Gaza. +972 Magazine svela le zone di morte

Aprile 14, 2025 - 12:30
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Gaza. +972 Magazine svela le zone di morte

di Daniela Binello –

E’ dal 7 ottobre 2023 che i media israeliani non mostrano le stragi compiute a Gaza dall’Idf (Israel Defense Forces). C’è però un giornale indipendente realizzato in collaborazione fra reporter israeliani e palestinesi che rappresenta una vera eccezione. La testata online, in lingua inglese, si chiama +972, esattamente come il prefisso internazionale dei numeri telefonici di Israele e Palestina, a cui è stata aggiunta la specifica di Magazine (rivista). In lingua ebraica esiste anche la sua versione gemella, che si chiama Local Call (chiamata locale). Entrambe le testate producono reportages e inchieste giornalistiche su Israele, Gaza, Cisgiordania e i territori occupati. Il collettivo di giornalisti israeliani e palestinesi indipendenti collabora insieme dall’estate del 2010.
Haggai Matar (41 anni, israeliano) è il direttore esecutivo di +972 Magazine, mentre Ghousoon Bisharat (40 anni, palestinese con cittadinanza israeliana) ne è la direttrice responsabile. La redazione è composta da israeliani e palestinesi che operano sul campo, anche da Gaza, e che con l’aiuto di attivisti locali realizzano scoop e inchieste decisive, come quella sul programma d’intelligenza artificiale Lavender (lavanda). Un sistema usato dall’Idf per individuare e localizzare potenziali partecipanti palestinesi alla lotta armata di Hamas e ucciderli, tramite droni e bombardamenti, in assenza di supervisione umana. Ma non è così semplice, perché il risultato è stato quello di colpire migliaia di vittime civili che nulla avevano a che fare con i target individuati da Lavender, in quanto civili con l’unica colpa di trovarsi all’interno delle abitazioni o delle strutture bombardate, senza altri criteri selettivi e in violazione di tutte le convenzioni del diritto internazionale. Un altro punto critico riguarda la certezza sull’identità dei colpevoli classificati da Lavender che non può essere dimostrata come infallibile. Lavender, infatti, non è stato programmato contemplando i diritti dei civili che si trovano in aree di conflitto. Sembra, anzi, che sia stato creato esclusivamente per annientare obiettivi che corrispondono a determinate caratteristiche, lasciando prendere all’algoritmo la “decisione” di dove colpire.

Spiega Matar: “È una sfida molto grande: vogliamo offrire i nostri reportages sia al pubblico internazionale sia a quello israeliano, anche se è molto difficile ed estremamente pericoloso lavorare in questo modo. Spesso +972, che pubblichiamo in inglese, viene citato da diverse testate in tutto il mondo e i nostri articoli sono stati tradotti in tantissime lingue, mentre quello che è sul sito in ebraico non viene mai ripreso dai media mainstream interni. Quindi la nostra percezione è quella di avere tanti lettori, ma pochissima o quasi nessuna influenza sulla società israeliana, infarcita perlopiù di vere e proprie menzogne”.

Haggai Matar in una serie d’interviste ha detto che il nazionalismo e il giornalismo israeliano sono strettamente interconnessi e che l’evidenza di questa sinergia è ancora più forte dopo il 7 ottobre 2023. La maggior parte dei media in lingua ebraica, spiega lui, si concentra soprattutto sulla vita e le esigenze degli israeliani ebrei, mentre si parla molto poco dei palestinesi, che vengono dipinti indiscriminatamente come gli autori dei massacri contro gli israeliani e non come esseri umani molto spesso estranei alle deliranti politiche di Hamas. Le narrazioni giornalistiche sui media israeliani, quindi, non tengono conto della stragrande maggioranza dei palestinesi che come tutti gli esseri umani cercano di condurre una loro vita, che hanno una cultura, un lavoro, una famiglia e dei figli.

Il 7 ottobre ha rappresentato uno choc per tutti. Questo è innegabile, tuttavia quello che ne è seguito ha portato alla escalation del contesto attuale, una tremenda vendetta che si sta risolvendo in un massacro di proporzioni gigantesche. Matar lo considera un fallimento del giornalismo israeliano e dice: “Siccome non è mai stato raccontato bene il contesto, oggi in Israele non si sa il motivo reale del perché i palestinesi fanno resistenza e non si spiega il perché dei sentimenti di astio fra i due popoli. Nessuno di noi vuole giustificare quello che ha fatto Hamas, ma nella situazione attuale i media israeliani non informano come si deve e ciò li ha portati a rappresentare gli israeliani unicamente come vittime. In questo contesto, coloro che invocano il cessate il fuoco, contestando quello che stanno subendo i civili a Gaza, viene immediatamente bollato di antisemitismo e di alto tradimento nei confronti di Israele”.

