Il Parlamento non nomina i giudici della Corte costituzionale… e la Consulta rinvia la decisione sui referendum

lentepubblica.it Con un comunicato del 10 gennaio 2025, l’Ufficio Comunicazione e Stampa della Corte costituzionale ha informato di aver posticipato la seduta dedicata all’ammissibilità dei referendum, precedentemente fissata per il 13 gennaio. «Considerata la convocazione per martedì 14 gennaio del Parlamento in seduta comune per l’elezione di quattro  giudici costituzionali, il Presidente facente funzioni della Corte […] The post Il Parlamento non nomina i giudici della Corte costituzionale… e la Consulta rinvia la decisione sui referendum appeared first on lentepubblica.it.

Il Parlamento non nomina i giudici della Corte costituzionale… e la Consulta rinvia la decisione sui referendum

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Con un comunicato del 10 gennaio 2025, l’Ufficio Comunicazione e Stampa della Corte costituzionale ha informato di aver posticipato la seduta dedicata all’ammissibilità dei referendum, precedentemente fissata per il 13 gennaio.


«Considerata la convocazione per martedì 14 gennaio del Parlamento in seduta comune per l’elezione di quattro  giudici costituzionali, il Presidente facente funzioni della Corte costituzionale, Giovanni Amoroso, ha firmato il decreto con cui si posticipa dal 13 al 20 gennaio, termine ultimo previsto per legge, la camera di consiglio partecipata in cui verrà giudicata l’ammissibilità dei referendum abrogativi richiesti e ritenuti conformi alla legge dall’Ufficio centrale per i referendum della Corte di cassazione».

Di particolare rilevanza le motivazioni, che potrebbero apparire alquanto irrituali se non fosse che coinvolgono direttamente il funzionamento della Consulta.

Come è composta la Corte costituzionale

L’organo è stato istituito con la Carta del 1948 e divenuto operativo dal 1956. La composizione è stabilita dall’art. 135 della Costituzione, il quale detta che «La Corte costituzionale è composta di quindici giudici nominati per un terzo dal Presidente della Repubblica, per un terzo dal Parlamento in seduta comune e per un terzo dalle supreme magistrature ordinaria ed amministrative». Essi rimangono in carica per nove anni e devono essere individuati tra i magistrati ordinari e amministrativi, professori universitari di discipline giuridiche e avvocati con almeno vent’anni di pratica forense.

Per quanto riguarda scadenze e sostituzioni, la legge costituzionale n. 2/1967 ha eliminato la possibilità di prorogatio, originariamente prevista dalla Costituzione, stabilendo che «in caso di vacanza a qualsiasi causa dovuta, la sostituzione avviene entro un mese dalla vacanza stessa».

Un’impasse che dura da mesi

La cronaca di questi giorni ci ricorda come le cose siano andate in tutt’altro verso. Infatti, pur essendo passato più di un anno dalla scadenza di un primo giudice nel novembre 2023, il Parlamento a tutt’oggi non è riuscito a sostituirlo. Una serie di sedute è andata a vuoto per l’impossibilità di raggiungere un accordo politico, assolutamente necessario considerato che l’elezione deve avvenire in seduta comune delle due Camere, a scrutinio segreto, e con la maggioranza dei due terzi dei componenti dell’Assemblea per i primi due scrutini, mentre per gli scrutini successivi al terzo è sufficiente la maggioranza dei tre quinti.

Nel frattempo, altri tre giudici hanno concluso il loro mandato, tra cui anche il Presidente Barbera.

Il sospetto aleggiato dietro questa sconveniente impasse è stato che vi fosse proprio una precisa volontà dell’attuale maggioranza di arrivare al 21 dicembre, data di scadenza degli ulteriori tre giudici in quota parlamentare. La votazione su un pacchetto complessivo di quattro nomi, di fatto, potrebbe rappresentare una composizione più idonea per dare soddisfazione alle diverse aspettative politiche.

