Israele. Il paradosso delle forniture russe

Aprile 17, 2025 - 06:30
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Israele. Il paradosso delle forniture russe

di Giuseppe Gagliano

Un’indagine pubblicata il in questi giorni da The Insider ha squarciato il velo su una realtà tanto scomoda quanto paradossale: mentre il mondo occidentale si adopera per isolare la Russia attraverso sanzioni sempre più stringenti, diverse aziende israeliane continuano a fornire utensili per la lavorazione dei metalli ad alta precisione al settore della difesa di Mosca. Questi strumenti, essenziali per la produzione di sistemi d’arma avanzati come i missili S-400 e i caccia Su-35, rappresentano una linfa vitale per la macchina da guerra di Vladimir Putin, mettendo in discussione la coerenza delle alleanze geopolitiche e l’efficacia delle misure restrittive internazionali. In un mondo dove le linee di frattura tra blocchi sembrano sempre più nette, questo caso rivela le ambiguità di un sistema globale in cui gli interessi economici e strategici si intrecciano in modi imprevedibili.
Un flusso nascosto di tecnologia
Secondo The Insider, nel corso del 2024 utensili per la lavorazione dei metalli ad alta precisione, valutati oltre 10 milioni di dollari, sono stati esportati da Israele alla Russia. Si tratta di strumenti CNC (Computer Numerical Control), utilizzati per la fabbricazione di componenti complessi in leghe metalliche avanzate, indispensabili per l’industria aerospaziale e della difesa. Questi utensili, prodotti da aziende israeliane di nicchia, alcune delle quali, come ISCAR, parte del colosso Berkshire Hathaway, sono stati acquistati da società russe legate al complesso militare-industriale, tra cui quelle coinvolte nella produzione dei sistemi antiaerei S-400 e dei jet da combattimento Su-35. La notizia è tanto più grave perché arriva in un contesto di sanzioni occidentali, in vigore dal 2022, che mirano a soffocare l’accesso della Russia a tecnologie avanzate per indebolirne le capacità belliche.
Le forniture non avvengono alla luce del sole. The Insider descrive un sistema di transazioni opache, spesso mascherate come scambi commerciali legittimi, facilitate da intermediari e uomini d’affari con interessi in entrambi i paesi. Questi canali, che aggirano i controlli internazionali, sfruttano la natura dual-use degli utensili: ufficialmente destinati a scopi civili, come la produzione industriale, finiscono invece per alimentare la filiera della difesa russa. La Russia, infatti, dipende ancora fortemente da tecnologie straniere per la sua industria militare. Nonostante gli sforzi di Putin per sviluppare un’autarchia tecnologica, i limiti della produzione interna, specialmente nella microelettronica e nella lavorazione di precisione, rendono indispensabili forniture esterne.
Non è la prima volta che Israele si trova al centro di controversie per la vendita di tecnologie sensibili alla Russia. Già nel 2010, Tel Aviv forniva droni Searcher MkII e Bird Eye 400 a Mosca, e l’anno successivo Israel Aerospace Industries (IAI) concedeva una licenza per la loro produzione locale. Questi accordi, interrotti ufficialmente dopo il 2022 a seguito delle pressioni internazionali, hanno lasciato una rete di contatti e interessi che sembra persistere. Secondo The Insider, alcuni imprenditori israeliani con legami in Russia garantiscono “un elevato livello di riservatezza” per continuare le forniture, sfruttando scappatoie nelle normative sulle esportazioni.
Questo schema rivela una verità scomoda: le sanzioni, per quanto severe, non sono impenetrabili. La Russia ha dimostrato una straordinaria capacità di adattamento, procurandosi componenti essenziali attraverso paesi terzi o mercati paralleli. Nel caso di Israele, la situazione è aggravata dal fatto che si tratta di un alleato chiave degli Stati Uniti, che ricevono ogni anno miliardi di dollari in aiuti militari da Washington. La dipendenza da tecnologie israeliane per la sorveglianza e la difesa, come quelle fornite da aziende come BlackSky, rende ancora più delicato il ruolo di Tel Aviv in questa vicenda.
L’indagine di The Insider mette a nudo le fragilità del regime sanzionatorio. Le restrizioni occidentali hanno inflitto colpi significativi all’economia russa, ma non sono riuscite a interrompere del tutto le forniture di tecnologie critiche. Gli utensili di precisione, per loro natura, sono difficili da tracciare: non si tratta di armamenti espliciti, ma di componenti che possono essere giustificati come prodotti civili. Inoltre, la lentezza nell’applicazione delle sanzioni e la presenza di lacune normative permettono a paesi come Israele di operare in una zona grigia.
La Russia, dal canto suo, ha intensificato gli sforzi per diversificare le fonti di approvvigionamento. Se la Cina è diventata il principale fornitore di microchip e semiconduttori, spesso copie di componenti occidentali, paesi come Israele colmano lacune specifiche, come quella degli utensili di precisione. Questo mosaico di forniture evidenzia un problema strutturale: le sanzioni funzionano solo se applicate in modo coordinato e senza eccezioni. Ogni falla, per quanto piccola, permette a Mosca di mantenere in piedi la sua industria bellica, prolungando la sua capacità di sostenere conflitti come quello in Ucraina.
Il caso solleva interrogativi profondi sulla posizione di Israele. Ufficialmente, Tel Aviv ha adottato una linea di neutralità nel conflitto ucraino, evitando di fornire armi letali a Kiev per non compromettere i rapporti con Mosca, che mantiene una presenza militare significativa in Siria. Tuttavia le forniture di utensili alla Russia, pur non violando direttamente le sanzioni, minano la solidarietà occidentale e alimentano sospetti sulla reale fedeltà di Israele agli obiettivi dell’alleanza atlantica. La rivelazione potrebbe spingere gli Stati Uniti e l’Unione Europea a esercitare pressioni su Tel Aviv per rafforzare i controlli sulle esportazioni, ma ciò rischierebbe di complicare una relazione già tesa da altre questioni, come il conflitto a Gaza.
Nel frattempo, la Russia continua a sfruttare queste ambiguità. La produzione di sistemi come l’S-400 e il Su-35, che richiedono componenti di altissima precisione, dipende dalla capacità di Mosca di mantenere aperti canali di approvvigionamento come quello israeliano. Ogni utensile che arriva in Russia è un tassello che prolunga la sua resistenza alle pressioni internazionali, rendendo più difficile per l’Occidente raggiungere l’obiettivo di indebolire la macchina da guerra di Putin.
L’indagine di The Insider non è solo una denuncia di un caso specifico, ma un monito sulle complessità di un mondo globalizzato. In un sistema economico in cui le catene di approvvigionamento sono intrecciate e le tecnologie dual-use sfuggono facilmente ai controlli, anche un paese piccolo come Israele può giocare un ruolo decisivo nel sostenere le ambizioni di una potenza come la Russia. La vicenda degli utensili di precisione è un promemoria: le guerre non si combattono solo sui campi di battaglia, ma anche nelle pieghe di un’economia globale che non conosce confini netti. E in questo gioco, le contraddizioni delle alleanze e gli interessi di profitto possono pesare più delle dichiarazioni di principio.

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