Le "imprese plug-in" e il nuovo capitalismo italiano nel nuovo libro di Giulio Buciuni

AGI - Velasca di Milano, 3dnextech di Livorno, Macnil di Gravina in Puglia, MegaRide di Napoli, Rifò di Prato, Packtin di Reggio Emilia, Hipert di Modena, AzzurroDigitale di Padova. Sono imprese italiane, alcune già note, altre non ancora, che da Nord a Sud portano l'innovazione tipica delle startup all'interno di tessuti industriali locali già esistenti. Giulio Buciuni, docente di Business Innovation presso la business school del Trinity College Dublin, per definirle ha coniato un termine nuovo, «imprese plug-in», e le ha raccontate nel suo libro “Innovatori outsider. Nuovi modelli imprenditoriali per il capitalismo italiano” (Il Mulino, 2024), in uscita in questi giorni, che in parte prosegue il discorso cominciato un anno fa con il saggio “Periferie Competitive. Lo sviluppo dei territori nell'economia della conoscenza” scritto con Giancarlo Corò.   Il contesto da cui parte l'analisi di Buciuni è quello dell'economia della conoscenza, in cui l'innovazione tecnologica tende sempre p

Le "imprese plug-in" e il nuovo capitalismo italiano nel nuovo libro di Giulio Buciuni

AGI - Velasca di Milano, 3dnextech di Livorno, Macnil di Gravina in Puglia, MegaRide di Napoli, Rifò di Prato, Packtin di Reggio Emilia, Hipert di Modena, AzzurroDigitale di Padova. Sono imprese italiane, alcune già note, altre non ancora, che da Nord a Sud portano l'innovazione tipica delle startup all'interno di tessuti industriali locali già esistenti. Giulio Buciuni, docente di Business Innovation presso la business school del Trinity College Dublin, per definirle ha coniato un termine nuovo, «imprese plug-in», e le ha raccontate nel suo libro “Innovatori outsider. Nuovi modelli imprenditoriali per il capitalismo italiano” (Il Mulino, 2024), in uscita in questi giorni, che in parte prosegue il discorso cominciato un anno fa con il saggio “Periferie Competitive. Lo sviluppo dei territori nell'economia della conoscenza” scritto con Giancarlo Corò.

 

Il contesto da cui parte l'analisi di Buciuni è quello dell'economia della conoscenza, in cui l'innovazione tecnologica tende sempre più a concentrarsi in pochi grandi hub mondiali, metropoli in cui attorno a grandi imprese, università e centri di ricerca si concentrano competenze e capitali. Un contesto globale in cui le province industriali italiane rischiano di diventare luoghi marginali: da un lato, infatti, le startup innovative secondo il modello della Silicon Valley fanno fatica ad attecchire nel nostro contesto industriale, dall'altro le tradizionali piccole e medie imprese (pmi) spesso non dispongono del capitale umano, tecnologico e finanziario necessario a innovare i propri prodotti, processi e modelli di business.

 

È nel cuneo tra queste due dimensioni che si inserisce la spinta innovativa e creativa di una terza tipologia imprenditoriale: sono le «imprese plug-in», che l'autore ha studiato tra il 2023 e il 2024. Imparando da questi esempi concreti, è la tesi del libro, il modello dei distretti industriali, che ha fatto la fortuna dell'Italia a partire dagli anni Settanta, può mutare pelle trasformandosi in un ecosistema in cui convergono le tradizioni produttive locali e le modalità tipiche del mondo delle startup.

 

"Le imprese plug-in iniettano nuove soluzioni tecnologiche, conoscenze, prodotti e modelli di business all'interno di settori industriali maturi – spiega Giulio Buciuni –, contribuendo all'upgrading delle imprese manifatturiere e del sistema industriale nel suo complesso. Si comportano, a tutti gli effetti, come degli aggiornatori di sistema e permettono a una serie di territori industriali di avere accesso a nuove forme di conoscenza e modelli di business. Ci offrono dunque un nuovo modello imprenditoriale per il futuro del capitalismo italiano, che può trovare casa nei luoghi che sembrano oggi esclusi dal circuito globale dei grandi hub dell'innovazione, ridando centralità e rilevanza ai territori industriali italiani".

 

 

Gli otto casi-studio raccontati nel libro operano lungo alcune delle filiere principali dell'industria Made in Italy quali l'automotive, il tessile-abbigliamento, le calzature, l'agroalimentare e la meccanica. Sono diversi per geografia, focus tecnologico e storia imprenditoriale, ma convergono su alcuni aspetti fondamentali. In primo luogo non sono aziende manifatturiere in senso classico: alcune realizzano software o modelli di calcolo predittivo a fini industriali, altre prodotti che però sono manufatti da una rete di fornitori esterni, e in tutti i casi l'investimento nello sviluppo di soluzioni tecnologiche e digitali occupa una posizione centrale nel loro modello di business. Un secondo elemento comune è la dotazione di capitale umano qualificato: in almeno sei degli otto casi considerati trovano oggi impiego ex ricercatori universitari e personale in possesso di un dottorato di ricerca. Inoltre, l'età media del personale impiegato dalle imprese del campione non supera i 30 anni.

