Libano. Sfida a Teheran: Aoun tenta di riaffermare la sovranità sul dossier Hezbollah

di Giuseppe Gagliano –
Il 24 aprile, in un gesto carico di significato politico, il ministero degli Esteri libanese ha convocato l’ambasciatore iraniano Mojtaba Amani, ammonendolo contro ogni ingerenza negli affari interni del Paese. Una mossa che riflette la crescente pressione internazionale su Beirut per riportare Hezbollah sotto il controllo dello Stato e che segna un passaggio delicato nella lunga e complessa partita tra Libano, Iran e Israele.
La convocazione è arrivata dopo che Amani aveva definito su X, il 18 aprile, “una chiara cospirazione” ogni tentativo di disarmare Hezbollah, accusando impliciti mandanti stranieri e citando i fallimenti di Iraq, Siria e Libia come monito. Pur avendo successivamente moderato i toni in un’intervista televisiva, il danno diplomatico era ormai fatto.
Al centro della crisi vi è il tentativo del presidente Joseph Aoun di riprendere il monopolio legittimo della forza. In carica da gennaio, Aoun ha promesso di ristabilire il controllo statale su tutte le armi presenti nel Paese entro il 2025 — un obiettivo ambizioso quanto rischioso, data la forza paramilitare di Hezbollah e la fragilità delle istituzioni libanesi.
Sebbene Hezbollah si dica disponibile a discutere di una “strategia di difesa globale”, il suo leader Naim Qassem ha chiarito che il disarmo resta un tabù invalicabile. Finché Israele manterrà operazioni militari nel Sud del Libano, ha dichiarato, Hezbollah continuerà a considerarsi “resistenza armata”.
Nel frattempo il cessate-il-fuoco del novembre 2024 appare sempre più fragile. Le Forze di Difesa Israeliane (IDF) hanno compiuto nuove incursioni terrestri oltre il confine, giustificate come operazioni preventive ma denunciate da Hezbollah come violazioni dell’intesa.
Il bilancio umano continua ad aggravarsi: dal novembre 2024, oltre 140 combattenti di Hezbollah e almeno 71 civili libanesi sono morti sotto i colpi israeliani, secondo l’Ufficio dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani. Human Rights Watch ha accusato Israele di attacchi indiscriminati, sollevando seri interrogativi sulla conformità delle operazioni israeliane al diritto internazionale.
Sul terreno, le Forze Armate Libanesi hanno iniziato a rioccupare porzioni del Sud lasciate da Israele, smantellando centinaia di postazioni di Hezbollah. Tuttavia, la presenza militare israeliana si consolida in una “zona cuscinetto” de facto, rivendicata come necessaria per la sicurezza nazionale, ma che di fatto minaccia di congelare il conflitto in una nuova fase di instabilità permanente.
La convocazione dell’ambasciatore Amani rappresenta dunque molto più di un incidente diplomatico: è il tentativo del Libano di riprendersi uno spazio di sovranità politica in un contesto regionale sempre più segnato da guerre per procura, scontri indiretti e fragili cessate il fuoco.
Se fallisse, il rischio è che Beirut diventi ancora una volta il terreno di una contesa più ampia — tra Iran, Israele e i loro rispettivi alleati — in cui la fragile sovranità nazionale libanese potrebbe risultare il prezzo da pagare.
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