Dalla Cuzzocrea a Saviano fino ad Amadeus: ecco chi ha perso a Sanremo

Il colpo di grazia, al coro che si è levato dai salotti progressisti contro questo Festival, accusato di essere lontano dall'attualità e scansare i temi forti, l'ha dato Gino Cecchettin. Ieri, per malore e per dolore, è morta sua madre e il padre di Giulia, idolatrato dai critici di questo Sanremo, l'ha ricordata postando le parole di Quando sarai piccola. La canzone di Simone Cristicchi ha irritato gli orfani di Amadeus e dei pistolotti politici all'Ariston, perché «romanticizza il dolore e trascura tutto ciò che è impegno», come ha scritto su Repubblica Annalisa Cuzzocrea, coscienza della sinistra non più popolare, ma ha saputo arrivare al cuore di Gino, e forse anche consolarlo. I critici di Carlo Conti vogliono la realtà, si lamentano di uno show che è solo canzoni; ora la realtà gli ha dimostrato che quelle canzoni, in tre giorni, sono già parte della vita degli italiani. Solo loro non ci trovano nulla, forse perché, imprigionati tra ideologie green e ossessioni politicamente corr

Dalla Cuzzocrea a Saviano fino ad Amadeus: ecco chi ha perso a Sanremo

Il colpo di grazia, al coro che si è levato dai salotti progressisti contro questo Festival, accusato di essere lontano dall'attualità e scansare i temi forti, l'ha dato Gino Cecchettin. Ieri, per malore e per dolore, è morta sua madre e il padre di Giulia, idolatrato dai critici di questo Sanremo, l'ha ricordata postando le parole di Quando sarai piccola. La canzone di Simone Cristicchi ha irritato gli orfani di Amadeus e dei pistolotti politici all'Ariston, perché «romanticizza il dolore e trascura tutto ciò che è impegno», come ha scritto su Repubblica Annalisa Cuzzocrea, coscienza della sinistra non più popolare, ma ha saputo arrivare al cuore di Gino, e forse anche consolarlo. I critici di Carlo Conti vogliono la realtà, si lamentano di uno show che è solo canzoni; ora la realtà gli ha dimostrato che quelle canzoni, in tre giorni, sono già parte della vita degli italiani. Solo loro non ci trovano nulla, forse perché, imprigionati tra ideologie green e ossessioni politicamente corrette, hanno perso il treno e sono rimasti tagliati fuori da ciò che riguarda le persone.

Sanremo è poco impegnato, «scarico, senza scelte coraggiose, un mix di preoccupazioni e nostalgia», si erano lamentati autorevoli onorevoli del Pd, accusando la destra al governo di averlo condizionato, se non proprio di averglielo espropriato per mandato elettorale. Poi arriva Roberto Benigni, esalta Sergio Mattarella, prende in giro Matteo Salvini, manda Elon Musk e Giorgia Meloni in luna di miele su Marte, dice che ormai vogliono salire tutti sul carro di Fratelli d'Italia, e si scopre che anche all'Ariston si può parlare di politica. A condizione di saperlo fare, ovverosia di saper essere leggeri e continenti. E così, su Marte, il comico toscano spedisce anche Roberto Saviano, che aveva appena accusato il Festival di essere sovranista, perché non parla di immigrazione e guerre. Risultato, idem, come i loro amici nei media che si spellano le mani in sala stampa per applaudire Elodie e Giorgia che dicono (cosa stranota) che non votano Meloni, finiscono ko. Cancellati dal loro guru, il Pinocchio che non mente e li boccia senza neppure parlare di loro: «Me ne intendo, la premier dura...». Schlein, che a ben ragione è stata zitta, rompendo il silenzio solo per dire che Cristicchi le piace, perde due volte, all'Ariston è minoranza nel suo partito sconfitto dall'auditel e non solo.

 

 

Il Festival venerdì sera ha toccato il 70,8% di share, con una media di tredici milioni e mezzo di spettatori, tre punti e due milioni in più rispetto ai record di Amadeus 2024, altro sconfitto, per gli ascolti di questa 75esima edizione e per i suoi sul Nove. Anziché applaudire il successo altrui, i circoletti sinistri criticano; salvano Benigni e Geppi Cucciari, idoli di casa, faticano con Nino Frassica, bravo ma non della parrocchia, e si perdono nelle loro contraddizioni. Come da migliore tradizione divisi: c'è chi sostiene che questo Sanremo è povero perché sono solo canzonette e chi afferma che è tutto amore eterosessuale, bambini, famiglia, insomma è stato colonizzato, è arrivata la restaurazione. Si decidessero.

Li aiuterebbe, a raccapezzarsi, la solita realtà, non cercassero di sfuggirle così pervicacemente. Questo Festival nazional popolare e in odore di passato, tra Pippo Baudo e lo Scudo Crociato, ha avuto i picchi d'ascolto tra i laureati e i giovanissimi, che sono il potenziale bacino elettorale della sinistra colta, competente e al passo coi tempi. Analizzare i dati potrebbe servire a capire... Perde anche Giuseppe Conte, che almeno tace, ma il suo silenzio non fa scordare che è stato il capofila degli attacchi alla tv pubblica, quando Amadeus annunciò il suo addio: «Perdita gravissima, azienda condannata al declino», aveva vaticinato, mentre gli uomini di Elly preparavano un'interrogazione in Vigilanza Rai, profetizzando che «presto anche il cavallo lascerà Viale Mazzini». Comunque, a chi si ostina a dire che è un Festival piatto, occorre rammentare che qualcosa è pur successo. Abbiamo scoperto che Achille Lauro non è poi così fluido, forse gli anni scorsi lo faceva per moda, abbiamo visto che Fedez sa dare la colpa di qualcosa anche ase stesso, oltre a imputare sempre gli altri, e che su Tony Effe aveva ragione il sindaco Roberto Gualtieri e i romani, a non averlo sul palco a Capodanno, si sono persi poco.

Forse è ingeneroso, ma è il prezzo della fama. Come simbolo dei predicozzi archiviati senza rammarico dai telespettatori, inseriamo tra gli sconfitti Chiara Ferragni; il suo monologo sulle donne in quell'abito trasparente che la svestiva era il simbolo dell'ipocrisia delle precedenti edizioni. Agli orfani delle prediche non mancano politica e riflessione, perché esse comportano il dibattito, che era escluso dai discorsi dal palco. Manca l'impulso pedagogico, l'ambizione di educare le masse, veicolata da testimonial improbabili per arrivare a un pubblico al quale i registi dell'operazione risultavano sempre più indigesti. 

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