Gaza. I riservisti israeliani firmano un appello per porre fine alla guerra

Aprile 11, 2025 - 20:00
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Gaza. I riservisti israeliani firmano un appello per porre fine alla guerra

di Giuseppe Gagliano –

Nel pieno di una guerra logorante e controversa, Israele si ritrova a fronteggiare non solo Hamas, ma anche le crepe sempre più profonde al proprio interno. L’ultima frattura si è aperta tra i ranghi delle forze armate: circa un migliaio di riservisti, in servizio o in pensione, dell’Aeronautica israeliana hanno firmato una lettera pubblica per chiedere la fine delle operazioni a Gaza e il ritorno alla diplomazia. La reazione del premier Netanyahu non si è fatta attendere: ha definito i firmatari “marginali ed estremisti” e ha sostenuto la decisione di espellerli dalle forze armate.
Il documento, che ha scatenato un vero terremoto politico, sostiene che la guerra in corso non serva più obiettivi di sicurezza ma interessi politici interni. I firmatari mettono in discussione la strategia militare israeliana, accusandola di mettere in pericolo la vita degli ostaggi nelle mani di Hamas e di alimentare un conflitto che diventa sempre più autoreferenziale.
La risposta di Netanyahu, pubblicata via social, è emblematica della sua linea: nessuna concessione al dissenso, nessuna apertura al dialogo. Per il premier, ogni voce critica è un nemico interno che mina l’unità nazionale e rafforza i nemici. Un ragionamento che, in realtà, sottolinea la fragilità del fronte interno israeliano.
La repressione del dissenso militare, ordinata dal comandante dell’Aeronautica Tomer Bar e dal capo di stato maggiore Eyal Zamir, rischia però di danneggiare la stessa capacità operativa dell’IDF. Secondo Haaretz, molti dei firmatari sono piloti esperti e ufficiali superiori. Solo 25 hanno ritrattato la loro posizione, mentre altri sono stati già informati della loro imminente esclusione dal servizio. Al di là del dato numerico, si tratta della più ampia protesta militare dall’inizio della guerra.
Intanto i numeri del conflitto continuano a crescere in modo spaventoso: oltre 53mila morti palestinesi confermati dal Ministero della Salute di Gaza, 61.700 secondo fonti locali. Migliaia sono ancora sepolti sotto le macerie. Le famiglie degli ostaggi e numerose organizzazioni civiche israeliane si uniscono nel chiedere un cessate il fuoco, accusando Netanyahu di voler prolungare la guerra per motivi politici.
E non è l’unico fronte di tensione. La Corte Suprema israeliana ha congelato temporaneamente il tentativo di Netanyahu di licenziare il capo dello Shin Bet, Ronen Bar, mentre l’agenzia indaga su due suoi consiglieri per presunti finanziamenti dal Qatar. Anche in questo caso, la motivazione ufficiale – “mancanza di fiducia” – nasconde un attacco preventivo all’autonomia di un’istituzione che rischia di incrinare il cerchio magico attorno al premier.
La guerra a Gaza non si combatte solo nei cieli e nelle strade. È diventata una lotta per la sopravvivenza politica di Netanyahu, che ora sembra temere più le voci interne al suo stesso Stato che le milizie avversarie. E in questo nuovo scenario, il dissenso diventa il nemico più insidioso.

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Redazione Redazione Eventi e News