Beatrice, il dramma che conferma: basta trafficanti di morte

La nostra è l'epoca della pluralità delle immagini, della parcellizzazione e della moltitudine. Ciò che un tempo era l'immagine uguale per tutti - una e una soltanto fu quella dell'impronta del primo uomo sulla luna o del ritrovamento del corpo di Aldo Moro- da quando è esplosa la rivoluzione digitale, prima con le fotocamere, poi con gli smartphone, i punti di vista si sono moltiplicati sottraendo così l'unicità e la singolarità, nonché la potenza, dell'immagine definitiva. Tuttavia qualcosa sfugge al flusso indifferenziato, distratto, e come un tempo si imprime sulla nostra retina e di conseguenza nella nostra mente per via della sua forza esplicita. Ricorrendo al termine abusato, diventa iconica, ovvero simbolica di un dato tempo e luogo. Da ieri questo ristretto catalogo si è arricchito di una nuova fortissima immagine: la bambina salvata, unica sopravvissuta al naufragio dell'ennesimo disperato barcone al largo delle coste italiane. Guardiamola bene la fotografia diffusa dai med

Beatrice, il dramma che conferma: basta trafficanti di morte

La nostra è l'epoca della pluralità delle immagini, della parcellizzazione e della moltitudine. Ciò che un tempo era l'immagine uguale per tutti - una e una soltanto fu quella dell'impronta del primo uomo sulla luna o del ritrovamento del corpo di Aldo Moro- da quando è esplosa la rivoluzione digitale, prima con le fotocamere, poi con gli smartphone, i punti di vista si sono moltiplicati sottraendo così l'unicità e la singolarità, nonché la potenza, dell'immagine definitiva.

Tuttavia qualcosa sfugge al flusso indifferenziato, distratto, e come un tempo si imprime sulla nostra retina e di conseguenza nella nostra mente per via della sua forza esplicita. Ricorrendo al termine abusato, diventa iconica, ovvero simbolica di un dato tempo e luogo. Da ieri questo ristretto catalogo si è arricchito di una nuova fortissima immagine: la bambina salvata, unica sopravvissuta al naufragio dell'ennesimo disperato barcone al largo delle coste italiane.

Guardiamola bene la fotografia diffusa dai media. La ragazzina, undici anni originaria della Sierra Leone, è avvolta in una coperta termica color oro, lo stesso che noi usiamo per decorare il presepe, quell'oro che i re Magi portavano al Bambin Gesu per festeggiarne la venuta al mondo. Di lei si vede poco, appena un ciuffo di capelli neri e gli occhi spalancati, ancora terrorizzati da ciò che hanno dovuto vedere, affidati alla cura e alla carità di una giovane donna, una madre forse, chinata su di lei a proteggerla e riscaldarla.

Perché questa immagine ci commuove, colpisce al cuore i nostri più autentici sentimenti di solidarietà? Perché è intrisa di pietas cristiana, cardine culturale e spirituale della società in cui abbiamo la fortuna di vivere. Concetti che altrove sfuggono, non occupano posti di rilevo nella scala di valori del mondo degli adulti; mentre per noi un bambino va comunque protetto e gli si deve garantire il diritto di vivere, altre culture non danno lo stesso peso all'esistenza, troppo forte è l'azzardo, la scommessa.

Smentendo Pasolini, il poeta, vivere o morire non sono la stessa cosa, soprattutto in età così giovane, secondo il normale flusso dell'esistenza con tanto tempo davanti. Ecco perché costringere un bambino su un barcone e metterlo di fronte a morte pressoché certa, dopo atroci sofferenze, è barbarie, bestialità.

Nell'iconologia cristiana madre e figlio vengono raffigurati come un unico indissolubile e l'uomo non può osare a dividere ciò che Dio ha voluto insieme, anche nella disperazione, persino nel dramma. Tra poco sarà Natale e allora possiamo provare a leggere questo scatto con il sollievo del lieto fine, soprattutto se confrontato a un'altra immagine altamente drammatica di infanzia violata, alcuni anni fa, il bambino siriano trovato morto sulla spiaggia greca, reclinato come stesse dormendo, che all'epoca fece molto discutere sull'opportunità se pubblicarla o meno.

Qui andiamo controcorrente e affermiamo che non c'è nulla di confortante, piuttosto offre ancora una volta l'occasione per riflettere. Non devono partire queste persone disperate, bisogna impedire di far morire i loro bambini, provare ad aiutarli in ogni modo e non ricordarsene solo enumerando la quantità di deceduti senza nome, a fini meramente strumentali, se ce ne erano di più con il governo di sinistra o ora con quello di destra.

Martin Amis in Koba il terribile riportò una citazione di Stalin, «la morte di un uomo una tragedia, migliaia di morti una statistica». Invece noi crediamo nel rispetto e nella difesa della vita umana, per cui la salvezza della bambina sopravvissuta al naufragio è sì una gioia ma piccola se paragonata all'indignazione verso chi affida alle onde nel mare tanti poveracci insieme ai loro figli. Ditegli piuttosto che qua non si può più e che imparino a preservare l'esistenza dei bambini là dove sono nati, che sarà sempre meno tragico di vederli morire travolti dal mare.

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