Burocrati, lobby e spie: il “deep state” che non vuole Trump
L'insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca per il suo secondo mandato ha scatenato un'ondata di reazioni ostili da parte di quello che lui stesso ha sempre definito il "Deep State": un intreccio di burocrazia permanente, lobby finanziarie e apparati di intelligence che, al di là delle elezioni, lavorano nell'ombra per preservare un determinato ordine di potere. Un sistema che si oppone a qualsiasi tentativo di ribaltare lo status quo e che oggi si sta riorganizzando per impedire l'attuazione delle riforme conservatrici promesse da Trump. La prima linea di resistenza è rappresentata dal sistema giudiziario, con un utilizzo strategico della cosiddetta "lawfare", ovvero la guerra legale condotta attraverso l'uso strumentale delle corti e dei tribunali. Già prima del suo insediamento, la magistratura americana, profondamente influenzata da decenni di nomine progressiste, ha cercato di rallentare il ritorno di Trump con procedimenti giudiziari mirati a delegittimarlo. Ora, l'arma princ
L'insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca per il suo secondo mandato ha scatenato un'ondata di reazioni ostili da parte di quello che lui stesso ha sempre definito il "Deep State": un intreccio di burocrazia permanente, lobby finanziarie e apparati di intelligence che, al di là delle elezioni, lavorano nell'ombra per preservare un determinato ordine di potere. Un sistema che si oppone a qualsiasi tentativo di ribaltare lo status quo e che oggi si sta riorganizzando per impedire l'attuazione delle riforme conservatrici promesse da Trump. La prima linea di resistenza è rappresentata dal sistema giudiziario, con un utilizzo strategico della cosiddetta "lawfare", ovvero la guerra legale condotta attraverso l'uso strumentale delle corti e dei tribunali. Già prima del suo insediamento, la magistratura americana, profondamente influenzata da decenni di nomine progressiste, ha cercato di rallentare il ritorno di Trump con procedimenti giudiziari mirati a delegittimarlo. Ora, l'arma principale è il blocco sistematico delle sue iniziative di governo: dalle politiche sull'immigrazione ai tagli fiscali, ogni decreto esecutivo di Trump viene immediatamente impugnato da giudici legati all'establishment liberal.
Parallelamente, il settore della sicurezza nazionale e dell'intelligence sta lavorando per ostacolare il ritorno di una politica estera basata sull'America First, che minaccia gli interessi di chi, negli ultimi decenni, ha costruito imperi basati su guerre infinite e interventismo globale. La macchina burocratica lavora a rallentatore, depotenziando di fatto la capacità di azione dell'amministrazione Trump, mentre gli apparati di intelligence filtrano selettivamente informazioni per creare caos e instabilità. Un altro fronte della battaglia è quello ideologico e culturale, e qui il progressismo ha trovato un alleato in una parte del mondo cattolico, sfruttando la narrazione secondo cui la linea pro-life e filo-cristiana di Trump sarebbe ormai anacronistica persino rispetto al Vaticano. Da mesi, alcuni ambienti woke hanno iniziato a costruire un nuovo racconto: se persino la Chiesa cattolica, tradizionalmente conservatrice, starebbe abbandonando certe battaglie identitarie (come quella contro l'aborto), allora Trump e il suo elettorato rappresenterebbero un residuo del passato, destinato a essere superato dalla storia. È la classica strategia del divide et impera, usata per mettere in difficoltà i cattolici conservatori e indurli a credere che la loro battaglia per la vita e per la famiglia naturale sia isolata e senza più un sostegno istituzionale. Ma la realtà è ben diversa.
Nonostante le spinte progressiste, la dottrina cattolica non è cambiata: la Chiesa ha sempre ribadito il suo impegno a favore della vita e della famiglia. Tuttavia, alcuni esponenti vicini agli ambienti liberal stanno cavalcando l'ambiguità di certe dichiarazioni per indebolire l'asse conservatore americano. Questo spiega perché negli Stati Uniti vediamo sempre più movimenti woke pronti a strumentalizzare il Vaticano per attaccare Trump, dipingendolo come un estremista religioso isolato, quando in realtà la sua amministrazione rappresenta un baluardo di difesa dei valori cristiani. Quella in corso non è una semplice lotta politica, ma una guerra culturale per il futuro degli Stati Uniti. Il Deep State sta combattendo con ogni mezzo per preservare il modello globalista, tecnocratico e relativista su cui ha costruito il proprio potere, mentre Trump e il suo movimento rappresentano l'ultima grande opposizione a questa deriva. Chi resiste al governo Trump? Non il popolo americano, che lo ha rieletto per portare avanti un'agenda di sovranità, identità e libertà. La resistenza viene dall'alto: dai palazzi del potere, dalle élite finanziarie e da chi, in questi anni, ha prosperato sulla demolizione delle radici cristiane dell'Occidente. Ma se c'è una cosa che la storia americana insegna, è che i grandi leader non si piegano di fronte agli ostacoli. Trump ha già dimostrato di saper sfidare il sistema e vincere. La battaglia è aperta, e la posta in gioco è il destino di un'intera nazione.
Qual è la vostra reazione?