Il caso delle giornaliste non truccate: ecco perché è un brutto segno di inciviltà (non delle stesse)

La notizia della morte di Papa Francesco ha scosso il mondo. Ma sono state alcune giornaliste, senza trucco, a far discutere. Possiamo considerarlo un campanello d’allarme culturale?
Ci sono momenti in cui l’unica cosa che dovrebbe contare è la notizia. Eppure, non sempre va così. La mattina del 21 aprile, alle 7:35, Papa Francesco si è spento. Una notizia enorme, che ha fatto il giro del mondo in pochi minuti, scuotendo credenti e non. Le immagini delle principali emittenti hanno mostrato volti tesi, voci rotte, occhi lucidi. I giornalisti, come sempre, sono stati in prima linea: dirette, aggiornamenti, collegamenti da piazza San Pietro.
Anche qui a Sfilate.it ci siamo trovati a seguire ogni passaggio. E ci ha colpito, più del dovuto, un dettaglio di contorno: l’attenzione rivolta non alla notizia, ma al volto di chi la raccontava. Più precisamente, ai volti di alcune giornaliste, criticate per essere apparse in video senza trucco. In un momento di lutto collettivo, è davvero questo ciò che merita di finire sotto la lente? Ma analizziamo bene i fatti.
Trucco o non trucco: perché la domanda è sbagliata
Invece di concentrarsi sul contenuto, sulla gravità del momento, una parte del pubblico ha deciso di spostare l’attenzione sull’aspetto estetico di chi lavorava per informare. Una reazione che fa riflettere. Perché se in un giorno del genere si riesce a parlare solo di make-up (o della sua assenza), forse il problema non sono le giornaliste. Forse è la nostra scala di priorità a scricchiolare.
Il clamore che si è sollevato attorno alle immagini di Valentina Bisti su Rai 1 e Cesara Buonamici su Canale 5 ha lasciato molti perplessi. Entrambe erano in diretta, visibilmente provate, senza trucco. Una scelta dettata, con ogni probabilità, dall’urgenza del momento. Eppure, il dibattito online non si è acceso per la portata storica della notizia, ma per l’assenza di fondotinta. È qui che nasce il vero cortocircuito. Possibile che il punto cruciale, in un momento così intenso, diventi l’aspetto estetico di chi racconta? E se fosse stato un giornalista con la barba incolta, qualcuno avrebbe commentato?
Sembrerebbe essere il solito doppio standard, quello che si infiltra silenzioso tra le righe e che pesa ancora troppo sul modo in cui giudichiamo la presenza femminile in tv. Il fatto che una professionista, in pieno svolgimento del suo lavoro, venga valutata prima per l’aspetto e solo dopo – forse – per la competenza, è un problema che ci portiamo dietro da troppo tempo. E se oggi salta fuori con forza, è solo perché la sproporzione tra la gravità della notizia e la leggerezza dei commenti è diventata difficile da ignorare.
Mentre qualcuno si soffermava su ciglia non piegate e visi stanchi, altri hanno spostato l’attenzione su un altro tipo di eccesso. Su Rai 1, durante Storie Italiane, Eleonora Daniele ha scelto una narrazione teatrale, costruendo un’anticipazione enfatica dell’annuncio. Anche qui le critiche non sono mancate. Alcuni hanno trovato fuori luogo quel tono così carico, come se fosse necessario aggiungere pathos a una notizia che, di per sé, non ne aveva alcun bisogno. Insomma, la morte di un Papa parla da sola.
Ecco allora che ci si muove su un crinale sottile. Da una parte c’è chi lavora in presa diretta, senza preoccuparsi dell’immagine. Dall’altra, chi carica tutto di emotività, forse per rispettare un copione televisivo, forse per scelta personale. In entrambi i casi, la reazione del pubblico ci dice qualcosa su come viene percepito il ruolo del giornalista oggi. Non basta più essere presenti, professionali, tempestivi. Bisogna anche aderire a un’idea estetica, a un codice di comportamento che spesso non ha nulla a che vedere con il mestiere dell’informazione.
Noi di Sfilate.it non vogliamo giudicare. Ma una domanda la poniamo: com’è possibile che, in una giornata in cui il mondo intero si è fermato per un evento storico, ci siamo ritrovati a discutere di eyeliner e pause drammatiche? Forse dovremmo chiederci cosa chiediamo davvero a chi ci informa. E soprattutto, perché certe aspettative le riserviamo sempre e solo alle donne.
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