I rischi geopolitici minacciano le imprese italiane più internazionalizzate: ecco la mappa della vulnerabilità

Il Rapporto sulla Competitività dei Settori Produttivi dell'Istat inquadra la posizione dell'Italia e delle sue imprese alla luce delle dinamiche del commercio internazionale. Un focus particolare è dedicato alla vulnerabilità del sistema produttivo italiano di fronte agli shock economici e geopolitici globali: un tema particolarmente caldo in un periodo di instabilità economica e geopolitica come quello che sta caratterizzando questo inizio 2025. L'analisi, condotta a livello macroeconomico, settoriale e microeconomico, identifica i punti di forza e le debolezze del tessuto produttivo nazionale, evidenziando l'esposizione di settori e filiere alle possibili crisi di export o import. L'articolo I rischi geopolitici minacciano le imprese italiane più internazionalizzate: ecco la mappa della vulnerabilità proviene da Innovation Post.

I rischi geopolitici minacciano le imprese italiane più internazionalizzate: ecco la mappa della vulnerabilità

La tredicesima edizione del Rapporto sulla Competitività dei Settori Produttivi, pubblicato il 20 marzo 2025 dall’Istat, offre un’analisi dettagliata della struttura, della performance e delle dinamiche del sistema produttivo italiano in un momento segnato da crescenti incertezze di natura economica e geopolitica. Il rapporto pone una particolare attenzione alla vulnerabilità del tessuto produttivo nazionale nei confronti della domanda e dell’offerta estera: un tema particolarmente caldo in un periodo di instabilità geopolitica e tensioni protezionistiche come quello che sta caratterizzando l’inizio del 2025.

Sebbene il grado di vulnerabilità e dipendenza complessivo non appaia allarmante, il rapporto evidenzia come i punti di forza che hanno sostenuto la performance dell’export italiano in passato potrebbero trasformarsi presto in elementi di criticità. Il passaggio da uno scenario di globalizzazione a uno di crescente protezionismo impone una riflessione strategica sulla resilienza del sistema produttivo nazionale.

I trend del commercio internazionale e la posizione dell’Europa e dell’Italia

Il primo capitolo del rapporto analizza le tendenze recenti del commercio internazionale, delineando il posizionamento dell’Unione Europea rispetto ai due principali attori globali, Stati Uniti e Cina, e le specificità merceologiche e geografiche dell’esposizione italiana verso i suoi partner commerciali più rilevanti.

Nel 2024 il commercio mondiale ha registrato una marcata accelerazione. Il Fondo Monetario Internazionale ha stimato che c’è stata una crescita del 3,4% dei volumi degli scambi commerciali, in netto aumento rispetto al +0,8% del 2023. A trainare questa crescita sono stati soprattutto i paesi asiatici, Cina inclusa, mentre l’Europa ha continuato a fornire un contributo negativo, a causa soprattutto del conflitto in Ucraina e della debolezza dell’economia tedesca.

Ma il 2024 è stato segnato da forti incertezze a livello globale, come evidenziato dall’impennata degli indicatori relativi all’incertezza della politica globale e delle politiche commerciali, soprattutto verso la fine dell’anno. Tra i fattori che contribuiscono a questa incertezza vi sono le tensioni geopolitiche e l’annuncio di nuovi dazi da parte dell’amministrazione USA. La letteratura economica evidenzia come i dazi possano avere diversi effetti negativi, scoraggiando gli investimenti, riducendo l’efficienza del mercato, distorcendo gli scambi commerciali e creando vincoli alle catene di distribuzione. L’attuale scenario appare particolarmente delicato, in quanto i nuovi dazi potrebbero essere applicati a un numero elevato di prodotti, imposti da un attore – come gli Stati Uniti – che è centrale nelle catene globali del valore, con il rischio di innescare ritorsioni e una vera e propria guerra commerciale.

Questa fase di accresciuta incertezza si inserisce in un trend di lungo periodo caratterizzato da un aumento delle misure restrittive al commercio. Il WTO (l’organizzazione mondiale del commercio) stima che nel 2024 tali misure abbiano riguardato quasi 3.000 miliardi di dollari di importazioni mondiali, pari all’11,8% del totale. Questo contesto ha favorito fenomeni di riallocazione delle produzioni internazionali, come il near-shoring e il friend-shoring, con una conseguente riduzione dell’elasticità del commercio mondiale al PIL.

