riuscito a mantenere l'ordine nel mondo ed è governato dal misterioso Sovrano, una misteriosa entità oggetto di lealtà e devozione indiscusse. Il nostro obiettivo è eliminare il Dottor Svetlov, uno scienziato ribelle che ha sviluppato un siero in grado di fare il lavaggio del cervello ai malcapitati che ne subiscano gli effetti, trasformandoli in nemici del Sovrano. L'elicottero su cui viaggia la nostra squadra viene però abbattuto in una zona contaminata, trasformando una semplice missione in un lungo viaggio che metterà a dura prova i protagonisti e le loro convinzioni. [caption id="attachment_1093886" align="alignnone" width="1200"]
Un sistema di combattimento poco originale ma ben riuscito
Partiamo dall'inizio: per il 90% del gioco Chains of Freedom è un RPG tattico che prende forte ispirazione da XCOM, sia dal punto di vista di ambientazione e trama che da quello dei combattimenti, a turni e con un sistema di coperture che riducono la possibilità di colpire ed essere colpiti. Le similarità però, per quanto immediatamente visibili e rilevanti a livello di gameplay ed esperienza di gioco in generale, finiscono qui. Anzi, il solo sistema di combattimento è reso più immediato ma non necessariamente meno profondo, da due grosse differenze. La prima è la funzione dei punti azione, distribuiti individualmente a inizio turno tra i vari personaggi, sulla base del loro equipaggiamento; essi permettono di compiere le varie azioni possibili, come muoversi, sparare, ricaricare, o usare oggetti, siano essi di supporto oppure offensivi, e non possono essere mantenuti tra un turno e l'altro, a parte in rare occasioni. Ciascuna di queste azioni ha un costo e spesso un cooldown, che però non è presente in quelle basilari come muoversi o ricaricare; questo significa che è assolutamente possibile, e quasi sempre consigliato, riposizionarsi dopo aver aperto il fuoco, a patto di avere ancora punti azione, rendendo i combattimenti molto movimentati, sia per la nostra squadra che per i nemici. Questa libertà di movimento è amplificata e rafforzata dall'assenza sia di attacchi di opportunità in corpo a corpo che della classica "overwatch" a distanza, limitata in realtà ad un singolo membro della nostra squadra e a una specifica classe di nemici, ma potenziata dalla capacità di interrompere immediatamente il turno di chi venga colpito. Questa immediatezza del gameplay, unita alle numerosissime possibilità di personalizzazione del loadout dei personaggi, tra cristalli alieni equipaggiabili (fino a cinque per personaggio) che conferiscono abilità attive e passive e un'ottima varietà di armi liberamente scambiabili tra i personaggi anche in combattimento, a patto di consumare punti azione, contribuiscono a formare un sistema di combattimento certamente riuscito, ma forse più permissivo rispetto ad altri esponenti del genere. [caption id="attachment_1093888" align="alignnone" width="1200"]
Le munizioni non sono importanti, finché non finiscono.
Benché un sistema di combattimento più permissivo potrebbe effettivamente essere indicatore di un titolo più semplice, la realtà è ben diversa, per fortuna e sfortuna del giocatore. C'è qualcosa infatti che Chains of Freedom cerca disperatamente di carpire da XCOM, e che riesce a fare, quantomeno alla difficoltà più alta. Si tratta di quella tensione continua che il giocatore si porta avanti dal primo combattimento del gioco all'ultimo proiettile sparato al boss finale, una tensione che limita a pochissimi secondi persino la gioia della vittoria in uno scontro difficile, e che si presenta sempre con la stessa domanda: riuscirò a vincere anche la prossima? Mentre XCOM causa questa tensione con un sofisticatissimo sistema di gestione di risorse, calendario, personaggi e armamenti, lasciando oltretutto al giocatore la scelta delle missioni, Chains of Freedom semplifica enormemente questo componente, riuscendo ad ottenere un'effeto comparabile grazie alla sola gestione delle risorse. I livelli sono infatti lineari e i combattimenti per la maggior parte obbligatori, a parte alcune limitatissime sezioni di stealth poco realistiche e pressoché inutili, ma questa linearità è anche ciò che rende così critica la gestione delle risorse. Il loop di Chains of Freedom è infatti semplicissimo. Il combattimento comincia in automatico una volta raggiunte zone specifiche, si spara, si consumano munizioni (limitatissime per tutte le armi, principali e secondarie), medikit, granate e quant'altro, poi si fa il giro del campo di battaglia e delle zone adiacenti raccattando tutto ciò che non è inchiodato per terra, prima di avviarsi mestamente alla battaglia successiva, quasi sempre messi peggio di prima. Le risorse trovate rientrano in due categorie. Quelle immediatamente utilizzabili, come appunto, medikit, granate o munizioni di una determinata tipologia, ad esempio per fucile a pompa o cecchino, e quelle invece di base, come sostanze chimiche, polvere da sparo, bende, che possono essere tramutate in prodotti finiti tramite un menù di crafting sempre accessibile fuori dal combattimento. Questo sistema, insieme a uno stretto limite di turni per ogni battaglia che obbliga a giocare in maniera estremamente offensiva, concede un buon livello di strategia, dal momento che costringe a mantenere un equilibrio tra l'utilizzo di ciò che si trova pronto con ciò che viene craftato. Possiamo infatti apprezzare molto il fucile a pompa, ma il suo prolungato utilizzo porterà all'esaurimento sia dei suoi proiettili che delle risorse per crearli, causando a cascata l'impossibilità di craftare altri oggetti essenziali come molotov o medikit. Forse sarebbe meglio lasciare perdere il fucile a pompa per qualche battaglia e mettere a frutto quei dardi per balestra che abbiamo nello zaino, almeno finchè abbiamo ancora la possibilità di scegliere? Ciò che riesce meglio a Chains of Freedom è proprio questo: lasciare perennemente il dubbio che sì, la battaglia è vinta, il capitolo magari è finito, ma era davvero necessario usare quel colpo di mortaio, quella granata curativa, quel proiettile di railgun? Potrebbe essere proprio quello a salvarmi contro il boss finale, tra ore e ore? Non lo sapremo fino ai titoli di coda. [caption id="attachment_1093887" align="alignnone" width="1200"]
Conclusione
Chains of Freedom è un titolo che ha indubbiamente difetti in grado di tenerlo lontano dall'eccellenza del genere; allo stesso tempo però ha quel qualcosa che manca a veramente troppi giochi, la capacità di far valutare al giocatore ogni singola mossa con la massima attenzione, e di far effettivamente pesare gli errori. A volte troppo. Chains of Freedom è disponibile per PlayStation 4, PlayStation 5, Xbox Series X|S e PC. Se sei interessato all'acquisto del gioco, puoi farlo seguendo questo link su Steam!L'articolo Chains of Freedom Recensione proviene da GameSource.
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