La Lega come Trump, vuole rinviare la chiusura delle centrali a carbone italiane prevista quest’anno

Storicamente il carbone in Italia non ha mai svolto un ruolo di rilievo (non ha mai superato il 10% del mix energetico nazionale), ciononostante anche nel nostro Paese la generazione elettrica da carbone è in calo. Nel 2024 ha generato “solo” 3.500 GWh di energia elettrica, cioè il 71% in meno rispetto all’anno precedente. Questa riduzione è in linea con l’impegno dell’Italia a dismettere le proprie centrali a carbone ancora attive nel 2025 (Brindisi, Civitavecchia, e Monfalcone), ad eccezione di quelle situate in Sardegna (Portovesme e Fiume Santo) che verranno chiuse definitivamente nel 2028, in attesa di alcuni importanti interventi infrastrutturali a partire dal completamento del Tyrrhenian Link, che consentirà gli scambi energetici tra Sicilia, Sardegna e il resto d’Italia.
Eppure ieri al convegno della Lega sul nucleare è riemersa, anche da parte di Enel e Eni, l’ipotesi si rinviare la chiusura delle centrali a carbone, allungando così la vita del peggior combustibile fossile per emissioni climalteranti e inquinanti.
«No grazie», rispondono all’unisono le principali associazioni ambientaliste italiane – Wwf, Greenpeace, Legambiente e Kyoto club – che si dichiarano fortemente contrarie alla proposta. Del resto, persino tutti i pur timidissimi Piani integrati energia e clima (Pniec) avanzati dai Governi italiani sin dal 2019 – ma lo stesso vale per la Strategia energetica nazionale del 2017 – è stata sempre mantenuta fissa la chiusura delle centrali a carbone entro il 2025.
«A valle del Pniec del 2019 sono stati fatti molti regali per sostenere e aprire le centrali a gas attraverso il mercato della capacità e con i soldi delle bollette elettriche. Ma i lobbisti del carbone (per lo più di provenienza russa) non hanno perso le speranze – osservano gli ambientalisti – e hanno approfittato di qualche sfarfallamento dei prezzi del gas per tornare alla carica, forti di un’analisi quantomeno discutibile e, soprattutto, titillando gli interessi delle due aziende partecipate (Eni ed Enel) che per ragioni diverse ora propongono il rinvio. Questo può succedere solo quando non c’è un Governo e dei tecnici che attuano davvero le politiche messe su carta».
Al contrario, in un Paese in cui il peso del carbone nella produzione di energia era più o meno pari al nostro, la Gran Bretagna, governi di tutti i colori politici sono andati avanti con l’impegno preso di chiudere le centrali: prima i governi conservatori e poi quello laburista che ha chiuso, in anticipo, l’ultima centrale a carbone, quella di Ratcliffe-on-Soar, nell’ottobre dello scorso anno.
Dove invece un altro Governo di estrema destra – quello degli Usa a guida Trump – ha emanato una serie di ordini esecutivi volti a scongiurare la chiusura delle centrali a carbone e a incoraggiare il riavvio delle unità recentemente chiuse, l’Institute for energy economics and financial analysis (Ieefa) ha già emesso il suo verdetto: poche, se non nessuna, delle 102 centrali a carbone chiuse negli ultimi quattro anni negli Usa – impianti con un’età media di 56 anni – sono candidate affidabili per un riavvio. Inoltre, il piano di riavvio delle centrali a carbone ignora il fatto che la maggior parte degli impianti ancora in funzione sta funzionando ben al di sotto della propria capacità: «In parole povere, il riavvio delle centrali a carbone non ha alcun senso economico», conclude la Ieefa.
Per le associazioni ambientaliste è dunque «inaccettabile che nel 2025 ancora si proponga il carbone come parte del mix energetico, e sarebbe davvero una pessima, pessima figura per il governo italiano tornare indietro rispetto alla decisione assunta. Ma è già una pessima figura per le aziende che hanno avanzato la proposta», concludono le associazioni.
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