 

Il terzo fattore comune è l'apertura all'ingresso di capitale esterno in azienda, scelta dettata dalla necessità di finanziare attività di sviluppo prodotto particolarmente onerose o di supportare piani di sviluppo marketing e commerciale. Il valore medio della profittabilità delle imprese del campione misurato attraverso l'indice dell'EBITDA si attesta su un valore del 20%, circa quattro volte il valore medio registrato per le imprese manifatturiere italiane.

 

Le otto imprese plug-in analizzate

 

Velasca, e-commerce dedicato alle calzature di qualità fondato da Enrico Casati e Jacopo Sebastio, nasce a Milano ma ha un legame profondo con il distretto calzaturiero di Montegranaro in provincia di Fermo, nelle Marche. Velasca trasferisce a una serie di stakeholders territoriali (in particolar modo alcuni fornitori dedicati), una serie di competenze, di soluzioni tecnologico-digitali e di nuovi approcci al fare impresa che contribuiscono a un upgrading del sistema produttivo locale.

 

3dnextech, fondata a Livorno da Andrea Arienti dopo aver lavorato come ricercatore presso la Scuola superiore Sant'Anna di Pisa, opera nell'ambito industriale della manifattura additiva. A differenza della maggior parte delle startup digitali contemporanee, che hanno come core business la produzione di un software, l'azienda livornese realizza dei dispositivi fisici in grado di aumentare la resa estetica e le performance tecnico-funzionali dei manufatti prodotti tramite la stampa 3D.

 

Macnil, fondata a Gravina in Puglia (Bari) da Mariarita Costanza e Nicola Laventura, oggi è uno dei leader in Italia della progettazione di sistemi integrati per il settore dell'automotive e dei trasporti. Le connessioni con il Politecnico di Bari consentono di attirare risorse umane qualificate e la collaborazione con un'azienda di trasporti locale ha consentito di specializzarsi nella produzione di software per la localizzazione satellitare e la gestione di flotte di veicoli.

 

MegaRide nasce a Napoli come spin-off dell'Università Federico II, nell'incubatore Campania NewSteel, ed è oggi guidata da Flavio Farroni, Francesco Timpone ed Aleksandr Sakhnevych. Si occupa di sviluppare modelli di calcolo per la simulazione real-time del comportamento e delle performance degli pneumatici, lavorando per le principali case automobilistiche e importanti aziende di produzione di pneumatici. Ha creato attorno a sé un ecosistema che comprende altre 4 startup.

 

Rifò è fondata a Prato da Niccolò Cipriani, che nel contesto del distretto tessile toscano è tra i primi a comprendere l'importanza della sostenibilità ambientale e del riuso delle fibre tessili. Nata e diffusasi nel mercato B2C con l'identità di un brand di moda circolare, l'impresa toscana si focalizza nelle funzioni pre- e post-produttive come il disegno e lo sviluppo di nuovi prodotti, il marketing, le vendite e l'assistenza post-vendita, mentre gestisce in outsourcing le fasi produttive.

 

Packtin di Reggio Emilia è uno spin-off dell'Università di Modena e Reggio Emilia che nasce a partire da una tecnologia sviluppata da alcuni ricercatori, tra cui il socio Riccardo De Leo, per il riutilizzo di sottoprodotti naturali che vengono creati durante il processo di trasformazione di frutta e ortaggi. Si tratta, ad esempio, del recupero e del riutilizzo di materiali come le bucce delle arance e dei pomodori che vengono generati dalla produzione di succhi di frutta o della passata di pomodoro.

 

Hipert di Modena nasce anch'essa come spin-off dell'Università di Modena e Reggio Emilia. Il focus tecnologico dell'impresa di Marko Bertogna si concentra nello sviluppo e nella applicazione di algoritmi di intelligenza artificiale a macchine e dispositivi per abilitare la guida autonoma di veicoli in ambienti di lavoro non controllati, come ad esempio i porti, i terreni agricoli, i cantieri e perfino i deserti. Il suo sviluppo è legato a doppio filo ai laboratori universitari e alla filiera automotive emiliana.

 

AzzurroDigitale viene fondata a Padova da Carlo Pasqualetto, Jacopo Pertile e Antonio Fornari per supportare l'evoluzione tecnologica delle imprese industriali italiane ed efficientarne i processi produttivi. Dopo diversi anni di operatività ha cambiato pelle ed ha avviato nuove attività imprenditoriali, senza però sacrificare la sua mission originale. Oggi AzzurroDigitale è una delle imprese di sviluppo di soluzioni software per il comparto industriale maggiormente innovative nello scenario italiano.

 

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