'L'assassinio di Matteotti' con gli scritti di Nenni
AGI - "Il fascismo è l'anti Risorgimento. Il Risorgimento, come movimento politico, è un grande sforzo di unificazione e quindi di assimilazione. Il fascismo è invece un movimento di dissociazione. Sotto una falsa e ingannevole apparenza d'ordine, non ci fu mai tanto odio tra le classi e i partiti e gli italiani non furono mai così profondamente divisi". Lo scrive Pietro Nenni nel 1924, poche settimane dopo l'assassinio di Giacomo Matteotti. Il libro 'L'assassinio di Matteotti. Dal j'accuse di Mussolini al processo farsa di Chieti (1924-1926)' (edizioni Arcadia) raccoglie tre scritti di Nenni con una prefazione di Claudio Martelli. Il 13 novembre 1926 Pietro Nenni, sul quale pendeva un mandato di cattura, privato del passaporto, con l'abitazione devastata dalle squadracce fasciste, fu costretto a lasciare clandestinamente l'Italia per scegliere la strada dell'esilio francese. La sua famiglia (la moglie Carmen e le quattro figlie Giuliana, Eva, Vittoria e Luciana) riuscirà a raggiunger
AGI - "Il fascismo è l'anti Risorgimento. Il Risorgimento, come movimento politico, è un grande sforzo di unificazione e quindi di assimilazione. Il fascismo è invece un movimento di dissociazione. Sotto una falsa e ingannevole apparenza d'ordine, non ci fu mai tanto odio tra le classi e i partiti e gli italiani non furono mai così profondamente divisi". Lo scrive Pietro Nenni nel 1924, poche settimane dopo l'assassinio di Giacomo Matteotti. Il libro 'L'assassinio di Matteotti. Dal j'accuse di Mussolini al processo farsa di Chieti (1924-1926)' (edizioni Arcadia) raccoglie tre scritti di Nenni con una prefazione di Claudio Martelli.
Il 13 novembre 1926 Pietro Nenni, sul quale pendeva un mandato di cattura, privato del passaporto, con l'abitazione devastata dalle squadracce fasciste, fu costretto a lasciare clandestinamente l'Italia per scegliere la strada dell'esilio francese. La sua famiglia (la moglie Carmen e le quattro figlie Giuliana, Eva, Vittoria e Luciana) riuscirà a raggiungerlo clandestinamente soltanto nell'agosto del 1927, dopo avere eluso la polizia fascista.
E pensare che Nenni e Mussolini fecero la galera insieme e si conoscevano bene. Il primo repubblicano, l'altro socialista, entrambi romagnoli, furono processati e condannati per avere guidato le mobilitazioni contro la guerra in Libia, scontato la pena nel carcere di Forlì, vivendo, comunicando, dormendo nella stessa cella. Nelle ore consentite vanno a trovarli le giovani mogli, Carmen e Rachele. Sono cose che uniscono - scrive Martelli - e per dimenticarle bisogna che la storia, il carattere e il destino scavino un solco. Edda, la figlia maggiore di Benito, più grande di Nenni di otto anni, ricorderà di essere stata sulle ginocchia di Pietro e di averlo chiamato "zio".
"Si parla di Stato fascista - è il j'accuse di Nenni nel 1924 sull'Avanti!- nessuno sa dire che cosa sia. In verità dalla marcia di ottobre in poi non c'è più Stato, come non c'era prima, ma ci sono tante dittature quanti sono i campanili. Chi aveva delle vendette da compiere, s'è rifugiato dietro il fascismo littorio ed ha agito esaudendo ogni suo malsano proposito. Il bottegaio, danneggiato dallo sviluppo del cooperativismo, ha fatto distruggere la cooperativa, così come l'innamorato respinto ha fatto dare l'olio al suo rivale fortunato in amore. Tutto in nome della patria".
Per Nenni nel delitto Matteotti sono "evidenti la complicità e la responsabilità di Mussolini. Contro Matteotti gli odii fascisti erano stati implacabili. Nel suo Polesine egli aveva subito persecuzioni di ogni sorta. A Roma, segretario del Partito Socialista Unitario, era considerato non solo nemico del fascismo, ma nemico personale del Presidente. La 'Ceka' fascista non perdonava i discorsi di Matteotti, soprattutto quelli pronunciati all'estero, ad esempio a Bruxelles, dopo avere attraversato la frontiera a piedi.
La pubblica sicurezza, che sorvegliava strettamente Matteotti, aveva cominciato col perderne compiacentemente le tracce proprio il giorno del delitto. La conoscenza dei nomi degli assassini non sorprese. Specialmente il Dumini e il Volpi erano notissimi a Roma e a Milano. Il Dumini sopra a tutti era noto per replicati segni di benevolenza del capo del fascismo. Si tratta di un delitto di Stato". Nell'agosto del 1924 Nenni è profetico: "Nel processo a Matteotti l'accusa si estende oltre la materia umana del delitto, investe un periodo storico, denuncia gli scandali di un regime, prelude a un ordine nuovo. Invocano i fascisti i diritti della rivoluzione. Invochiamo noi, interpreti della coscienza italiana, i diritti della giustizia".
Sul ruolo dell'opposizione le parole di Nenni sono un valido vademecum anche oggi: "Noi oppositori rassomigliamo un po' ad una compagnia occasionale di alpinisti, che hanno tutti una cima da raggiungere per poi prendere sentieri diversi verso direzioni qualche volta opposte. La cima essendo dura da raggiungere, la scalata presentando aspre difficoltà, il più elementare senso di prudenza e di socievolezza comanda si accomunino gli sforzi di tutti per il tratto di strada che c'è da percorrere in comune. Dopo, ognuno andrà per proprio conto: qualcuno si fermerà, qualcuno continuerà ad andare avanti, chi prenderà la destra, chi la sinistra. Tutto questo pare semplice ed in verità non lo è". Nenni scrive i tre doveri dell'opposizione: 1) vegliare sul processo Matteotti impedendo il salvataggio dei colpevoli; 2) proseguire la lotta contro il fascismo con uno spirito di intransigenza assoluta; 3) considerarsi ormai in istato di guerra, formando uno Stato nello Stato (il vero Stato italiano contro l'orda occupante) e comportandosi nei rapporti interni ed internazionali alla stregua di questa premessa.
"Tenendo fede a queste considerazioni - conclude Nenni - la lotta sarà aspra, forse anche lunga, esigerà spirito di sacrificio, imporrà da parte di ognuno che abbia responsabilità direttive la piena dedizione alle esigenze della lotta stessa, ma le opposizioni possono fin da ora considerarsi vittoriose. Chiudere questa parentesi di Medioevo che è il disonore dell'Italia, abbattere la dittatura insanguinata, rendere giustizia ai martoriati è la più nobile impresa nella quale possa aspirare di misurarsi un popolo che non sia indegno della libertà". Il 3 gennaio 1925 Mussolini chiuderà i conti e pronuncerà alla Camera il discorso in cui assume "la responsabilità politica, morale e storica" di quanto avvenuto in Italia negli ultimi mesi e specificamente del delitto Matteotti.
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