Ue. Bruxelles minaccia Atene: la crisi migratoria svela le crepe dell’Europa

di Giuseppe Gagliano –
In un’Europa sempre più affannata nel celare le sue contraddizioni dietro la cortina delle “grandi strategie”, la gestione dei migranti torna a squarciare il velo dell’ipocrisia. Secondo quanto riportato da Politico e Welt, il 24 aprile, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera, meglio conosciuta come Frontex, avrebbe rotto gli indugi: esasperata dai respingimenti sistematici operati dalla Grecia, starebbe valutando di chiedere alla Commissione europea di avviare una procedura d’infrazione contro Atene.
A lanciare il monito è Jonas Grimheden, responsabile dei diritti fondamentali di Frontex, che si trova davanti a un bivio che la dice lunga sullo stato dell’Unione: sospendere la missione in Grecia, lasciando campo libero alle violazioni, oppure chiamare Bruxelles ad assumersi la responsabilità politica di una procedura formale contro uno Stato membro.
Grimheden non nasconde la sua preoccupazione: l’eventuale ritiro di Frontex dal territorio ellenico priverebbe l’Europa di un osservatorio privilegiato sui comportamenti delle autorità greche, vanificando ogni tentativo di garantire trasparenza e rispetto dei diritti umani. Ma allo stesso tempo, sottolinea, non si può tollerare l’impunità: “Ci deve essere qualche forma di punizione”.
Dietro le tensioni tra Frontex e Atene si intravede una faglia più profonda, che separa l’Europa dei principi codificati nei trattati da quella delle prassi quotidiane ai confini esterni.
La procedura d’infrazione, strumento previsto dagli articoli 258 e 259 del Trattato sul funzionamento dell’UE, è nelle mani della Commissione, che può agire d’ufficio, su denuncia privata o su sollecitazione parlamentare. Ma il solo fatto che un’agenzia europea inviti Bruxelles a punire uno Stato membro rivela quanto ormai le tensioni siano giunte a un punto di rottura.
Non si tratta di una disputa recente. Già nel 2023 Frontex aveva minacciato la sospensione della missione in Grecia, evocando l’articolo 46 del proprio statuto. Il problema, allora come oggi, si chiama pushback: il respingimento illegale dei migranti senza valutazione individuale delle richieste d’asilo, in violazione flagrante dell’articolo 33 della Convenzione di Ginevra del 1951.
Secondo Politico nel solo 2024 un terzo dei casi aperti da Frontex per presunte violazioni dei diritti umani riguarda la Grecia. E non si tratta di accuse astratte: una lunga serie di rapporti, inchieste e sentenze — compresa quella della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, ha inchiodato Atene alle proprie responsabilità.
Il dramma, come sempre, si misura sulle vite dei migranti. Il 3 aprile, vicino all’isola di Lesbo, una barca sovraccarica si è capovolta. Sette persone sono morte, tra cui due bambini. Secondo una denuncia raccolta da Frontex, l’intervento della Guardia Costiera Ellenica sarebbe stato decisivo nel provocare il naufragio.
Non è un caso isolato: basti ricordare il disastro di Pylos nel giugno 2023, quando centinaia di migranti annegarono al largo della Grecia, portando il Mediatore greco a raccomandare procedimenti disciplinari contro otto membri della Guardia Costiera.
Eppure di fronte a questi drammi la risposta ufficiale di Atene rimane sempre la stessa: rivendicare la propria “missione umanitaria”, promettere collaborazione con le indagini e negare ogni accusa di minaccia o ritorsione.
Nel frattempo, la politica europea sull’immigrazione si è ulteriormente irrigidita. Il 16 aprile il commissario europeo Magnus Brunner ha ufficializzato la lista di sette Paesi, tra cui Marocco, Tunisia, Egitto, Bangladesh, India, considerati “sicuri” per il rimpatrio accelerato dei migranti. Un segnale chiaro: la priorità dell’Unione non è più l’accoglienza, ma la riduzione degli arrivi e la velocizzazione delle espulsioni.
La Grecia ha tentato addirittura di designare la Turchia come “Paese terzo sicuro”, ma la sua proposta è stata bocciata dai tribunali. Nel nord-est europeo la Polonia, spalleggiata dagli Stati baltici, ha sospeso il diritto d’asilo al confine con la Bielorussia, suscitando l’indignazione delle organizzazioni umanitarie. Una deriva che rischia di diventare sistemica, tra silenzi complici e giustificazioni tecniche.
Alla fine, il conflitto tra Frontex e la Grecia appare come il sintomo di un malessere più profondo. L’Europa, che si vanta di essere “la casa dei diritti umani”, si scopre incapace di controllare se stessa alle frontiere.
Si affida ad agenzie di sorveglianza che, a loro volta, sono accusate di gravi abusi (come dimostrano le dimissioni forzate del direttore di Frontex nel 2022) e si trova stretta tra l’urgenza politica di arginare i flussi migratori e l’obbligo giuridico di rispettare i trattati.
In questo contesto la richiesta di Frontex alla Commissione suona come un grido disperato più che come una vera minaccia: l’ennesimo segnale che, sui migranti, l’Unione Europea rischia non solo la propria credibilità esterna, ma anche la propria coesione interna.
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