Cent'anni di Paul Newman, un grande talento in un uomo comune
AGI - Ci sono immagini che non appartengono solo alla storia del cinema, ma all'immaginario collettivo. Lo scambio di sguardi con Robert Redford prima della scena finale di 'Butch Cassidy', quello con Elizabeth Taylor sul letto sfatto di 'La gatta sul tetto che scotta', quello in fondo al bicchiere di whisky ne 'Il verdetto'. Sguardi, sempre sguardi e del resto non potrebbe essere altrimenti se gli occhi sono quelli di Paul Newman, intensi e pacati, magnetici e seducenti. Lo stesso sguardo in cui il 6 agosto del 1945, a 300 km da Hiroshima, si impresse il bagliore della prima bomba atomica, una cosa di cui l'attore, all'epoca mitragliere su un bombardiere, non parlava mai volentieri. Uno sguardo che ha abbagliato il mondo e dietro il quale c'erano non solo un grande talento ma un uomo comune, tormentato dalla morte del figlio, innamorato della seconda moglie tanto da avere uno dei matrimoni più longevi di Hollywood, discreto e dedito alle cause umanitarie quasi quanto alle corse
AGI - Ci sono immagini che non appartengono solo alla storia del cinema, ma all'immaginario collettivo. Lo scambio di sguardi con Robert Redford prima della scena finale di 'Butch Cassidy', quello con Elizabeth Taylor sul letto sfatto di 'La gatta sul tetto che scotta', quello in fondo al bicchiere di whisky ne 'Il verdetto'. Sguardi, sempre sguardi e del resto non potrebbe essere altrimenti se gli occhi sono quelli di Paul Newman, intensi e pacati, magnetici e seducenti.
Lo stesso sguardo in cui il 6 agosto del 1945, a 300 km da Hiroshima, si impresse il bagliore della prima bomba atomica, una cosa di cui l'attore, all'epoca mitragliere su un bombardiere, non parlava mai volentieri.
Uno sguardo che ha abbagliato il mondo e dietro il quale c'erano non solo un grande talento ma un uomo comune, tormentato dalla morte del figlio, innamorato della seconda moglie tanto da avere uno dei matrimoni più longevi di Hollywood, discreto e dedito alle cause umanitarie quasi quanto alle corse automobilistiche. Domani avrebbe compiuto cento anni: era nato il 26 gennaio del 1925 in un sobborgo di Cleveland, in Ohio, da padre ebreo e madre slovacca.
Nella sua lunga filmografia figurano titoli essenziali nella storia del cinema, come il già citato 'La gatta sul tetto che scotta' (1958), 'Lo spaccone' (1961) e "La stangata" (1973), ma Paul Newman è stato un po' tutto: appassionato sportivo, imprenditore e filantropo. Nonostante la sua carriera sia stata brillante, ha avuto il suo primo Oscar (onorario) solo nel 1986, esattamente un anno prima di conquistare quello come miglior attore per una delle sue interpretazioni meno brillanti: "Il colore dei soldi" con Tom Cruise, diretto da Martin Scorsese.
La carriera tra disastri e successi
"È stato come rincorrere una bella donna per 80 anni", disse dopo aver ricevuto la statuetta (seguirono altre due nomination nel 1994 e nel 2022) e prima dell'addio al cinema con 'Era mio padre' al fianco di una star del livello di Tom Hanks e diretto da Sam Mendes. Dopo aver lasciato la scuola d'arte drammatica della Yale University, si iscrisse all'Actors Studio di New York ed esordì nel 1953 in teatro a Broadway con 'Picnic'. Fu un successo tanto grande quanto fu disastroso il debutto nel cinema: la sua interpretazione ne 'Il calice d'argento' fu talmente deludente che il New Yorker la paragonò a un autista di autobus che annuncia le fermate e lo stesso Newman comprò una pagina su un quotidiano nazionale per chiedere scusa.
La svolta venne però appena due anni dopo quando, nei panni di Rocky Graziano in 'Lassù qualcuno mi ama' (ruolo che sarebbe dovuto essere di James Dean) colpì la critica che vide in lui il prossimo Marlon Brando.
Una carriera costellata non solo di successi, ma anche di aneddoti che ne rivelano lo spessore umano, come quando offrì parte del proprio compenso perché Susan Sarandon, co-protagonista in 'Twilight' avesse lo stesso trattamento economico. Come regista fu dietro la macchina da presa per "La prima volta di Jennifer" del 1968, candidato all'Oscar come miglior film, e "Gli effetti dei raggi gamma sui fiori di Matilda" del 1972.
Newman il filantropo
Il suo ultimo lavoro cinematografico è stato nel film d'animazione Pixar "Cars" (2006), in cui ha prestato la voce al personaggio di Doc Hudson. Insieme allo scrittore Aaron Edward Hotchner, nel 1982 fondò la Newman's Own, un'azienda alimentare specializzata in produzioni biologiche i cui ricavi vengono destinati a scopi umanitari ed educativi.
La vita familiare è stata segnata dalla morte dell'unico figlio maschio, Scott, stroncato a 28 anni da un'overdose e al quale dedicò lo Scott Newman Center, un centro per prevenzione della dipendenza da droghe. Dalle due mogli - le attrici Jackie Witte e Joanne Woodward - ebbe cinque figlie, ma oltre al cinema e alla famiglia la sua passione erano le corse automobilistiche, scoperte dopo aver recitato nel film "Indianapolis pista infernale" del 1969.
Dopo un periodo dedicato all'apprendimento delle tecniche di guida in cui venne istruito da Bob Bondurant, agli inizi degli anni settanta iniziò la carriera di gentleman-driver, pilota non professionista, prendendo lunghi periodi di pausa dalle riprese cinematografiche per partecipare alle gare nei circuiti statunitensi, dove andava in camper portandosi dietro famiglia e amici. Anche lì finì per affermarsi, arrivando secondo alla 24 Ore di Le Mans nel 1979 e accumulando notevole collezione di auto da competizione.
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