Volontariato scuola di competenze, ma gli adolescenti faticano ad accorgersene

Il volontariato rappresenta un’esperienza formativa e un’importante occasione di socializzazione personale. Dunque non una semplice attività pratica ma un’opportunità di crescita personale, capace di trasformare il proprio modo di pensare e la propria visione del mondo e della società. È quanto emerge dalla ricerca “Noi+. Valorizza te stesso, valorizzi il volontariato”, promossa da Forum Terzo Settore e Caritas Italiana, in collaborazione con il dipartimento di Scienze della Formazione dell’Università di Roma Tre.
L’indagine analizza le competenze messe in gioco durante le esperienze di volontariato e le motivazioni individuali che spingono le persone a impegnarsi nel sociale. L’obiettivo è favorire, a livello nazionale, un riconoscimento più ampio delle competenze trasversali acquisite, sia in ambito scolastico che lavorativo, da chi opera nel Terzo settore.
Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Terzo Settore, spiega che «occorre realizzare quanto già disposto dal Codice del Terzo Settore sul riconoscimento delle competenze dei volontari, dando seguito al decreto del 2024 sull’individuazione, validazione e certificazione delle competenze. L’obiettivo è un sistema strutturato, omogeneo su tutto il territorio nazionale, che valorizzi nel concreto quanto acquisito dai volontari nella loro esperienza, facendo leva sul ruolo chiave degli Enti di Terzo Settore. Questo rafforzerà la cultura del volontariato nel nostro paese, soprattutto tra i più giovani, e favorirà l’apprendimento delle persone rispondendo ai loro bisogni di crescita personale e professionale».
Le competenze dei volontari: sociali, interculturali, manageriali e digitali
La ricerca “NOI+” ha coinvolto circa 10mila volontari in tutta Italia. Oltre il 50%, fra chi ha risposto al questionario, mette in campo, spesso o sempre, nelle proprie attività di volontariato undici tipologie di competenze trasversali, le cosiddette soft skills. Dalle competenze personali, a quelle sociali, di apprendere ad apprendere, di cittadinanza, competenze interculturali, in materia di consapevolezza ed espressione culturali, imprenditoriali, manageriali e di leadership, collettive d’équipe e di rete, fino alle competenze per la gestione del cambiamento e quelle digitali.
Serve un sistema strutturato, omogeneo su tutto il territorio nazionale, che valorizzi nel concreto quanto acquisito dai volontari nella loro esperienza Vanessa Pallucchi, portavoce del Forum Terzo Settore
Competenze che si sviluppano e si trasformano nel tempo, attraverso l’esperienza e la riflessione. Per questo motivo, le organizzazioni hanno la responsabilità di creare contesti favorevoli che stimolino questa dimensione riflessiva e favoriscano lo sviluppo delle competenze. La gran parte dei volontari italiani utilizza, durante l’impegno solidale, svariate competenze trasversali, come la capacità di collaborare, gestire le proprie emozioni e i conflitti, sviluppare pensiero critico, apprendere lungo tutte le fasi della vita, affrontare i cambiamenti.
«Queste competenze trasversali sono sempre più fondamentali nei luoghi di lavoro, nelle relazioni interpersonali e di comunità e per la costruzione di cittadinanza attiva», sottolinea Pallucchi, «il loro riconoscimento è al centro di una sfida per la crescita del capitale umano e sociale. Il Terzo settore è stato pioniere di questo percorso nell’ambito del Servizio civile universale ma è tempo di compiere ulteriori passi in avanti, seguendo la strada indicata anche dall’Unione europea».
Il Terzo settore è stato pioniere di questo percorso nell’ambito del Servizio civile universale ma è tempo di compiere ulteriori passi in avanti, seguendo la strada indicata anche dall’Unione europea Vanessa Pallucchi
Tra le competenze più utilizzate ci sono quelle sociali (92,5% delle persone coinvolte nell’indagine), che attengono all’empatia, alla capacità di comunicare in modo efficace e collaborare, seguite con l’86,9% dalla competenza di “apprendere ad apprendere” (intesa come capacità di imparare e sviluppare pensiero critico durante tutte le fasi della vita) e dalle competenze personali (come la capacità di gestire le proprie emozioni e di affrontare i cambiamenti) all’85%. Supera l’80% anche la competenza di cittadinanza, ovvero la capacità di agire da cittadini responsabili e partecipare pienamente alla vita civica e sociale. Di contro, le meno agite sono quelle manageriali e di leadership con il 43,4% del campione che ha risposto di utilizzarle qualche volta o mai la competenza.
Il volontariato: una risorsa per la comunità
Tutto questo conferma che il volontariato è una vera e propria scuola di socialità. Al centro dell’azione del volontario c’è la capacità di costruire e coltivare relazioni, utilizzandole come strumento per generare benessere, sia per le persone che per la comunità. Ad esempio, un volontario educatore mette in gioco le proprie competenze sociali per entrare in relazione con i bambini, adatta il proprio modo di comunicare in base agli interlocutori siano essi bambini, genitori o altri animatori e cerca soluzioni diverse per favorire la partecipazione di tutti alla vita associativa.
Il 15% dei volontari coinvolti nell’indagine svolge principalmente attività di tipo operativo, in cui l’obiettivo non è tanto raggiungere un risultato specifico, quanto semplicemente “fare”, contribuire con azioni concrete. Tuttavia, la maggior parte dei volontari (circa il 60%) è impegnata in attività orientate al raggiungimento di obiettivi, spesso stabiliti da altri. In questo caso, il volontariato non è solo azione, ma azione finalizzata a uno scopo. Esiste anche una quota di volontari (11,2%) che ricopre un ruolo di presidio e coordinamento: guidano gruppi di lavoro, supervisionano le attività operative e contribuiscono alla definizione delle strategie, assicurando che gli obiettivi vengano rispettati. Infine, c’è un 13,8% di volontari che governa: presidenti, componenti dei consigli e direttivi.