Analizzando le tendenze di lungo periodo attraverso strumenti di social network analysis, il rapporto evidenzia un processo di regionalizzazione degli scambi tra il 2007 e il 2019, con una relativa marginalizzazione delle relazioni extra-europee. In questo periodo, la Cina ha progressivamente sostituito gli Stati Uniti al centro della rete degli scambi mondiali, polarizzando le relazioni commerciali. Le economie europee hanno visto indebolirsi i legami con i paesi dell’area del Pacifico, entrati stabilmente nell’orbita cinese, e confermare un’accentuazione della regionalizzazione degli scambi.

L’Europa

Il contesto europeo ha accusato le ripercussioni del conflitto russo-ucraino e la recessione della Germania. Il rapporto stima che la recessione tedesca nel 2023 e nel 2024 è costata all’Italia una perdita di circa due decimi di punto di PIL per ciascun anno.

La persistenza di una serie di barriere non tariffarie ancora presenti all’interno del mercato unico europeo ha spinto poi molti paesi europei, Italia in primis, a cercare mercati di destinazione al di fuori dell’Unione Europea, aumentando nel tempo la propria quota di export extra-UE.

Nel 2023 l’UE presentava un grado di apertura commerciale notevolmente superiore a quello degli Stati Uniti e della Cina, rendendola potenzialmente più vulnerabile agli shock esterni. Tra il 2008 e il 2024, l’apertura commerciale dell’UE è cresciuta, mentre è diminuita negli Stati Uniti e in Cina.

L’Italia

L’Italia si colloca tra i paesi europei con una quota di commercio extra-UE particolarmente elevata. Nel 2024 l’esposizione dell’Italia verso gli Stati Uniti (con una quota di mercato superiore al 10% sull’export totale) era simile a quella della Germania e maggiore rispetto a Francia e Spagna, mentre l’esposizione verso la Cina risultava inferiore.

Gli Stati Uniti sono diventati un mercato di primaria importanza per l’Italia, generando surplus commerciali rilevanti, soprattutto nei settori della meccanica, alimentare-bevande-tabacco, tessile-abbigliamento-pelli e mezzi di trasporto. L’export italiano verso gli Stati Uniti è principalmente costituito da prodotti farmaceutici, autoveicoli, navi e imbarcazioni, macchinari e bevande, rendendo questi settori particolarmente sensibili all’imposizione di dazi.

Al contrario con la Germania si registra un disavanzo commerciale in settori chiave come macchinari, autoveicoli, computer, apparecchi elettrici e farmaceutica. È interessante notare come i primi dieci beni esportati verso gli Stati Uniti rappresentino una quota maggiore del totale rispetto a quanto accade per le esportazioni verso la Germania, indicando una maggiore concentrazione dell’export verso il mercato statunitense.

Dipendenza e vulnerabilità: i settori che rischiano di più

Il rapporto dedica ampio spazio all’analisi della dipendenza e della vulnerabilità del sistema produttivo italiano. La dipendenza viene definita come la rilevanza delle materie prime e dei beni intermedi importati per i processi produttivi nazionali. La vulnerabilità, invece, considera non solo la dipendenza, ma anche il grado di concentrazione geografica delle importazioni: un paese è tanto più vulnerabile quanto più è dipendente da un numero ristretto di fornitori.

Secondo l’indicatore di vulnerabilità calcolato nel rapporto, l’Italia nel 2020 risultava più vulnerabile alle forniture dall’estero rispetto a Germania, Cina e Stati Uniti. Sebbene il divario con la Germania sia diminuito negli ultimi anni a causa di un progressivo aumento della dipendenza tedesca dall’estero, il trend di vulnerabilità per l’Italia mostra una crescita dal 2007-2008, contrariamente a quanto osservato per Cina e Stati Uniti.

Il rapporto declina l’analisi della dipendenza e della vulnerabilità anche a livello settoriale.

