Il finale di Grillo è meritato e sacrosanto

Il finale grottesco della parabola politica di Beppe Grillo é sacrosanto, meritato, inevitabile. Sacrosanto perché c'è un principio semplice semplice di cui questa storia è emblematica: l'antipolitica non può generare buona politica, ma solo cattiva politica, carriere poco significative, chiacchiere a vanvera come se piovesse. Meritato perché proprio Beppe Grillo sommerge i suoi avversari politici del momento (da Berlusconi al PD) con una valanga di critiche, sberleffi, insulti di cui il Vaffa-Day del 2007 a Bologna è solo momento d'avvio, ma il proverbio ricorda che «chi di spada ferisce di spada perisce». Inevitabile perché l'idea grottesca secondo cui una truppa indistinta di ultimi arrivati possa diventare classe dirigente era destinata al fallimento fin dal primo giorno, nonostante le intuizioni di Roberto Casaleggio.     Eccoci quindi alla definitiva umiliazione del fondatore, cui viene negato l'ultimo «lascito» disponibile per quello che una volta si faceva chiamare «l'elev

Il finale di Grillo è meritato e sacrosanto

Il finale grottesco della parabola politica di Beppe Grillo é sacrosanto, meritato, inevitabile. Sacrosanto perché c'è un principio semplice semplice di cui questa storia è emblematica: l'antipolitica non può generare buona politica, ma solo cattiva politica, carriere poco significative, chiacchiere a vanvera come se piovesse. Meritato perché proprio Beppe Grillo sommerge i suoi avversari politici del momento (da Berlusconi al PD) con una valanga di critiche, sberleffi, insulti di cui il Vaffa-Day del 2007 a Bologna è solo momento d'avvio, ma il proverbio ricorda che «chi di spada ferisce di spada perisce». Inevitabile perché l'idea grottesca secondo cui una truppa indistinta di ultimi arrivati possa diventare classe dirigente era destinata al fallimento fin dal primo giorno, nonostante le intuizioni di Roberto Casaleggio.

 

 

Eccoci quindi alla definitiva umiliazione del fondatore, cui viene negato l'ultimo «lascito» disponibile per quello che una volta si faceva chiamare «l'elevato»: i 300.000 € di una consulenza ormai inutile, onerosa, ingombrante. Potremmo tranquillamente non occuparcene, lasciando tutto ciò nel nell'unico cassetto che merita, cioè quello delle cose inutili. Ma dentro l'armamentario che il grillismo ci ha propinato per un paio di decenni c'è un punto che invece attira ancora oggi tutta la nostra attenzione (ed anche la nostra critica più ferma, incrollabile, definitiva). Quel punto si chiama «uno vale uno»: la più colossale mistificazione di cui il movimento si è fatto interprete. No signor Grillo, uno non vale uno. E non vale uno perché non si può sostituire una competenza, uno studio, una esperienza con un sorteggio preso dall'elenco telefonico (che neanche esiste più).

 

 

Le società industriali moderne sono terribilmente complesse da governare e l'idea di potersi improvvisare nei ruoli di enorme responsabilità in virtù del solo mandato popolare è una fesseria sesquipedale, è una professione di ignoranza allo stato purissimo, è una balla di dimensioni interplanetarie. Oggi Conte licenzia il fondatore, con una brutalità che appartiene a questa politica senza stile in cui siamo immersi, però al tempo stesso fa un'operazione comprensibile, in grado di porre fine ad una situazione ormai malinconica e niente più. Abbiamo riso per anni al Grillo uomo di spettacolo dalla critica intelligente e feroce. Lo ringraziamo per essere stato anche quello. Anzi lo ringraziamo solo per quello.

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