I big della Silicon Valley gelano i dem: niente appoggio e silenzio su Kamala Harris
I proprietari delle grandi aziende tecnologiche della Silicon Valley, solitamente una roccaforte per il voto in favore dei Democratici, restano silenti rispetto alla campagna elettorale negli Stati Uniti. Mentre il repubblicano Donald Trump sta chiudendo la sua campagna con il sostegno militante del patron di Tesla e di X Elon Musk, che pure in passato aveva raccontato di aver votato per Hilary Clinton nel 2016 e per Joe Biden nel 2020. Non sono mancate voci tra le grandi aziende californiane che si sono spese a sostegno della candidata dem Kamala Harris, come il co-fondatore di Linkage, Reid Hoffman, che ha donato 7 milioni di dollari alla campagna della vice presidente degli Usa, e ha detto di nutrire «grandi speranze» che diventi la prima donna presidente degli Stati Uniti. Ma il miliardario ha formulato anche una richiesta: se Harris vincesse dovrebbe nominare un nuovo agente antitrust al posto della attuale guida della Federal Trade Commission Lina Khan. Alcune big tech forse avre
I proprietari delle grandi aziende tecnologiche della Silicon Valley, solitamente una roccaforte per il voto in favore dei Democratici, restano silenti rispetto alla campagna elettorale negli Stati Uniti. Mentre il repubblicano Donald Trump sta chiudendo la sua campagna con il sostegno militante del patron di Tesla e di X Elon Musk, che pure in passato aveva raccontato di aver votato per Hilary Clinton nel 2016 e per Joe Biden nel 2020. Non sono mancate voci tra le grandi aziende californiane che si sono spese a sostegno della candidata dem Kamala Harris, come il co-fondatore di Linkage, Reid Hoffman, che ha donato 7 milioni di dollari alla campagna della vice presidente degli Usa, e ha detto di nutrire «grandi speranze» che diventi la prima donna presidente degli Stati Uniti. Ma il miliardario ha formulato anche una richiesta: se Harris vincesse dovrebbe nominare un nuovo agente antitrust al posto della attuale guida della Federal Trade Commission Lina Khan. Alcune big tech forse avrebbero gradito un approccio diverso al settore durante la presidenza di Joe Biden.
«La Silicon Valley non aveva amici a Washington durante l'amministrazione Biden», ha affermato Anupam Chander, professore del Georgetown Law Center ed esperto di regolamentazione tecnologica, citato dalla Abc. «C'è il Dipartimento di Giustizia, che ha intentato quelle cause antitrust. C'è la Casa Bianca e il Rappresentante per il Commercio degli Stati Uniti - ha aggiunto - che si sono ritirati dagli sforzi per garantire il libero flusso di dati in tutto il mondo». Il Time in estate ha fatto notare che alcuni manager delle grandi aziende della Silicon Valley si stavano schierando con Trump perché ritenuto più amichevole nei confronti del settore. E ancora.
«Il Washington Post non sosterrà un candidato presidenziale in questa elezione. Nè in nessuna futura elezione presidenziale», ha annunciato in settimana l'editore ed Ad del Post Will Lewis. «Stiamo tornando alle nostre radici - ha aggiunto - di non sostenere i candidati presidenziali». Dettaglio non secondario, il quotidiano degli storici scoop sui Pentagon Papers e sul Watergate è di proprietà di Jeff Bezos, il fondatore di Amazon. Il magnate avrebbe inciso sulla decisione di non schierare il quotidiano nonostante, riferisce la Cnn, fosse stata preparata dai redattori una bozza in favore della Harris. Il proprietario di Meta Mark Zuckerberg invece, quando ancora la sfida era tra Joe Biden e Donald Trump, in una intervista a Bloomberg aveva detto che non avrebbe formulato endorsement per nessuno dei due candidati.
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