Giornata della Memoria: la Germania, il ricordo e la responsabilità di un’Europa che non può dimenticare
Nella foto: Auschwitz. Foto di ©Daniele Messina Il 27 gennaio è un...
Il 27 gennaio è un giorno che, per molti, è inciso nella memoria collettiva come una ferita, una domanda aperta e un monito costante. È il giorno in cui, nel 1945, il mondo scoprì gli orrori di Auschwitz, il campo di concentramento liberato dall’Armata Rossa e simbolo del genocidio nazista. Ma per la Germania, quel giorno ha un peso ancora più profondo: è un confronto diretto con il proprio passato, una responsabilità storica e morale che si rinnova ogni anno.
La Giornata della Memoria non è solo un tributo alle vittime dell’Olocausto, ma una riflessione su ciò che l’essere umano è stato capace di fare. Ci invita a guardarci nello specchio della storia e chiederci se, davvero, abbiamo imparato qualcosa da quella lezione che la Seconda Guerra Mondiale ha imposto con così tanto dolore.
In Germania, il 27 gennaio è un momento cruciale. È un giorno in cui le istituzioni, le scuole, le famiglie si fermano per ricordare. È il Paese dove tutto è iniziato: le leggi razziali, le deportazioni, le camere a gas. Eppure, è anche il Paese che, più di ogni altro, ha saputo fare i conti con il proprio passato.
Il Bundestag, il parlamento tedesco, organizza ogni anno una cerimonia ufficiale per commemorare le vittime. Monumenti come il Memoriale per gli Ebrei assassinati d’Europa a Berlino o il campo di concentramento di Dachau, trasformato in un luogo della memoria, sono testimonianze tangibili di un impegno che non vuole lasciar sbiadire il ricordo. Ma basta tutto questo?
La domanda fondamentale che dobbiamo porci è: abbiamo davvero imparato? Abbiamo imparato cosa significa lasciar crescere l’odio, permettere che il pregiudizio si trasformi in violenza, tollerare l’indifferenza? Guardando alla Germania di oggi, un Paese democratico e multiculturale, si potrebbe dire di sì. Ma le ombre del passato si proiettano ancora sul presente.
Episodi di antisemitismo continuano a emergere, anche in una società che ha fatto del “Mai più” un mantra collettivo. Luoghi di culto ebraico, scuole e memoriali richiedono ancora protezione, a dimostrazione che il pregiudizio non è mai stato completamente estirpato. Gli eventi recenti, come alcune manifestazioni pro-Palestina svoltesi in università e città tedesche, hanno talvolta dato spazio a retoriche ambigue o apertamente ostili nei confronti della comunità ebraica, dimostrando quanto sia sottile il confine tra critica politica e rigurgiti d’intolleranza. E questo non accade solo in Germania: l’odio, la discriminazione e la polarizzazione stanno trovando terreno fertile in molti Paesi, anche in quelli che si consideravano immuni da simili derive.
Ricordare significa anche riconoscere la nostra fragilità. L’Olocausto non è stato solo il frutto di un’ideologia mostruosa, ma il risultato della complicità, dell’indifferenza e della paura. Cittadini comuni, spesso inconsapevolmente, hanno contribuito a creare un sistema che ha distrutto milioni di vite. Questa consapevolezza ci obbliga a interrogarci su cosa stiamo facendo oggi per evitare che simili tragedie possano ripetersi.
Siamo davvero attenti ai segnali dell’odio? Sappiamo riconoscere il momento in cui il disprezzo diventa pericolo? O ci accontentiamo di relegare il male al passato, credendo che non possa più toccarci?
In Germania, si dice spesso che ricordare non è un atto passivo. È una scelta. Una responsabilità. I giovani tedeschi crescono studiando la storia della Shoah non solo come una tragedia nazionale, ma come una lezione universale. Perché l’Olocausto non riguarda solo il passato della Germania: riguarda il presente e il futuro dell’umanità intera.
Eppure, la memoria rischia sempre di diventare routine, un rituale vuoto ripetuto ogni anno. È qui che sta la vera sfida: trasformare il ricordo in azione, in consapevolezza quotidiana, in un impegno concreto contro l’odio e l’ingiustizia. Non solo in Germania, ma ovunque.
A distanza di 80 anni dall’apertura dei cancelli di Auschwitz, la domanda non è solo cosa ricordiamo, ma come lo facciamo. Ricordare non è un esercizio di retorica o un obbligo formale. È un atto di umanità. È il modo in cui scegliamo di onorare non solo le vittime, ma anche noi stessi, come esseri umani capaci di cambiare, di apprendere, di costruire un mondo migliore.
Elie Wiesel, sopravvissuto all’Olocausto, ci ha lasciato un monito semplice e potente: “Il contrario dell’amore non è l’odio, è l’indifferenza”. Questa indifferenza è ciò che dobbiamo combattere, ogni giorno, in ogni angolo del mondo. Perché la memoria non sia solo un ricordo, ma una forza viva che ci guida nel nostro cammino.
La Giornata della Memoria, per la Germania e per tutti noi, è un invito a non abbassare mai la guardia, a vigilare su noi stessi, sulle nostre parole, sulle nostre azioni. Perché il passato non sia mai il futuro.
Qual è la vostra reazione?