Alcune considerazioni sull’inammissibilità del referendum per la legge Calderoli

lentepubblica.it Passati alcuni giorni dal comunicato con cui la Corte costituzionale ha informato di aver deciso l’inammissibilità del referendum sull’autonomia differenziata contenuta nella legge Calderoli, si può tracciare qualche ulteriore riflessione. La sentenza, che dovrà essere depositata entro il prossimo 10 febbraio, chiarirà meglio l’iter logico-argomentativo seguito dai giudici; ma intanto alcune conferme rispetto alle prime […] The post Alcune considerazioni sull’inammissibilità del referendum per la legge Calderoli appeared first on lentepubblica.it.

Alcune considerazioni sull’inammissibilità del referendum per la legge Calderoli

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Passati alcuni giorni dal comunicato con cui la Corte costituzionale ha informato di aver deciso l’inammissibilità del referendum sull’autonomia differenziata contenuta nella legge Calderoli, si può tracciare qualche ulteriore riflessione.


La sentenza, che dovrà essere depositata entro il prossimo 10 febbraio, chiarirà meglio l’iter logico-argomentativo seguito dai giudici; ma intanto alcune conferme rispetto alle prime sensazioni sono venute dalle recenti dichiarazioni rilasciate dal neopresidente della Consulta Giovanni Amoroso.

Il peso della sentenza n. 192 del 3 dicembre 2024.

In una breve nota, scritta nell’immediatezza della notizia del 20 gennaio, ho rilevato come il riferimento alla loro precedente pronuncia lasciava supporre che i giudici avessero ritenuto di aver già compiuto con essa un’importante disarticolazione della legge Calderoli, tale da renderla inattuabile prima di un intervento correttivo del Parlamento.

Da qui l’assioma conseguente di considerare inammissibile la richiesta abrogativa verso una norma che, così come rimaneggiata, avrebbe determinato un oggetto e una finalità del quesito poco chiari.

Ora queste impressioni vengono confermate proprio da alcune risposte fornite dal giudice Amoroso allorché, interrogato sul tema durante la conferenza stampa tenuta per la sua nomina, ha specificato che «la consapevolezza del voto dell’elettore passa dalla chiarezza dell’oggetto e del quesito. Ma l’oggetto si è fortemente ridimensionato a seguito della sentenza della Corte, la 192/2024».

Non vi è dubbio, pertanto, che al di là della legittima soddisfazione di chi auspicava la bocciatura del referendum, in queste affermazioni si vede avvalorata l’opinione che con la sentenza del 3 dicembre la legge Calderoli sia stata letteralmente scardinata nei suoi capisaldi; al punto che, pur rimanendo formalmente in vigore, risulta assolutamente inapplicabile.

Questo avrebbe dovuto significare automaticamente che lo stesso testo non potesse essere sottoposto a referendum? Assoluto rispetto per la risoluzione della Corte, ma qualche perplessità mi rimane. Infatti, è sempre bene ricordare che con la sent. n. 192/2024 non è stata dichiarata l’incostituzionalità dell’intera legge; essa, dunque, rimane in vita e, se modificata, potrebbe tornare a produrre degli effetti.

Se la legge esiste perché negare il referendum?

Considerate delicatezza e complessità dell’argomento sarebbe necessario un approfondimento specifico. Ma intanto, limitandoci alla richiesta sulla legge Calderoli, sembrerebbe che i giudici abbiano considerato il quesito poco chiaro, proprio perché riferito all’abrogazione totale di una normativa oramai svuotata e rimasta in vita solo per alcune parti, avendo già subito censure di incostituzionalità per molti suoi articoli e mancando ancora un intervento del Parlamento che possa riscriverla secondo le indicazioni contenute nella sentenza.

In altre parole, secondo i giudici, si sarebbe pregiudicata «la possibilità di una scelta consapevole da parte dell’elettore. Il referendum verrebbe ad avere una portata che ne altera la funzione, risolvendosi in una scelta sull’autonomia differenziata, come tale, e in definitiva sull’art. 116, terzo comma, della Costituzione; il che non può essere oggetto di referendum abrogativo, ma solo eventualmente di una revisione costituzionale».