Le immagini della morte e delle distruzioni di massa, con i palestinesi ridotti alla fame, senza aiuti e privi di fondamentali cure sanitarie non raggiungono il pubblico israeliano. Le immagini non vengono trasmesse dai media mainstream e quando giungono ciò avviene sempre in forma accusatoria ai danni dei palestinesi. “Non è che gli israeliani non vedano le immagini del conflitto – chiarisce Matar -, ma hanno una visione di Gaza completamente disumanizzata. Vengono mostrati i carri armati che distruggono le case, si vedono le macerie, ma non si vedono mai le persone che ci abitavano. Mostrare e nascondere ciò che risulterebbe scomodo e che alimenterebbe domande legittime è quello che si sta facendo”.

Quando viene detto che la comunità internazionale sta perdendo la pazienza con Israele, ad esempio per il trattamento disumano dei profughi palestinesi nella Striscia di Gaza, la loro resistenza civile non viene assolutamente coperta, così come non vengono trattate le alternative a perpetrare il conflitto armato. Quello che si copre è soltanto la narrazione che proviene dalle dichiarazioni del governo israeliano. “Tutto ciò è fatto apposta per farci vedere il conflitto armato come l’unica strada possibile”, conclude il direttore esecutivo di +972 Magazine.

I giornalisti di +972 Yuval Abraham (30 anni, giornalista e regista israeliano) e Basel Adra (29 anni, regista e avvocato attivista palestinese) sono stati premiati al Festival del Cinema di Berlino nel 2024 per il documentario No Other Land che racconta la vita dei palestinesi nei territori occupati. Il film è stato scritto, diretto e prodotto da un collettivo israelo-palestinese formato, oltre che da Yuval Abraham e Basel Adra, anche da Rachel Szor (31 anni, direttrice della fotografia israeliana) e Hamdan Ballal (36 anni, regista palestinese). Nel 2025 a Los Angeles No Other Land è stato insignito dell’Oscar come miglior documentario. Un riconoscimento che ha contrariato molto chi decide in Israele, che da anni appoggia le azioni violente dei coloni, protetti dall’esercito israeliano, per occupare in Cisgiordania terreni come quelli documentati nel film: territori abitati dai palestinesi che lottano per evitare l’espulsione, che sarà però inevitabile per come si sono messe nel peggior modo possibile le cose.

Lo scorso 24 marzo circa venti coloni israeliani hanno circondato e lanciato pietre contro la casa di Hamdan Ballal a Susiya, nella zona di Masafer Yatta, quella raccontata dal documentario vincitore dell’Oscar. E’ un’area che si trova a una decina di chilometri a sud della città palestinese di Hebron. Il regista era uscito in strada per filmare l’aggressione, ma è stato bloccato mentre cercava di rientrare nella sua casa. Buttato a terra, malmenato e colpito con i calci dei fucili, è stato poi tratto in arresto dai militari presenti. La notizia è subito circolata e ciò potrebbe essere stato d’aiuto a Ballal, che il 25 marzo è stato rilasciato e ha potuto fare ritorno a casa sua, sebbene provato e malconcio.

Intanto si sta verificando un nuovo fenomeno. All’interno delle università israeliane sono state create le cosiddette world rooms (stanze internazionali) in cui gli studenti israeliani parlano con altri studenti stranieri, per far sì che questi veicolino informazioni sui loro social media in diverse lingue, per diffondere determinati messaggi. Di solito i messaggi sono collegati ad organizzazioni di stampo sionista attive in tutto il mondo, che hanno l’interesse di far circolare una narrazione sempre riconducibile a quella ufficiale del governo israeliano. “Ci sono Ong e attivisti supportati dal governo che hanno creato una rete globale per diffondere informazioni verosimili o addirittura false per alimentare la propaganda”, spiega Matar.

Adesso +972 sta indagando sulle cosiddette zone di morte, che sono aree della Striscia di Gaza dove chiunque si azzardi a entrare viene ucciso senza alcun altolà e avvertimento. E’ una strategia che si allargando occupando sempre più spazi dentro la Striscia, ad esempio lungo tutti i suoi confini, anche per oltre un chilometro e mezzo dalle linee di frontiera. I palestinesi, quindi, non solo hanno a disposizione sempre meno territorio dove ammassarsi per cercare un rifugio, e dove comunque rischiano in qualsiasi momento di perire sotto i bombardamenti, ma non possono neanche andare a cercare un po’ di cibo in porzioni di terra rurale, dove fra le erbacce cresce qualche vegetale più o meno commestibile. Dalle zone di morte non si esce vivi, ma qualche palestinese si azzarda lo stesso, per fame e disperazione, a tentare la sorte. Zone cuscinetto vicino alle frontiere, corridoi di sicurezza, strade e perimetri esclusivamente riservati all’Idf: tutto concorre a frammentare e isolare i superstiti di Gaza, sempre più travolti da un destino atroce.
Perché +972 Magazine ha scelto di fare un giornalismo di denuncia così pericoloso? “Perché se non lo facessimo io non riuscirei a guardarmi allo specchio ogni mattina. Il giornalismo svolge un ruolo fondamentale se cerca di dire e mostrare la verità ed è tanto più importante fare tutto questo, proprio in questo momento”, conclude Haggai Matar.

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