Il compagno Almasri. La vera storia degli accordi e i centri di tortura creati dalla sinistra

La sinistra che ha creato i centri di tortura libici se la prende con Giorgia Meloni se rimpatria un torturatore. È la solita ipocrisia dem, che ora usa, come una clava contro il governo, il caso Almasri, rilasciato dai giudici della Corte d'appello di Roma per un vizio di forma nel mandato d'arresto della Corte penale internazionale. Per i giudici quella detenzione era illegittima e il Viminale, così come ha fatto liberando suo malgrado i migranti in Albania, ha eseguito il provvedimento della magistratura, disponendo inoltre l'immediato rimpatrio di un pericoloso clandestino che poteva far perdere le proprie tracce. E il Pd, anziché criticare l'operato dei giudici, attacca duramente l'Esecutivo, con il dileggio della segretaria Elly Schlein al presidente del Consiglio. «Giorgia Meloni dichiarava guerra ai trafficanti in tutto il globo terracqueo, ne arrestano uno e lo riaccompagna a casa», ironizza la capa dei dem, pur di non guardare in casa propria. Perché i carcerieri libici come

Il compagno Almasri. La vera storia degli accordi e i centri di tortura creati dalla sinistra

La sinistra che ha creato i centri di tortura libici se la prende con Giorgia Meloni se rimpatria un torturatore. È la solita ipocrisia dem, che ora usa, come una clava contro il governo, il caso Almasri, rilasciato dai giudici della Corte d'appello di Roma per un vizio di forma nel mandato d'arresto della Corte penale internazionale. Per i giudici quella detenzione era illegittima e il Viminale, così come ha fatto liberando suo malgrado i migranti in Albania, ha eseguito il provvedimento della magistratura, disponendo inoltre l'immediato rimpatrio di un pericoloso clandestino che poteva far perdere le proprie tracce. E il Pd, anziché criticare l'operato dei giudici, attacca duramente l'Esecutivo, con il dileggio della segretaria Elly Schlein al presidente del Consiglio. «Giorgia Meloni dichiarava guerra ai trafficanti in tutto il globo terracqueo, ne arrestano uno e lo riaccompagna a casa», ironizza la capa dei dem, pur di non guardare in casa propria. Perché i carcerieri libici come Almasri, e il più noto comandante Bija prima di lui, sono il prodotto delle politiche sull'immigrazione del Nazareno, messe in atto per fermare l'invasione dall'Africa, ormai fuori controllo dopo l'assassinio del colonnello Muhammar el Gheddafi, con il quale l'allora premier Silvio Berlusconi aveva sottoscritto, nel 2008, il Trattato di Bengasi, una cooperazione che aveva posto un freno alle partenze dalla Libia.

 

 

 

Di fronte alle ondate di clandestini sulle nostre coste, e ai naufragi in mare che funestarono il governo Renzi, nel 2017 il ministro dell'Interno dell'esecutivo Gentiloni, Marco Minniti, si rese conto che, per fermare il consenso di Matteo Salvini, doveva inventarsi un piano per l'Africa, per tentare di bloccare le partenze. E mise in piedi una squadra reclutando il Capitano Ultimo, quel Sergio De Caprio che nel 1993 arrestò Totò Riina e che, approdato all'Aise, fu investito del compito di avviare interlocuzioni con le tribù sahariane, al fine di arrivare a una cooperazione che consentisse di fermare i migranti già nel deserto. «Vorrei portare avanti il discorso che riguarda la sicurezza e lo sviluppo dopo che viene fatta la pace» annunciava Capitano Ultimo ai delegati africani, mettendo l'immigrazione clandestina sullo stesso piano della lotta al terrorismo. «Affrontare il tema dell'immigrazione e del terrorismo attraverso meccanismi di controllo delle frontiere, che partono dalla riottimizzazione dei centri di accoglienza, che già esistono in diversi Paesi, l'adeguamento e l'ammodernamento, assumendo nei centri di accoglienza di ciascun Paese inizialmente 50 persone, dico numeri che poi voi correggerete, 50 persone per la sicurezza e 50 assistenti a cui verrà dato uno stipendio dall'Italia e dall'Unione Europea». Una proposta operativa che, davanti alla resistenza dei rappresentanti sahariani, assumeva i contorni di una sorta di ricatto. Perché se le tribù non avessero messo in atto il piano di Minniti, non avrebbero ricevuto aiuti medici, pompe per l'acqua e denari.

 

 

«So bene che i centri di accoglienza non sono una soluzione», replicava De Caprio, «ma io so bene che come tu utilizzi il centro d'accoglienza troverai la soluzione per farli diventare ciò che vuole la libertà e l'indipendenza di ciascun Paese. Ma vogliamo rifiutare l'opportunità di usare i centri di accoglienza per farli diventare sviluppo, fabbriche, quello che ciascun Paese vuole? Non lo so, la vostra saggezza saprà come farlo». E saggiamente, dalle carceri libiche, è nata una generazione di torturatori per la quale il Pd non solo non si è mai stracciato le vesti, ma ha fatto finta di non vedere, trattando criminali nordafricani come interlocutori. Il caso più eclatante è quello del comandante Bija, considerato dalla Corte penale internazionale, che indagava sui suoi crimini, un trafficante di esseri umani e, per questo, colpito dal divieto di viaggio. Eppure, come dimostrano documenti e fotografie, il torturatore libico, ucciso a Tripoli da un commando lo scorso agosto, nel 2017 era in visita in Italia, accolto per una sorta di training sulle procedure operative di contrasto all'immigrazione clandestina, passando dai centri di accoglienza siciliani alla Capitale. «A Roma ho visto diverse persone», aveva detto Bija in un'intervista all'Espresso. «Siamo andati anche alla Guardia Costiera italiana, alla Croce Rossa, al ministero della Giustizia italiano e poi al Viminale», ha assicurato. E su Minniti: «Non so se l'ho incontrato, forse». Una circostanza del tutto smentita dal ministro, che ha negato di aver mai ricevuto il trafficante. Quella visita, comunque, fu fruttuosa, perché due mesi dopo il viaggio in Italia le partenze dalla Libia crollarono drasticamente. Fonti interne rivelarono l'esistenza di una trattativa segreta tra le nostre istituzioni e la guardia costiera libica per catturare la gente in mare e riportarla in quelle prigioni di Tripoli, dove è cresciuto il potere di Almasri. E ora la colpa vogliono darla al governo Meloni.

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