La Cassazione chiarisce il potere disciplinare sul dipendente cessato dal servizio

lentepubblica.it Una recente sentenza della Corte di Cassazione si sofferma sull’ultrattività del potere disciplinare nei confronti del dipendente cessato dal servizio: un approfondimento a cura del Dott. Marcello Lupoli. Il datore di lavoro pubblico può iniziare un procedimento disciplinare anche quando le dimissioni siano intervenute antecedentemente all’avvio del procedimento, sussistendo l’interesse dell’amministrazione ad accertare le responsabilità […] The post La Cassazione chiarisce il potere disciplinare sul dipendente cessato dal servizio appeared first on lentepubblica.it.

La Cassazione chiarisce il potere disciplinare sul dipendente cessato dal servizio

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Una recente sentenza della Corte di Cassazione si sofferma sull’ultrattività del potere disciplinare nei confronti del dipendente cessato dal servizio: un approfondimento a cura del Dott. Marcello Lupoli.


Il datore di lavoro pubblico può iniziare un procedimento disciplinare anche quando le dimissioni siano intervenute antecedentemente all’avvio del procedimento, sussistendo l’interesse dell’amministrazione ad accertare le responsabilità disciplinari al fine di impedire, in caso di sussistenza delle stesse, che il dipendente possa essere riammesso in servizio, partecipare a successivi concorsi pubblici o far valere il rapporto di impiego come titolo per il conferimento di incarichi da parte della pubblica amministrazione.

Tanto, in quanto nel pubblico impiego perdura l’interesse all’accertamento della responsabilità disciplinare per finalità che trascendono il rapporto già cessato, ma che rispondono comunque ai principi di legalità, di buon andamento e di imparzialità, principi che, per volontà del legislatore costituzionale, devono sempre caratterizzare l’azione della pubblica amministrazione.

E’ questo, in sintesi, il principio affermato dalla Corte di cassazione, sezione Lavoro, nella sentenza 27 novembre 2024, n. 30535.

Il caso

Alla disamina dei supremi giudici di legittimità è stato sottoposto il ricorso inoltrato da una aspirante docente avverso la sentenza pronunciata dalla corte d’appello, con cui era stata confermata la pronuncia resa dal giudice di prime cure, che aveva rigettato l’impugnazione del licenziamento disciplinare irrogatole dal Dicastero competente, in epoca successiva alla risoluzione anticipata del rapporto fra le parti, comunicata dall’amministrazione per “carenza del titolo di studio”, in relazione alla contestata falsità delle dichiarazioni formulate dall’interessata in seno alla domanda di inserimento nelle graduatorie provinciali per le supplenze circa il possesso della laurea magistrale in filologia moderna, asseritamente conseguita con voto 110/110 e lode.

Tra i vari motivi di doglianza fatti valere occorre preliminarmente vagliare, per ragioni di pregiudizialità logica, quello concernente l’opinata violazione del principio del ne bis in idem, per essere stato il licenziamento intimato in base agli stessi fatti (asserita mendacità delle dichiarazioni rese ai fini dell’inserimento nella graduatoria per il conferimento delle supplenze) già posti a base della cessazione del rapporto, intervenuta in precedenza, con conseguente ritenuta consumazione del potere disciplinare.

Al riguardo, per gli “Ermellini” la censura è infondata, in quanto “la disposta risoluzione del rapporto non ha natura disciplinare ma consegue unicamente all’accertata violazione delle disposizioni in tema di inserimento nella graduatoria ai fini del conferimento delle supplenze, analogamente al caso di nullità del contratto stipulato per vizi della procedura di reclutamento”.

Pertanto, “è da escludere in radice la configurabilità della denunciata violazione del principio del ne bis in idem, anche in base ai parametri sovranazionali […] per il tramite della norma interposta ex art. 117 Cost., in quanto non avendo il decreto di risoluzione […] natura disciplinare e sanzionatoria esso non ha determinato la consumazione dell’esercizio del potere disciplinare, che quindi è stato legittimamente attivato in conformità alla normativa in materia”.

