Le contraddizioni della memoria politica: da Ita Airways fino a Starlink
lentepubblica.it Sono diversi i casi mediatici che stanno facendo emergere diverse contraddizioni nella memoria politica del nostro paese: da Ita Airways, passando per TIM fino al paradosso Starlink il nostro Governo sta facendo discutere su diversi fronti. “La memoria è tesoro e custode di tutte le cose”, diceva Cicerone nel De oratore. E di questa celebre […] The post Le contraddizioni della memoria politica: da Ita Airways fino a Starlink appeared first on lentepubblica.it.
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Sono diversi i casi mediatici che stanno facendo emergere diverse contraddizioni nella memoria politica del nostro paese: da Ita Airways, passando per TIM fino al paradosso Starlink il nostro Governo sta facendo discutere su diversi fronti.
“La memoria è tesoro e custode di tutte le cose”, diceva Cicerone nel De oratore. E di questa celebre citazione dovrebbe fare tesoro la premier Meloni, il cui recente operato in tema di privatizzazioni è in netta contraddizione rispetto alle posizioni assunte in campagna elettorale. La premier, infatti, sembra aver dimenticato le proprie dichiarazioni del passato, in particolare riguardo alla cessione di quote di società partecipate dallo Stato.
Il caso Ita Airways: da asset strategico a merce di scambio
La cessione di Ita Airways a Lufthansa (l’accordo è atteso nelle prossime ore) costituisce un esempio emblematico di questa incongruenza. Nel 2021, Meloni si era rivolta ai sindacati affermando che “Alitalia rappresenta un asset strategico”. Ancora, nell’estate del 2022, aveva dichiarato che sarebbe stato un errore cedere la compagnia a Lufthansa, affermando: “Al rilancio della nostra compagnia aerea di bandiera penserà chi governerà”.
Ad oggi però la realtà è ben diversa: la compagnia tedesca, infatti, entrerà inizialmente al 41% in Ita Airways, con una ricapitalizzazione da 325 milioni di euro, per poi rilevare completamente la compagnia in due fasi successive entro il 2033, con un investimento complessivo pari ad 830 milioni.
La rete TIM: dalla sovranità nazionale alla vendita agli americani
Le contraddizioni però continuano e, se possibile, si aggravano ulteriormente. Di recente, il governo Meloni ha celebrato la vendita della rete Tim al fondo americano KKR. Tuttavia, nel 2020 la Meloni, nel presentare una mozione volta al mantenimento di una rete pubblica, affermava che “La rete delle telecomunicazioni nel mondo di oggi è la più strategica delle infrastrutture di cui una nazione dispone. E la sua importanza è cresciuta con il covid visto che le comunicazioni hanno garantito l’unica forma di libertà di cui gli italiani disponevano. Nessuno stato al mondo può permettersi di non essere proprietario e controllare questa rete.”
Due anni dopo e in piena campagna elettorale, la leader di FdI tornava sull’argomento rete pubblica, dichiarando che “La posizione di FdI è di una rete unica, come accade in tutte le grandi democrazie occidentali, che sia di proprietà pubblica non verticalmente integrata, quindi il punto è scorporare la proprietà della rete, che secondo me non può essere privata come non lo è da nessuna parte per un fatto di sicurezza nazionale e tutela dell’interesse nazionale, dalla vendita del servizio che si deve fare in regime libera concorrenza tra tutti gli operatori”.
Ebbene, anche in questo caso le cose sono andate in modo diverso! È infatti del 1° luglio 2024 la notizia della vendita della rete di telecomunicazioni di TIM alla holding costituita da KKR, Abu Dhabi Investment Authority, Canada Pension Plan Investment Board, Ministero dell’Economia e F2i, per la cifra di 18,8 miliardi di euro. Oggetto della cessione ben 23 milioni di chilometri di cavi in rame e fibra ottica, impiegati dal 90% degli utenti telefonici italiani e che dal 1° luglio sono passati sotto un controllo in prevalenza americano. E tutto ciò, in barba alla “sicurezza nazionale e tutela dell’interesse nazionale”!