Quale ne sia stata la vera causa, è comunque indubbio l’approdo a un punto di non ritorno, tanto da costringere il Presidente della Repubblica Mattarella a svolgere numerosi moniti, fino a dichiarare come una tale situazione costituisca «un vulnus alla Costituzione compiuto dal Parlamento, proprio quella istituzione che la Costituzione considera al centro della vita della nostra democrazia».

Un richiamo forte, anche se non spinto fino alla minaccia di scioglimento anticipato delle Camere, come fece il Presidente Cossiga il 7 novembre del 1991. Oppure alle convocazioni quotidiane a oltranza, come avvenne nel 2005 dopo gli interventi dell’allora Capo dello Stato Ciampi.

L’importante ruolo della Consulta

Il tema non è solo formale, ma assolutamente sostanziale. Con le ulteriori cessazioni, infatti, la Corte conta attualmente solo undici membri che, ai sensi dell’art. 16 della legge n. 87/1953, è il cosiddetto quorum funzionale, ossia il numero limite sotto quale ne è impedito il funzionamento.

Un grave rischio, che potrebbe portare addirittura il blocco dell’attività di un così importante organo costituzionale. Basti appena ricordare che ad esso, in generale, spetta valutare la conformità delle leggi con la nostra Costituzione, risolvere i conflitti di attribuzione tra i poteri dello Stato e tra lo Stato e le Regioni, giudicare eventuali accuse di alto tradimento o attentato alla Costituzione rivolte al Presidente della Repubblica.

A ciò si aggiunga, per gli interessi più contingenti, che proprio entro il 20 gennaio 2025 la Corte dovrà esprimersi sull’ammissibilità di ben quattro richieste referendarie, il cui esito è molto atteso dall’opinione pubblica, interessando tematiche sentite quali autonomia differenziata, acquisizione cittadinanza italiana, Jobs Act e sicurezza nei luoghi di lavoro.

La nomina di giudici di area non può spingersi fino allo spoil system

L’indipendenza dei giudici è sempre stata garantita dalla loro inamovibilità e dall’impossibilità di rinnovo del mandato, riducendo i rischi di influenze esterne nel lungo periodo. E anche la designazione sfalsata dei componenti, nonché la necessità di sostituzione entro un mese dalla cessazione, è una disposizione finalizzata a evitare la confluenza di sostituzioni multiple, proprio a scongiurare un’eccessiva politicizzazione delle nomine, nonché sostanziali e contemporanei mutamenti di orientamento giuridico nel collegio.

Ecco perché, pur prendendo atto della consolidata prassi per nomine cosiddette di area nella componente parlamentare, l’applicazione di un vero e proprio spoil system sarebbe palesemente contrario alla Costituzione. Come spesso ricordato da autorevole dottrina, questa conclusione può essere tratta da una lettura sistematica delle norme costituzionali: il Parlamento in seduta comune svolge, non diversamente da quanto avviene per l’elezione del Presidente della Repubblica, funzioni di collegio elettorale «imperfetto»; non sono giuridicamente previste la presentazione e la discussione di candidature, né le audizioni degli interessati, né la presentazione di programmi di giustizia costituzionale. Il giudice eletto non è il mandatario né il rappresentante di alcuna forza politica, ma agisce in nome del popolo e nell’interesse della Costituzione.

Concetto ribadito ancora recentemente dal Presidente Mattarella: «Ricordo che ogni nomina di giudice della Corte costituzionale non fa parte di un gruppo di persone da eleggere, ma consiste, doverosamente, in una scelta rigorosamente individuale, di una singola persona meritevole per cultura giuridica, esperienza, stima e prestigio di assumere quell’ufficio così rilevante».

E invece da martedì 14 gennaio il Parlamento si troverà a essere convocato in seduta comune per l’elezione contestuale di ben quattro giudici costituzionali.

Non sarebbe stato auspicabile, ma è avvenuto. La nomina dei giudici della Corte rappresenta un momento chiave per la tenuta del sistema democratico italiano. Garantire la loro indipendenza e competenza è essenziale per preservare lo Stato di diritto e la protezione dei diritti costituzionali. Un processo trasparente è quindi cruciale per mantenere la fiducia dei cittadini nelle istituzioni.

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