La dipendenza settoriale misura il grado in cui materie prime e beni intermedi importati sono necessari per la produzione dei beni italiani. Una mappa di calore nel rapporto illustra le interdipendenze tra settori manifatturieri italiani ed esteri, evidenziando come alcuni comparti italiani, come la chimica-farmaceutica e la gomma-plastica, siano particolarmente dipendenti dai loro omologhi esteri. Un’ampia gamma di manifatture italiane, che include minerali, metalli, metallurgia, elettronica, apparecchi elettrici, macchinari e mezzi di trasporto, risulta fortemente dipendente dalla metallurgia estera. La manifattura estera nel suo complesso spiega circa il 60% del grado di dipendenza complessiva del sistema produttivo italiano. I sette settori manifatturieri italiani più centrali nella rete degli scambi internazionali ne spiegano oltre un quarto.

La vulnerabilità settoriale, ottenuta combinando dipendenza e concentrazione geografica delle importazioni, rivela che i sette comparti manifatturieri più vulnerabili sono coke e raffinazione, chimica, metallurgia, autoveicoli, apparecchi elettrici, elettronica e tessile-abbigliamento-pelli.

La vulnerabilità di chimica e metallurgia è determinata principalmente da un elevato grado di dipendenza dalle produzioni estere, mentre per tessile-abbigliamento-pelli ed elettronica la difficoltà di diversificare geograficamente gli approvvigionamenti gioca un ruolo maggiore.

Rispetto al 2007 la vulnerabilità di farmaceutica, autoveicoli e prodotti in metallo è diminuita, mentre è aumentata per tessile-abbigliamento-pelli, altri mezzi di trasporto, elettronica e apparecchi elettrici.

Nel 2024 la debole dinamica dell’industria italiana si è riflessa in una riduzione del fatturato in valore, con variazioni positive significative solo per la farmaceutica, riparazione e manutenzione macchinari, altri prodotti manifatturieri e bevande, grazie al buon andamento delle vendite sui mercati esteri. Le esportazioni manifatturiere hanno subito una lieve riduzione nel 2024, con una crescita concentrata in pochi settori come le altre industrie manifatturiere (grazie alla gioielleria), alimentare, farmaceutico e bevande, mentre si è registrata una decisa contrazione per autoveicoli, altri mezzi di trasporto e coke e raffinati.

Oltre 23 mila imprese vulnerabili sull’export e 4.600 sull’import

Il terzo capitolo del rapporto adotta una prospettiva microeconomica per analizzare la dipendenza e la vulnerabilità del sistema produttivo italiano nei confronti della domanda e dell’offerta estera a livello di singola impresa.

Viene proposto un nuovo indicatore di vulnerabilità all’import e all’export, che valuta in quale misura le imprese presentino elementi di vulnerabilità alla domanda e alle forniture estere, identificando i segmenti produttivi più a rischio, i paesi verso cui sono più vulnerabili e i prodotti coinvolti.

Per quanto riguarda la vulnerabilità alla domanda estera, definita in base alla quota di fatturato esportato e al grado di concentrazione merceologica e geografica delle esportazioni, nel 2022 si contavano poco più di 23.000 imprese vulnerabili, pari allo 0,5% del totale delle imprese, ma che impiegavano oltre 415.000 addetti e generavano una quota significativa dell’export totale. Queste imprese sono mediamente più piccole e meno diversificate rispetto alle altre esportatrici, e dipendono dai mercati esteri per oltre la metà del loro fatturato, rendendole particolarmente sensibili a eventuali cali della domanda estera. Le imprese vulnerabili all’export sono più numerose in settori come le altre attività manifatturiere, i mezzi di trasporto, gli articoli in pelle, gli autoveicoli e i macchinari.

Tra queste imprese, circa 3.300 avevano gli Stati Uniti come primo mercato di destinazione e quasi 2.900 la Germania. Le imprese vulnerabili verso gli Stati Uniti esportavano prevalentemente prodotti farmaceutici, meccanici, gioielleria, generi alimentari (vini e oli) e mobili, per un valore di circa 10 miliardi di euro. Quelle vulnerabili alla domanda tedesca esportavano soprattutto componentistica per autoveicoli, beni energetici (gas), materiale elettrico, prodotti in metallo e lavori in alluminio, per un totale di circa 13,6 miliardi di euro.