Spesso il volontario è coinvolto sia nell’azione concreta sia nei processi decisionali dell’organizzazione, “sporcandosi le mani” sul campo e allo stesso tempo assumendo ruoli di responsabilità. Non esiste quindi sempre una separazione rigida tra chi decide e chi opera.
Donne e giovani, le sfide del volontariato del futuro
L’indagine evidenzia una marcata differenza di genere: le donne dichiarano di esercitare la maggior parte delle competenze (9 su 11) rispetto agli uomini. In particolare, il divario supera i dieci punti percentuali nelle competenze interculturali (+12,4%) e nella consapevolezza ed espressione culturale (+10,7%). Fanno eccezione le competenze manageriali e di leadership, ambiti in cui il vantaggio femminile si riduce o si inverte, a favore degli uomini.
Per quanto riguarda la distribuzione per età, le competenze personali e sociali sono più presenti nei volontari tra i 18 e i 30 anni, mentre la capacità di apprendere è tipicamente associata ai 30-45enni. Le competenze di cittadinanza sono, invece, più riconosciute tra i 45-65enni.
Come sottolinea Giovanni Serra, ricercatore di Roma Tre che ha curato la ricerca insieme ai colleghi Patrizia Bertoni e Paolo Di Rienzo: «gli adolescenti, complessivamente, tendono ad avere una percezione inferiore delle competenze che mettono in atto. Sembra che non riconoscano appieno le loro abilità, e forse sarebbe utile riflettere su questa tendenza e avviare un confronto su come aiutarli a riconoscere e valorizzare le competenze che sviluppano ogni giorno. Questo richiederebbe un supporto educativo mirato, che li aiuti a prendere consapevolezza di ciò che fanno. Inoltre, anche tra i giovani adulti, tra i 19 e i 30 anni, emerge una percezione sottodimensionata delle proprie competenze imprenditoriali, manageriali e di leadership. Questo è coerente con una realtà più ampia nel volontariato, dove molte organizzazioni sono ancora guidate da persone più anziane, che spesso non lasciano spazio sufficiente ai giovani per assumere ruoli di responsabilità».
Gli adolescenti tendono ad avere una percezione inferiore delle competenze che mettono in atto. Serve un supporto educativo mirato, che li aiuti a prendere consapevolezza di ciò che fanno Giovanni Serra, ricercatore di Roma Tre
Tra i giovani volontari con età fino a 30 anni, assumono valori molto maggiori la possibilità di esplorare i propri punti di forza e mettersi alla prova (+18,2%) e l’opportunità di arricchimento professionale (+17,4%), mentre è percepita con meno intensità l’urgenza di far fronte ai bisogni (-10,6%). I giovani volontari, inoltre, sono maggiormente convinti, rispetto alla media, che fare volontariato contribuisca a cambiare la realtà (+6,5%) e che il volontariato cambi il loro modo di pensare (+4,6%).
Inoltre dal rapporto emerge una tendenza molto chiara: titoli di studio più elevati corrispondono a una maggiore capacità di riconoscere l’esercizio delle competenze. In altre parole, per riconoscere e comprendere le proprie competenze è necessaria una capacità interpretativa e riflessiva, che una formazione più approfondita può certamente favorire. Questo conferma quanto emerso riguardo agli adolescenti: per riconoscere le competenze, è fondamentale sviluppare una riflessività che deve essere educata, sostenuta e accompagnata.
I volontari e le volontarie sono consapevoli di dare, con il loro impegno, un contributo efficace al cambiamento in meglio della società nel suo complesso Don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana
Il volontariato genera cambiamenti sociali e culturali
L’intero rapporto mette in luce come il volontariato è uno strumento di cambiamento sotto molteplici prospettive. In primo luogo, rappresenta un cambiamento delle storie personali, perché agisce concretamente sulle vite delle persone, trasformando le loro esperienze attraverso l’aiuto, l’ascolto e la vicinanza. In secondo luogo, promuove un cambiamento culturale, sviluppando la cultura della solidarietà, del dono e della condivisione, e non solo cambia le storie individuali, ma anche la cultura collettiva. Inoltre, favorisce l’innovazione sociale, creando nuovi modi di fare le cose che diventano patrimonio della collettività e, in alcuni casi, si traducono in politiche pubbliche. Un’altra dimensione importante è la mobilitazione di processi partecipativi: il volontariato coinvolge le persone, facendole uscire dalla logica del privato per aprirle a una dimensione più politica e collettiva. Infine, rafforza il tessuto relazionale delle comunità, migliorando le relazioni all’interno di esse e contribuendo così a trasformare e rendere le comunità più forti e coese.
«Dalla ricerca emerge come i volontari sono animati dal desiderio di fare qualcosa per la propria comunità. Di fronte all’individualismo che ci circonda, è un dato assai confortante», conclude don Marco Pagniello, direttore di Caritas Italiana. «I volontari e le volontarie sono anche consapevoli di dare con il loro impegno un contributo efficace al cambiamento in meglio della società nel suo complesso. Un cambiamento che parte dalla loro stessa crescita personale. Anche questo ci parla del volontariato – e dei volontari – come una delle risorse più preziose del nostro Paese».
La foto di apertura è di Cristi Tohatan su Unsplash
L'articolo Volontariato scuola di competenze, ma gli adolescenti faticano ad accorgersene proviene da Vita.it.
Qual è la tua reazione?