La bocciatura, quindi, non sembra riconducibile ad alcuna di quelle pretese di necessarietà della legge o di normativa collegata al bilancio avanzate in questi mesi dai sostenitori del progetto, ipotesi che non ho mai ritenuto convincenti. E neppure alla sussistenza dei più stretti motivi di inammissibilità dettati dall’art. 75 Cost., ossia esclusione delle leggi di bilancio e tributarie, di autorizzazione alla ratifica dei trattati internazionali, di amnistia e indulto; così come neanche, sic et simpliciter, di quelli derivanti da una consolidata giurisprudenza della Consulta che, a partire dalla sentenza n. 16 del 1978, ha cominciato ad escludere altresì quei quesiti referendari ritenuti disomogenei, vertenti su leggi costituzionalmente necessarie o a contenuto vincolato.

Semmai la decisione pare poggiarsi su altri presupposti, derivanti da quella ulteriore giurisprudenza che si è venuta formando in seguito alla sentenza del 1978; ossia da quando la Corte ha cominciato ad affermare una serie di motivi aggiuntivi di inammissibilità dei quesiti referendari, stabilendo che la loro formulazione deve essere semplice, chiara, univoca, omogenea, coerente e completa per garantire la libertà di voto dell’elettore ai sensi dell’art. 48 Cost.

Un orientamento alquanto discutibile, e infatti molto discusso tra gli studiosi, che ha ampliato il potere interpretativo dei giudici nella valutazione di ammissibilità, favorendo in questo modo una condotta sempre più restrittiva verso lo strumento referendario.

Secondo i giudici un quesito poco chiaro

Si capirà meglio dopo il deposito delle motivazioni, ma le dichiarazioni di Antonini sembrano avvallare questa supposizione: «La consapevolezza del voto dell’elettore passa attraverso la chiarezza sia del quesito che dell’oggetto del quesito stesso. Ora l’oggetto si è fortemente ridimensionato a seguito della sentenza 192 e si è ridimensionato a un punto tale che ciò che rimane è poco più che un perno sul quale costruire l’impianto per il trasferimento di specifiche funzioni. La obiettiva non chiarezza dell’oggetto del quesito avrebbe comportato una sorta di mutamento del quesito stesso in uno più chiaro, cioè: volete o no l’attuazione del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione? Ma questo è un interrogativo che non si può sottoporre all’elettorato, perché riguarda una norma costituzionale».

Posso comprendere e condividere le premesse contenute in queste affermazioni, ma qualche dubbio mi permane sulle conclusioni, che sembrano sfociare in un processo alle intenzioni. Anche perché assolutamente antitetiche, se non addirittura soverchianti, rispetto alla precedente pronuncia della Corte di cassazione, a cui spettava valutare la legittimità del quesito, che con l’ordinanza del 12 dicembre 2024 aveva dato luce verde alla domanda di abrogazione totale anche alla luce della sentenza della Consulta.

Anzi, l’Ufficio Centrale per il Referendum, proprio per una maggiore chiarezza nei confronti dei cittadini-elettori, aveva pure proceduto a riformulare adeguatamente la stessa, con l’aggiunta non casuale della frase «come risultante a seguito della sentenza della Corte costituzionale n. 192/2024».

Cosa che, ritengo, avesse circoscritto chiaramente l’oggetto dell’eventuale consultazione al contenuto residuo della norma Calderoli, superando qualsivoglia rischio d’incertezza per i cittadini-elettori.

Ma tant’è. La decisione è stata presa e come ovvio non può che essere rispettata.

D’altronde i rischi sull’ammissibilità erano ben noti, sia a causa di una giurisprudenza ondivaga sul tema sia per il significato che la Corte avrebbe voluto assegnare alle spoglie del testo dopo le notevoli censure comminate dalla sua sentenza del dicembre 2024.

Non resta che attendere le prossime mosse del Governo, per comprendere come si intenda procedere rispetto alla modifica della legge, riaffidata dalla pronuncia dei giudici al ruolo centrale del Parlamento.

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