Come la decarbonizzazione può rafforzare la sicurezza energetica globale

Un futuro senza combustibili fossili potrebbe rendere il mondo più sicuro, almeno dal punto di vista energetico. Secondo uno studio pubblicato su Nature Climate Change, un passaggio dalle fonti fossili alle tecnologie pulite entro il 2060 migliorerebbe sensibilmente la sicurezza energetica e ridurrebbe i rischi commerciali per la maggior parte dei Paesi.
Il lavoro, coordinato da un team della Stanford Doerr School of Sustainability, ha preso in esame oltre mille scenari possibili di transizione energetica modellati dall’Ipcc (gruppo intergovernativo sul cambiamento climatico), confrontando i rischi legati all’uso di combustibili fossili con quelli delle nuove filiere legate alle energie rinnovabili.
«La maggior parte delle persone si concentra sulle novità che potrebbero rappresentare un problema, senza considerare i benefici per la sicurezza derivanti dall'abbandono dei combustibili fossili – ha dichiarato Steve Davis, autore principale dello studio e professore di Scienze del sistema terrestre presso Stanford – Per la maggior parte dei Paesi che in futuro si troveranno in un sistema a emissioni nette zero, bilanciare la ridotta dipendenza dai combustibili fossili importati con l'aumento della dipendenza da questi nuovi materiali rappresenta in realtà una vittoria per la sicurezza energetica».
Litio, nichel, cobalto, rame e terre rare sono le risorse strategiche su cui si fonderanno i futuri sistemi energetici. Diversamente dai combustibili fossili, la loro distribuzione geologica è concentrata soprattutto nel Sud globale, modificando così profondamente gli equilibri geopolitici.
Secondo i ricercatori, anche Paesi come gli Stati Uniti — pur detentori di vaste riserve fossili ma poveri di materiali critici — potrebbero aumentare la propria sicurezza energetica attraverso nuove alleanze commerciali. Dal 2020, gli Usa esportano più petrolio di quanto ne importino, ma continuano a dipendere da forniture esterne, specialmente da Canada, Messico, Arabia Saudita, Iraq e Colombia.
«Produrre elettricità con l'energia solare ed eolica richiederà più importazioni rispetto all'utilizzo delle abbondanti risorse di gas e carbone negli Stati Uniti, ma una minore dipendenza dal petrolio estero rappresenterà un grande vantaggio con l'elettrificazione dei trasporti», ha sottolineato Davis.
Al contrario, nazioni esportatrici di petrolio come Russia e Arabia Saudita rischiano di vedere peggiorare la propria sicurezza energetica, anche in scenari di espansione delle reti commerciali globali.
Il primo autore dello studio, Jing Cheng, ricercatore post-dottorato presso il Sustainable solutions lab di Stanford, ha costruito un ampio database comprendente riserve e scambi commerciali di combustibili fossili, uranio, biocarburanti e 16 minerali essenziali per la transizione verde. Il team ha poi elaborato un “indice di rischio commerciale” che tiene conto di fattori come la disponibilità di risorse nazionali, il valore economico delle importazioni, la concentrazione dei mercati e il grado di dipendenza dall’estero.
I risultati mostrano che, mantenendo le attuali reti commerciali, i rischi per la sicurezza energetica calerebbero in media del 19% nei futuri scenari a emissioni zero. Con una maggiore apertura agli scambi internazionali, il rischio si dimezzerebbe.
Una leva importante è anche il riciclo. Secondo lo studio, il quadruplicamento degli attuali tassi di riciclo di minerali come litio, nichel e indio ridurrebbe i rischi commerciali medi del 17%, e di oltre il 50% per gli Stati Uniti.
Un mix energetico statunitense ideale, secondo i modelli, dovrebbe comprendere circa il 70-75% di rinnovabili (solare, eolico e biomassa), il 15-20% di combustibili fossili e il 10% di nucleare. Un’evoluzione significativa rispetto alla situazione attuale, in cui l’83% del fabbisogno è coperto da fonti fossili.
«Tuttavia, il progresso delle tecnologie di produzione di energia solare fotovoltaica con fonti di silicio di qualità inferiore più ampiamente disponibili, o l'espansione delle reti commerciali con paesi ricchi di riserve di silicio e manganese, potrebbe rafforzare ulteriormente e in modo significativo la sicurezza energetica del Paese», ha spiegato Cheng.
La chiave, come sempre, resta la diversificazione. «Importare una grande frazione di ciò di cui si ha bisogno rappresenta una vulnerabilità. Se tutto proviene da un'unica controparte, il rischio che un disastro naturale o un conflitto geopolitico possa interrompere l'approvvigionamento è elevato - ha osservato Davis – È necessario diversificare le importazioni tra quante più fonti possibile».
Lo studio si chiude con una nota di ottimismo. «È in definitiva incoraggiante constatare che i rischi commerciali della maggior parte dei Paesi diminuiscono negli scenari net-zero – concludono gli autori – e che i maggiori miglioramenti si verificano spesso nei Paesi che riducono più drasticamente la loro dipendenza dai combustibili fossili».
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