L’accento di Birmingham è davvero il più odiato del Regno Unito?

L’identità linguistica nel Regno Unito è spesso questione di accenti. Se il britannico medio sa distinguere un Geordie da uno Scouse, o un Cockney da un RP, non tutti gli accenti godono dello stesso prestigio.
Secondo un documento interno trapelato dalla BBC, l’accento di Birmingham, noto anche come Brummie, sarebbe stato classificato come il meno gradito in un sondaggio non ufficiale.
Una notizia che ha acceso un acceso dibattito su pregiudizi culturali, rappresentazione nei media e la percezione socialedelle voci che ascoltiamo ogni giorno.
Una classifica controversa e non ufficiale
Il caso è nato da un documento interno della BBC, in cui compariva una presunta classifica degli accenti britannici più e meno apprezzati.
Secondo quanto riportato da The Guardian, il documento indicava che l’accento Brummie occupava l’ultimo posto, mentre l’accento RP (Received Pronunciation) e quello del sud-est inglese erano considerati i più apprezzati.
Il documento non era destinato al pubblico, ma ha suscitato polemiche subito dopo la sua circolazione.
Kate Adie, ex corrispondente BBC, ha definito la classifica come un esempio lampante di pregiudizio linguistico.
A suo dire, “la lingua dovrebbe unire e non escludere”, sottolineando che la diversità degli accenti è una risorsa, non un difetto.
Questa vicenda ha riportato alla luce il tema dell’accentismo, ovvero il pregiudizio nei confronti di certi modi di parlare.
L’accento Brummie: caratteristiche e stereotipi
L’accento di Birmingham ha una lunga storia e caratteristiche fonetiche uniche.
È noto per la sua intonazione piatta, l’uso del suono [ʊ] in parole come “bus” o “cut”, e una pronuncia marcatamente diversa delle vocali rispetto ad altri accenti inglesi.
Tuttavia, nonostante la sua identità linguistica ben definita, il Brummie è spesso oggetto di ridicolo nei media britannici.
Viene associato a caratteristiche negative come poca intelligenza o scarsa affidabilità, stereotipi che non trovano alcun fondamento scientifico ma che si sono radicati nell’immaginario collettivo.
Questa percezione ha effetti reali: studi accademici hanno dimostrato che le persone con accenti “non prestigiosi” vengono discriminate nei colloqui di lavoro, giudicate meno competenti e rappresentate meno nei media mainstream.
L’accento non è solo un modo di parlare: è un indicatore sociale, spesso legato alla classe e alla provenienza geografica.
Sminuire un accento significa, in molti casi, sminuire anche una comunità.
L’accento come filtro sociale nei media britannici
Negli ultimi anni, la BBC e altre emittenti hanno fatto sforzi per includere voci più varie nei loro programmi.
Accenti scozzesi, gallesi, nord-irlandesi e del nord dell’Inghilterra sono oggi più presenti rispetto al passato.
Ma nonostante i passi avanti, persistono pregiudizi radicati.
Un esempio lampante è quello delle voci dei notiziari o dei documentari, dove l’accento RP resta dominante.
È ancora percepito come sinonimo di “neutralità” e “autorità”, mentre accenti regionali sono ritenuti meno adatti a trasmettere informazioni “serie”.
Questo crea una gerarchia linguistica: alcuni modi di parlare vengono accettati come standard, mentre altri sono visti come marcatori di inferiorità.
È lo stesso meccanismo che alimenta pregiudizi razziali, di genere o di classe: una discriminazione mascherata da preferenza linguistica.
Lo stesso concetto è stato approfondito in studi accademici sul cosiddetto accent bias. Un report pubblicato da Social Mobility Commission ha mostrato come la discriminazione sugli accenti sia ancora diffusa nel mondo accademico, nei media e nelle professioni legali.
Perché la percezione va cambiata
Il problema non è l’esistenza di diversi accenti, ma l’interpretazione culturale che diamo loro.
Chi parla con accento Brummie non è meno capace, meno istruito o meno affidabile.
Il fatto che sia stato classificato come “il più odiato” dice più sul pregiudizio sociale che sull’accento in sé.
Questa storia mette in luce la necessità di educazione linguistica e inclusività mediatica.
Il linguaggio è un patrimonio culturale e ogni accento racconta una storia: ignorarla o deriderla significa negare identità e appartenenza.
L’augurio è che questa polemica diventi un’occasione per riflettere su cosa rende davvero inclusiva una società: la capacità di ascoltare ogni voce, anche quelle che non corrispondono agli standard dominanti.
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