La vulnerabilità all’offerta estera, misurata in base al rapporto tra input importati e costi intermedi, al grado di concentrazione delle importazioni e all’acquisto di prodotti “foreign dependent” (FDP), riguardava nel 2022 circa 4.600 imprese (0,1% del totale), di dimensioni medie maggiori e con una produttività del lavoro superiore alla media. Queste imprese dipendono dall’estero per una quota maggioritaria dei loro costi intermedi e risentirebbero particolarmente della cessazione delle forniture estere di materie prime e beni intermedi. Le imprese vulnerabili all’import sono più numerose nella farmaceutica e nei comparti a monte delle catene produttive come legno, coke e chimica. I principali mercati di origine delle importazioni per queste imprese sono la Germania e, per i paesi extra-UE, la Cina. La Germania è il principale fornitore di prodotti FDP per l’Italia, seguiti da Francia, Spagna, Paesi Bassi e Cina. I prodotti FDP sono definiti nel rapporto considerando la scarsità e la difficile sostituibilità a livello nazionale, distinguendosi da approcci che considerano l’Unione Europea come un unico mercato.

Vulnerabilità di filiera e territoriale

L’analisi della vulnerabilità viene estesa anche alle filiere produttive e al territorio. In ciascuna delle ventotto filiere analizzate, almeno un quarto delle imprese opera sui mercati esteri. Le filiere con una maggiore incidenza di imprese internazionalizzate sono quelle relative a infrastrutture e servizi di trasporto aereo, aerospazio e difesa, trasporto su rotaia e via cavo, trasporto su acqua, energia e farmaceutica.

La quota di imprese vulnerabili all’export è più elevata nelle filiere dei preziosi, dei contenuti audio e audiovisivi, delle apparecchiature elettriche o elettroniche a uso domestico e dell’economia circolare e gestione dei rifiuti. La quota di esportazioni vulnerabili risulta relativamente elevata nelle filiere delle infrastrutture e servizi di telecomunicazione, aerospazio e difesa, utensileria e minuteria non elettrica e farmaceutica. Per il peso ricoperto sull’export manifatturiero totale, la filiera dei mezzi di trasporto su gomma può condizionare più delle altre la vulnerabilità del sistema produttivo in caso di shock della domanda estera.

Dal lato dell’import, la quota di imprese vulnerabili caratterizza soprattutto le filiere delle infrastrutture e servizi di trasporto aereo e di trasporto su acqua. La quota di importazioni vulnerabili è più elevata nella filiera dei mezzi di trasporto su acqua, nella farmaceutica e nelle infrastrutture e servizi per il trasporto aereo, aerospazio e difesa. La filiera dell’energia riveste un ruolo centrale per la vulnerabilità legata all’approvvigionamento.

L’analisi territoriale rivela una vulnerabilità estremamente limitata a livello regionale per quanto riguarda le unità locali. In nessuna regione l’incidenza di unità locali vulnerabili all’export raggiunge l’1%, avvicinandosi a tale soglia in Toscana e in alcune regioni del Nord come Lombardia, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e la Provincia Autonoma di Bolzano.

La quota di unità locali vulnerabili all’import è ancora più contenuta, ovunque inferiore allo 0,5%, con l’eccezione di Bolzano.

Tuttavia, se si considera la quota di export regionale spiegata dalle imprese vulnerabili alla domanda estera, si osserva una maggiore incidenza in Puglia e Calabria, sebbene l’export totale di queste regioni pesi poco sul fatturato complessivo regionale.

Combinando la quota di vulnerabilità e il potenziale impatto sul fatturato totale, l’attenzione dovrebbe rivolgersi ad Abruzzo, Toscana e alla Provincia Autonoma di Bolzano. Per quanto riguarda l’import, la Val d’Aosta presenta una quota elevata di importazioni vulnerabili, sebbene tali importazioni incidano su una quota limitata dei costi intermedi regionali. Quote rilevanti di importazioni vulnerabili si riscontrano anche nella provincia di Bolzano e in Veneto e Sicilia, dove però i costi intermedi si formano prevalentemente da fornitori interni.

Il Rapporto sulla competitività dell’Istat

Rapporto-competitività 2025

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