Le nuove regole per la ristorazione all’aperto non piacciono a tutti


Con l’entrata in vigore delle nuove regole comunali che regolamentano la ristorazione all’aperto e l’utilizzo dei dehors (il programma si chiama Dining Out NYC), New York sta affrontando una fase di assestamento complicata. Pensato per mettere ordine alle strutture nate in emergenza durante la pandemia, il regolamento ha introdotto vincoli più rigidi, procedure complesse e costi elevati che stanno frenando la partecipazione da parte dei ristoratori.
Il nuovo sistema impone infatti la sostituzione delle vecchie strutture improvvisate con installazioni modulari, leggere e facilmente rimovibili, conformi a standard definiti. Per ottenere i permessi è necessario affrontare un iter che comprende l’approvazione da parte delle autorità locali, la presentazione di progetti, il pagamento di tasse, l’ampliamento delle coperture assicurative e il rispetto di precise norme costruttive. In molti casi, i costi iniziali superano i 30.000 dollari, e le stime di spesa per il mantenimento in quattro anni arrivano anche a 48.000.
Nonostante gli sforzi dell’amministrazione per promuovere il nuovo modello, i numeri raccontano una realtà diversa. Su oltre 20.000 ristoranti attivi in città, solo circa 3.400 hanno presentato domanda per i nuovi permessi. Di queste, appena una trentina hanno ricevuto l’approvazione definitiva per strutture su strada. Il resto è ancora in fase di valutazione o ha optato per soluzioni meno impegnative, come l’utilizzo del solo marciapiede.
La distribuzione dei permessi rilasciati mostra inoltre forti disparità territoriali: la maggior parte si concentra nei quartieri più ricchi di Manhattan e Brooklyn, mentre borough come Staten Island restano esclusi. Durante la fase emergenziale della pandemia, il programma temporaneo aveva invece garantito una diffusione più equa sul territorio, coinvolgendo oltre 12.000 ristoranti.
Tra le modifiche più criticate c’è l’introduzione della stagionalità: la ristorazione su strada è ora consentita solo tra il 1° aprile e il 29 novembre. Una scelta che, secondo molte associazioni di categoria, penalizza soprattutto i piccoli esercizi, costretti a montare e smontare ogni anno strutture costose, affrontando anche le spese di deposito durante l’inverno.
Altri limiti riguardano le caratteristiche stesse delle installazioni: vietate le coperture rigide, obbligo di utilizzare ombrelloni o vele non impermeabili, e necessità di sostituire i sacchi di sabbia con barriere riempite d’acqua per evitare la proliferazione di ratti. Anche questi vincoli, seppur motivati da esigenze sanitarie e urbanistiche, hanno contribuito ad aumentare i costi e la complessità delle operazioni.
In mancanza di soluzioni più flessibili, molti locali hanno deciso di rinunciare alla ristorazione su strada e limitarsi a qualche tavolo sul marciapiede, accettando una capienza ridotta. Altri, pur con grandi difficoltà, stanno cercando di adeguarsi per non perdere posti a sedere preziosi, soprattutto nei mesi più caldi. Ma resta diffuso il timore che, da opportunità, la ristorazione all’aperto si stia trasformando in un peso non più sostenibile.
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