Siria. Israele sfida apertamente la Turchia

di Giuseppe Gagliano –
Nella notte tra il 2 e il 3 aprile l’aviazione israeliana ha colpito più volte il centro della Siria, prendendo di mira l’area strategica della base T4 vicino a Homs. È stato un segnale chiaro, quasi urlato: Israele non tollererà la presenza di forze ostili, iraniane, siriane o turche, alle proprie porte. E l’obiettivo, in questo caso, era anche la Turchia, che ambisce a estendere il suo controllo proprio su quella zona.
Il ministro della Difesa israeliano Israel Katz ha lanciato un monito diretto al presidente siriano ad interim Ahmed al-Sharaa: “Chi minaccia la sicurezza di Israele, ne pagherà il prezzo”. Un avvertimento esplicito, accompagnato dalle accuse del ministro degli Esteri Saar, che ha puntato il dito contro il “ruolo destabilizzante” di Ankara in Siria e Libano.
Le tensioni tra Israele e Turchia si sono intensificate dopo il ritorno al potere di Donald Trump, che ha dato via libera a Tel Aviv per operazioni aggressive in tutta la regione, incluse le ipotesi di rioccupazione di territori palestinesi. Il conflitto a Gaza ha definitivamente incrinato la fragile normalizzazione tra i due paesi, firmata nel 2022, e ha riattivato in Erdogan la volontà di guidare il mondo musulmano, in chiave neo-ottomana.
Mentre la Siria tenta di riorganizzarsi dopo la caduta del regime di Bashar al-Assad, si trova al centro di una lotta di potere per procura. Israele vuole garantirsi “zone cuscinetto” a nord e a est, puntellando la propria sicurezza lungo il confine con il Libano e le alture del Golan. Nel frattempo, Ankara prova a stipulare un patto militare con Damasco per stabilire basi nella regione di Aleppo, sperando di bloccare l’espansione israeliana.
Ma Tel Aviv ha reagito con una serie di attacchi mirati contro strutture che considera “appartenenti a Hamas o all’asse della resistenza”. Per Israele l’eventuale influenza turca sul nuovo governo siriano rischia di favorire la ricostituzione di santuari jihadisti nella regione. Ankara, dal canto suo, presenta la lotta allo Stato Islamico come merce di scambio con Washington per rientrare nel programma F-35 e normalizzare le relazioni con Trump.
In questo fragile equilibrio di minacce incrociate, Damasco diventa sempre più ostaggio della rivalità tra Israele e Turchia. Mentre le sanzioni occidentali restano in vigore e il nuovo governo fatica a ricostruire un esercito nazionale, la Siria è costretta a bilanciare le pressioni esterne, posticipando l’accordo di cooperazione militare con Ankara.
Secondo fonti israeliane il messaggio è chiaro: “Niente basi turche in Siria e niente ostacoli ai raid israeliani”. Una linea rossa che, se superata, potrebbe degenerare in conflitto aperto. Ma nessuno dei due rivali, né Erdogan né Netanyahu, ha interesse a inimicarsi il nuovo inquilino della Casa Bianca.
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