Anche in Italia si arriverà (finalmente) al diritto di disconnessione dal lavoro?

lentepubblica.it Il diritto alla disconnessione rappresenta la libertà del lavoratore di non essere sempre reperibile, preservando il tempo personale e il riposo senza conseguenze sul rapporto di lavoro: ma qual è la situazione attuale in Italia? Siamo ancora indietro rispetto ad altri paesi europei? Con l’evoluzione tecnologica, il lavoro ha superato le barriere tradizionali di luogo […] The post Anche in Italia si arriverà (finalmente) al diritto di disconnessione dal lavoro? appeared first on lentepubblica.it.

Anche in Italia si arriverà (finalmente) al diritto di disconnessione dal lavoro?

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Il diritto alla disconnessione rappresenta la libertà del lavoratore di non essere sempre reperibile, preservando il tempo personale e il riposo senza conseguenze sul rapporto di lavoro: ma qual è la situazione attuale in Italia? Siamo ancora indietro rispetto ad altri paesi europei?


Con l’evoluzione tecnologica, il lavoro ha superato le barriere tradizionali di luogo e orario, trasformandosi in un’attività svolta “ovunque e in qualsiasi momento”. Questa flessibilità, sebbene offra vantaggi nella gestione del tempo, rischia di compromettere l’equilibrio tra vita privata e professionale, rendendo i confini tra i due ambiti sempre più sfumati.

Ma qual è la situazione in Europa? L’Italia è ancora indietro?

L’esempio della Francia: un precursore

Tra i Paesi europei che hanno affrontato le sfide legate all’uso invasivo delle tecnologie sul lavoro, la Francia si distingue come pioniera nell’introduzione del diritto alla disconnessione. Questo principio è stato formalizzato nel 2016 attraverso la Loi Travail, una riforma che ha posto le basi per la regolamentazione dell’utilizzo delle tecnologie al di fuori dell’orario di lavoro.

La normativa francese si caratterizza per il suo approccio equilibrato: anziché imporre regole rigide, ha delegato alla contrattazione collettiva il compito di definire le modalità pratiche con cui i dipendenti possono esercitare questo diritto. Ogni settore e ogni azienda, in base alle proprie specificità, ha quindi l’opportunità di individuare soluzioni su misura. Questo modello garantisce una flessibilità operativa, ma al contempo tutela la qualità della vita dei lavoratori, proteggendoli da una reperibilità illimitata.

Un esempio concreto di applicazione si ritrova nei contratti aziendali e settoriali che, in seguito alla riforma, hanno stabilito fasce orarie di non reperibilità, notifiche ridotte fuori servizio e la promozione di pratiche come il “silenzio digitale”. In particolare, grandi aziende francesi, tra cui colossi del settore tecnologico e bancario, hanno introdotto policy per disattivare le e-mail lavorative al di fuori dell’orario di servizio. Questo ha contribuito a ridurre il fenomeno del cosiddetto “burnout digitale” e a migliorare il bilanciamento tra vita professionale e privata.

L’approccio francese è anche emblematico per il riconoscimento dell’impatto psicologico della costante reperibilità. La normativa pone al centro il benessere del lavoratore, riconoscendo che la capacità di “staccare” dal lavoro non è solo una questione tecnica, ma un diritto fondamentale che incide sulla salute mentale, sulla produttività e sul senso di soddisfazione personale.

La situazione del diritto alla disconnessione dal lavoro in Italia: un quadro frammentato

In Italia, il diritto alla disconnessione è stato introdotto nel 2017 attraverso la legge n. 81, dedicata al lavoro agile. Tuttavia, a differenza del modello francese, il legislatore italiano ha adottato un approccio meno strutturato: il diritto alla disconnessione non è stato riconosciuto in modo esplicito e universale, lasciando che la sua applicazione fosse definita caso per caso, mediante accordi individuali tra datore di lavoro e dipendente.

Secondo l’articolo 19 della normativa, ogni accordo di lavoro agile deve specificare:

  • i tempi di riposo del lavoratore;
  • le misure organizzative e tecniche per garantire la disconnessione dalle tecnologie aziendali.

Queste disposizioni, pur rappresentando un passo avanti, hanno generato ambiguità e applicazioni non uniformi. In assenza di un quadro normativo chiaro e vincolante, molti lavoratori continuano a subire le conseguenze di una reperibilità costante, con notifiche e richieste lavorative che arrivano ben oltre l’orario stabilito.

Recenti sviluppi: verso una normativa più chiara

Nel 2021, due accordi interconfederali hanno cercato di dare maggiore concretezza al principio della disconnessione. Uno di questi riguarda il settore pubblico, mentre il Protocollo nazionale sul lavoro agile si focalizza sui lavoratori privati. Questi accordi, pur rappresentando un passo avanti, hanno un’applicazione limitata, non sempre efficace e spesso circoscritta a specifiche categorie contrattuali.

