Sudan. Bombe, carestia, epidemie, stupri: l’incubo “compie” due anni

Dire –
Drammatico anniversario quello odierno per la popolazione del Sudan, Paese che il 15 aprile di due anni fa scivolava nella guerra civile, la quarta nei suoi quasi sette decenni di storia, che ha innescato “una delle peggiori crisi umanitarie del XXI secolo”, come hanno dichiarato le Nazioni Unite e ha ribadito anche Filippo Grandi, Alto commissariato delle nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr). A scontrarsi, l’esercito nazionale guidato dal generale Abdel Fattah al-Burhan, contro i paramilitari delle Forze di supporto rapido (Rsf) guidate da Mohamed Hamdan Dagalo, meglio noto come Hemedti. Migliaia i morti e 13 milioni gli sfollati su una popolazione di circa 50 milioni. Tramontato anche il sogno di un percorso di democratizzazione verso un governo formato da civili, avviato con le manifestazioni pacifiche del 2019.
I combattimenti hanno interessato in particolare la capitale Khartoum e la regione di Darfur. Mentre la capitale è stata riconquistata nei giorni scorsi dalle forze regolari, favorendo una relativa calma, nel Darfur le violenze continuano. Ieri, alla vigilia dell’ingresso del Paese nel terzo anno di conflitto, i paramilitari delle Rsf hanno lanciato un attacco contro il campo profughi di Zamzam, non lontano dalla città di Al-Fashir, sede per mezzo milione di persone. “Abbiamo assistito all’arrivo di oltre 10mila persone, molte delle quali in avanzato stato di disidratazione, stanchezza e stress, senza cibo, acqua e nient’altro se non gli abiti che indossavano” ha dichiarato Marion Ramstein, coordinatrice di emergenza di Medici senza frontiere in Darfur settentrionale. “Le persone ci hanno raccontato di loro familiari rimasti indietro durante la fuga, feriti o uccisi” ha aggiunto la coordinatrice. L’organizzazione, presente in 10 dei 18 stati del Paese e in oltre 33 strutture mediche, fa sapere che dal 2023 ha assistito “1,7 milioni di persone”. Le parti in guerra sono inoltre accusate di ostacolare o chiudere i canali di rifornimento, rendendo difficile l’assistenza umanitaria e spingendo milioni di persone alla fame: “La carestia- continua Msf- è stata dichiarata per la prima volta nel campo di Zamzam ad agosto scorso; da allora si è diffusa in altre dieci aree, mentre altre diciassette regioni sono sull’orlo del baratro. Il Sudan è attualmente l’unico posto al mondo in cui la carestia è stata ufficialmente dichiarata in più luoghi del paese e, senza un intervento immediato, centinaia di migliaia di vite sono a rischio”. Msf avverte anche del ritorno di focolai di “morbillo, colera e difterite”.
Altro epicentro del conflitto è Nyala, in Sud Darfur, dove secondo Emergency hanno luogo “attacchi aerei e aggressioni di bande criminali. La popolazione vive ormai da due anni senza corrente elettrica e connettività, con il coprifuoco. Scarseggiano i beni di prima necessità in una città dove il numero degli abitanti è quadruplicato a causa dell’arrivo di sfollati da altre aree del Paese”. Qui l’ong – che non ha mai lasciato il paese dallo scoppio del conflitto – gestisce un Centro pediatrico. Laura Ena, infermiera e coordinatrice medica del Centro, racconta: “La pessima alimentazione e la mancanza di acqua potabile causano un aumento costante dei casi di gastroenteriti e infezioni, ma anche di malnutrizione severa e anemia. Non ho mai visto bambini in condizioni così gravi prima dell’inizio di questa guerra”.
A puntare i riflettori sul costo della guerra sui minori è l’Unicef, secondo cui “il numero di bambini che hanno bisogno di assistenza umanitaria è raddoppiato, passando dai 7,8 milioni dell’inizio del 2023 agli oltre 15 milioni di oggi”. Inoltre “i tassi di vaccinazione sono in calo, circa il 90% dei bambini non va a scuola”, mentre “il numero di gravi violazioni contro i bambini è aumentato del 1000% in due anni”, registrate “in più della metà dei 18 Stati del Sudan”.
Anche le donne pagano un costo altissimo: in un rapporto che Amnesty International ha diffuso ieri dal titolo ”They Raped All of Us’: Sexual Violence Against Women and Girls in Sudan’, si riportano 36 casi verificati di “stupri, violenze sessuali anche di gruppo e schiavitù sessuale” da parte dei combattenti delle Rsf, ma i numeri potrebbero essere “molto più alti”, confermando il monito delle Nazioni Unite, secondo cui “lo stupro viene usato come arma di guerra”. Si denuncia inoltre che “le sopravvissute non ricevono cure mediche e non ottengono giustizia”.
Ieri, davanti il palazzo della Farnesina, Amnesty Italia ha organizzato un presidio per chiedere al governo italiano di agire per “un’immediata cessazione delle ostilità, il rafforzamento dell’embargo sulle armi verso il Darfur e la sua estensione a tutto il Sudan, nonché l’accesso agli aiuti umanitari libero da ogni ostacolo”.
Oggi invece a Londra si è svolta una conferenza di alto livello su iniziativa del governo britannico, a cui hanno partecipato Francia e Germania, da cui è giunto l’appello a “impegni futuri” che aprano la strada alla fine delle ostilità e l’immediato accesso agli aiuti per i civili. Inoltre, Londra ha stanziato 158 milioni di euro in “aiuti essenziali per le popolazioni”. L’Ue e vari Stati europei ne hanno annunciati altri 522 milioni, di cui 282 milioni dalla Commissione e il restante da parte di Austria, Danimarca, Estonia, Finlandia, Francia, Germania, Irlanda, Malta, Polonia, Slovenia, Spagna e Svezia.
Fonte: agenzia Dire.
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