Luigi Mangione rischia la pena di morte negli Usa, il governo Meloni in silenzio sull’italo-americano (e i precedenti)

Persino Benito Mussolini si attivò per impedire la condanna alla pena capitale di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, i due anarchici giustiziati nel 1927 negli Stati Uniti.
Da Roma invece quasi un secolo dopo vige il silenzio sulla vicenda riguardante Luigi Mangione, il 26enne italo-americano di Baltimora che il 4 dicembre scorso uccise a New York il manager Brian Thompson, amministratore delegato del colosso delle assicurazioni sanitarie United Healthcare, omicidio nato “ideologicamente” dalla rabbia contro il sistema sanitario turbo-capitalista privato statunitense, inaccessibile anche per un ragazzo di buona famiglia come Mangione.
Per lui la procuratrice generale Pam Bondi, la “ministra della Giustizia” nominata da Donald Trump, ha chiesto la pena di morte. Una scelta che non sorprende: da una parte la volontà di dare un messaggio ideologico a difesa di chi colpisce una “big corporation”, dall’altra la rivendicazione della “agenda del presidente per fermare il crimine violento e rendere l’America di nuovo sicura”.
Proprio oggi Mangione è stato incriminato di fronte ad tribunale federale con le accuse di omicidio, stalking e reato di possesso di armi da fuoco.
Di fronte a tutto ciò la premier Giorgia Meloni, soltanto 24 ore fa alla Casa Bianca ospite di Donald Trump, e l’esecutivo, col ministro della Giustizia Carlo Nordio in testa, restano nell’assoluto silenzio. Ben diverso fu invece lo sforzo per riportare in Italia Chico Forti, l’imprenditore italiano condannato all’ergastolo per omicidio negli Usa.
Mangione infatti ha ottenuto nel 2008 la nostra grazie al nonno italiano, immigrato negli States. Logica vorrebbe che quando un nostro connazionale rischia la pena capitale all’estero, il governo si attivi per impedire una condanna incostituzionale per il nostro ordinamento.
Oggi Il Fatto Quotidiano ricorda due precedenti recenti. Nel 1995 il governo guidato da Lamberto Dini pretese la garanzia di non applicazione della pena capitale per estradare Pietro Venezia, responsabile di un omicidio commesso in Florida: l’estradizione venne in ogni caso bloccata dalla Corte Costituzionale perché quella garanzia non era ritenuta sufficiente, e Venezia scontò la sua pena in Italia. A fine anni Novanta fu invece il governo di Giuliano Amato a tentare di salvare, senza successo, Rocco Derek Bernabei. Il 33enne italo-americano fu condannato per omicidio, proclamandosi sempre innocente: fu ucciso con iniezione letale il 14 settembre 2000, nonostante i tentativi di Roma di fermare la pena capitale e gli appelli dell’Unione Europea e di Papa Giovanni Paolo II.
Unica voce che si alzata in Italia sulla questione della pena di morte per Mangione è quella di Alleanza Verdi-Sinistra, che ha presentato anche una interrogazione parlamentare sul caso tramite il vicecapogruppo alla Camera Marco Grimaldi.
“Riteniamo la pena di morte un’aberrazione del diritto e, soprattutto, riteniamo mostruoso che la vita e la morte di un uomo, qualunque sia il suo crimine (ancora da dimostrare), possano essere utilizzate per fini propagandistici. Giustizia non è mai vendetta”, spiega Grimaldi.
Ma soprattutto il deputato di AVS ricorda come Mangione abbia doppia cittadinanza statunitense e italiana “e in casi analoghi i ministri della Giustizia italiani sono sempre intervenuti per scongiurare la pena di morte, abolita nel nostro Paese. Attendiamo gli interventi tempestivi di Tajani e Nordio e auspico che la Presidente Meloni durante il colloquio con Trump abbia sollevato la questione”.
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