Nel tentativo di colmare il vuoto legislativo, è stata recentemente depositata una proposta di legge alla Camera, promossa dal Partito Democratico. Il testo mira a definire regole più rigide, stabilendo che:

  • Fuori dall’orario di lavoro e per almeno 12 ore consecutive dopo il turno, il lavoratore non debba ricevere comunicazioni aziendali, se non in casi di emergenza;
  • Le aziende si impegnino a rispettare questi limiti, pena sanzioni o altre conseguenze legali.

Un tentativo di estendere la tutela a tutti i lavoratori

L’ambizione di questa proposta è di natura inclusiva: non limitarsi ai soli lavoratori dipendenti, ma estendere la protezione anche a categorie spesso trascurate, come i lavoratori autonomi e i liberi professionisti. Questi ultimi, infatti, sono particolarmente esposti a richieste incessanti, spesso senza limiti di orario.

Per garantire tale estensione, il testo invita le associazioni professionali e gli ordini di categoria a modificare i propri codici deontologici, adeguandoli alle nuove esigenze di tutela. Questo aggiornamento, se approvato, rappresenterebbe un importante riconoscimento della necessità di proteggere la salute mentale e la qualità della vita anche dei lavoratori indipendenti.

Qui il testo della proposta di legge alla Camera.

L’impatto negativo della mancata disconnessione sul benessere dei lavoratori italiani

L’assenza di una normativa chiara e uniforme sul diritto alla disconnessione in Italia ha conseguenze significative sulla vita dei lavoratori, sia in termini di salute fisica che psicologica. La reperibilità continua, alimentata dall’uso pervasivo di e-mail, messaggi e piattaforme di collaborazione digitale, rischia di sfociare in una vera e propria “cultura della connessione permanente”, con effetti deleteri a più livelli.

Stress e salute mentale

Il sovraccarico digitale derivante dalla mancanza di confini netti tra vita lavorativa e privata contribuisce ad aumentare i livelli di stress, ansia e affaticamento mentale. Studi internazionali hanno dimostrato che il burnout – un esaurimento psicofisico legato al lavoro – è strettamente correlato all’assenza di pause adeguate e alla pressione costante di rispondere a richieste aziendali. In Italia, questa condizione si manifesta soprattutto nei settori più esposti al lavoro agile, come la pubblica amministrazione, i servizi professionali e il commercio.

Calo della produttività

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, la reperibilità continua non si traduce in una maggiore produttività. Anzi, l’incapacità di “staccare la spina” può portare a una riduzione dell’efficienza lavorativa, a causa della stanchezza accumulata e della difficoltà a mantenere concentrazione e creatività. I lavoratori costantemente sotto pressione tendono a commettere più errori, ad avere tempi di risposta più lenti e a sviluppare un senso di insoddisfazione che incide negativamente sulla qualità del lavoro svolto.

Impatti sulle relazioni personali

La mancata disconnessione non si limita a danneggiare il singolo lavoratore: ha ripercussioni anche sulla sua sfera privata e familiare. Le continue notifiche e richieste di lavoro durante il tempo libero riducono il tempo dedicato alla famiglia, agli amici e agli interessi personali, minando la qualità delle relazioni e alimentando sentimenti di isolamento.

Diseguaglianze sociali

Un altro effetto collaterale è rappresentato dall’ampliamento delle disuguaglianze sociali. I lavoratori con maggiore autonomia e risorse, come manager e professionisti qualificati, sono spesso in grado di negoziare tempi di disconnessione più flessibili, mentre le categorie meno tutelate – come i precari o i lavoratori a bassa qualifica – subiscono maggiormente la pressione di essere costantemente disponibili. Questo squilibrio aggrava ulteriormente le disparità già esistenti nel mondo del lavoro.

Rischio per la salute fisica

La prolungata esposizione alle tecnologie senza pause adeguate può anche avere effetti diretti sulla salute fisica. Problemi come disturbi del sonno, dolori muscoloscheletrici e affaticamento visivo sono sempre più frequenti tra i lavoratori italiani. Inoltre, il tempo eccessivo trascorso davanti agli schermi riduce le opportunità di attività fisica, contribuendo a stili di vita sedentari che possono favorire malattie croniche.

Un futuro sostenibile richiede una risposta urgente

Se l’Italia non affronta in modo tempestivo il problema della disconnessione lavorativa, le conseguenze saranno sempre più gravi e diffuse. Il benessere dei lavoratori non è solo una questione di tutela individuale, ma un investimento per il futuro del sistema produttivo e sociale del Paese. Adottare misure efficaci per garantire il diritto alla disconnessione non significa limitare la flessibilità lavorativa, ma preservare la salute e la dignità di chi lavora, creando un equilibrio sostenibile tra vita privata e professionale.

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