Il presunto accordo con Starlink: costi e implicazioni geopolitiche
Sicurezza nazionale che però non sembra preoccupare minimamente l’esecutivo targato Giorgia Meloni che, come già scritto in un nostro recente articolo (https://lentepubblica.it/cittadini-e-imprese/meloni-musk-starlink/), negli scorsi giorni, secondo alcune indiscrezioni raccolte da Bloomberg, avrebbe condotto trattative con SpaceX, l’azienda dell’imprenditore americano, nonché consigliere del neo-eletto Presidente degli Stati Uniti, Elon Musk. Il presunto accordo riguarderebbe l’utilizzo da parte dell’Italia del sistema satellitare Starlink, di proprietà appunto di Musk.
Ebbene, nonostante l’immediata smentita da parte di Palazzo Chigi, questa vicenda suscita parecchi interrogativi e getta varie ombre sull’esecutivo in carica e sul premier, che sembra avere memoria corta.
Dipendenza tecnologica e rischi per la sovranità nazionale
In primo luogo, le maggiori perplessità attengono ai costi e all’effettiva necessità di tale tecnologia per il Paese.
Sempre secondo quanto riportato da Bloomberg, il Pentagono avrebbe confermato di aver siglato un contratto con SpaceX per l’Ucraina, in pieno conflitto e con un utilizzo intensivo di droni, per soli 23 milioni di dollari. In confronto, il presunto accordo italiano da 1,5 miliardi di dollari in cinque anni appare sproporzionato, considerando anche l’uso limitato che l’Italia potrebbe fare di questa tecnologia.
Inoltre, Starlink si rivela utile principalmente in aree remote, difficilmente raggiungibili dalle reti terrestri, o per applicazioni mobili su mezzi in movimento come navi. Tuttavia, in gran parte del territorio italiano, la rete fissa, il wireless o la rete mobile sono soluzioni più economiche e accessibili. Per scopi specifici, come la protezione civile o applicazioni militari, potrebbe esserci una necessità strategica, ma il costo citato sembra comunque eccessivo.
Un altro punto critico riguarda la dipendenza da una rete satellitare controllata da un’azienda privata americana, guidata da Elon Musk. Episodi precedenti, come l’interruzione della connettività di droni ucraini in attacco verso navi russe, evidenziano come il controllo esclusivo di Starlink da parte di SpaceX possa influenzare decisioni geopolitiche e operative.
L’affidamento di attività strategiche e inerenti informazioni sensibili del nostro Paese a un operatore estero, non soggetto alle normative UE, amplifica i rischi in termini di sovranità tecnologica e operativa. L’Italia si troverebbe in una posizione subordinata, dipendendo da una società che opera secondo principi e interessi commerciali regolati dalla normativa statunitense. Anche un’eventuale garanzia da parte del Governo USA non eliminerebbe tali problematiche, poiché il contratto verrebbe comunque sottoscritto con un’impresa privata, non direttamente controllabile dall’Italia.
Discrepanza tra intenti e scelte
Le vicende riportate evidenziano una marcata discrepanza tra gli intenti proclamati dalla premier Meloni nel corso del tempo (soprattutto in campagna elettorale) e le scelte adottate dal suo governo.
Il caso Starlink, ultimo esempio di questa incoerenza, solleva gravi interrogativi non solo sulla congruità economica del presunto accordo con SpaceX, ma soprattutto sulla superficialità con cui sembrerebbero essere state affrontate questioni di sicurezza nazionale. Affidare a un’azienda privata americana la gestione di informazioni e reti cruciali pone infatti l’Italia in una posizione di vulnerabilità tecnologica, esponendola a potenziali influenze geopolitiche esterne e a un controllo indiretto da parte di attori non europei.
Un quadro più ampio
Simili decisioni si collocano in un quadro più ampio, che include la cessione della rete TIM e di Ita Airways e che tradisce ripetutamente gli impegni di sovranità economica e infrastrutturale proclamati dalla stessa Meloni. L’impressione è che le priorità declamate siano state sacrificate sull’altare di scelte pragmatiche, se non opportunistiche, che sembrano rispondere più a logiche di mercato o a pressioni esterne che a una visione strategica per il futuro del Paese.
In conclusione, l’operato dell’esecutivo evidenzia una preoccupante mancanza di coerenza, che mina la credibilità stessa delle istituzioni e lascia l’amara sensazione che la sicurezza nazionale, anziché essere un caposaldo, venga trattata come un argomento negoziabile, da relegare in secondo piano rispetto ad altre priorità. Questa gestione, lontana dagli ideali di tutela dell’interesse pubblico spesso declamati, pone interrogativi profondi sulla reale direzione politica intrapresa.
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