Intepretazione normativa

Tale approdo ha consentito ai giudici di Piazza Cavour, nello scrutinare un altro motivo di ricorso, di soffermarsi sull’interpretazione dell’art. 55-bis, comma 9, del d.lgs. n. 165/2001, segnatamente sul rilievo che la sanzione espulsiva fosse stata applicata allorquando il rapporto di lavoro era già cessato e, più precisamente, sulla circostanza che il procedimento disciplinare fosse stato attivato con la relativa contestazione degli addebiti quando il rapporto di lavoro era già concluso.

Prendendo le mosse dal disposto dell’art. 55-bis, comma 9, del d.lgs. n. 165/2001 (nella versione applicabile ratione temporis modificata dal d.lgs. n. 75/2017) – secondo cui “La cessazione del rapporto di lavoro estingue il procedimento disciplinare salvo che per l’infrazione commessa sia prevista la sanzione del licenziamento o comunque sia stata disposta la sospensione cautelare dal servizio. In tal caso le determinazioni conclusive sono assunte ai fini degli effetti giuridici ed economici non preclusi dalla cessazione del rapporto di lavoro” – la sentenza in disamina non ha ritenuto degna di accoglimento l’opzione ermeneutica patrocinata dalla difesa della parte ricorrente, secondo cui la locuzione “la cessazione del rapporto di lavoro ‘estingue’ il procedimento disciplinare” evocherebbe la necessità che il medesimo procedimento sia già stato avviato, richiedendo, pertanto, la preesistenza del procedimento disciplinare.

Al riguardo, infatti, i supremi giudici di legittimità hanno richiamato l’opposta interpretazione fornita dalla stessa Corte di cassazione (Cass., sez. Lavoro, n. 17307/2016), secondo cui – ancorché con riferimento alla pregressa formulazione della norma de qua – “l’art. 55-bis, comma 9, del d.lgs. n. 165 del 2001 […] si applica anche quando le dimissioni siano intervenute in epoca antecedente all’avvio del procedimento, sussistendo l’interesse dell’amministrazione ad accertare le responsabilità disciplinari al fine di impedire che il dipendente possa essere riammesso in servizio, partecipare a successivi concorsi pubblici, o far valere il rapporto di impiego come titolo per il conferimento di incarichi da parte della P.A.”.

Tanto, in quanto – attesa la peculiarità del rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A. – sussiste, come dianzi rappresentato, il “perdurante interesse all’accertamento della responsabilità disciplinare a fini che trascendono il rapporto già cessato, ma che rispondono comunque ai principi di legalità, di buon andamento e di imparzialità che, per volontà del legislatore costituzionale, devono sempre caratterizzare l’azione della pubblica amministrazione”.

Tale principio costituisce, peraltro, il sostrato anche dell’attuale formulazione della norma in parola, “modificata proprio nel senso di recepire ulteriormente le finalità pubblicistiche sottese alla permanenza del potere disciplinare in capo all’amministrazione, estendendone l’ambito alle ulteriori ipotesi di cessazione del rapporto, prima ristrette al solo caso delle dimissioni”.

La Cassazione sull’ultrattività del potere disciplinare nei confronti del dipendente cessato dal servizio

Pertanto, corollario delle considerazioni che precedono è l’affermazione che “la prevista ultrattività del potere disciplinare – per le infrazioni suscettibili di essere sanzionate con il licenziamento ovvero nel caso di adozione della sospensione cautelare dal servizio – non è condizionata dall’attivazione del procedimento disciplinare anteriormente alla cessazione del rapporto, fermo restando il rispetto dei termini procedimentali normativamente stabiliti”.

Declinando i predetti principi nella fattispecie concreta sub iudice, ne consegue che “le falsità documentali o dichiarative commesse ai fini o in occasione dell’instaurazione del rapporto di lavoro ovvero di progressioni di carriera sono suscettibili di essere sanzionate con il licenziamento ai sensi dell’art. 55-quater del d.lgs. n. 165 del 2001”, espressamente richiamato nel provvedimento espulsivo. Pertanto, “in riferimento all’infrazione contestata alla odierna ricorrente, sussisteva il presupposto richiesto dall’art. 55-bis, comma 9, cit., per legittimare, in termini di doverosità, il perdurante esercizio del potere disciplinare in capo all’amministrazione […]”.

Il testo della sentenza

Qui il documento completo.

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