Le perplessità generate dalla riforma del Codice della Strada

lentepubblica.it Ecco una panoramica completa sulle polemiche e le perplessità generate nelle ultime settimane dalla riforma del Codice della Strada: tutti i punti critici in evidenza. Con l’entrata in vigore della legge 25 novembre 2024, n. 177, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 29 novembre 2024, sono state apportate rilevanti modifiche al Codice della Strada (disciplinato dal […] The post Le perplessità generate dalla riforma del Codice della Strada appeared first on lentepubblica.it.

Le perplessità generate dalla riforma del Codice della Strada

lentepubblica.it

Ecco una panoramica completa sulle polemiche e le perplessità generate nelle ultime settimane dalla riforma del Codice della Strada: tutti i punti critici in evidenza.


Con l’entrata in vigore della legge 25 novembre 2024, n. 177, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 29 novembre 2024, sono state apportate rilevanti modifiche al Codice della Strada (disciplinato dal d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285) finalizzate a rafforzare la sicurezza stradale mediante interventi mirati.

La nuova normativa si pone l’obiettivo di contrastare i comportamenti pericolosi alla guida e ridurre l’incidentalità stradale, intervenendo su aspetti critici quali la guida in stato di ebbrezza e la guida sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, con modifiche sostanziali agli artt. 186 e 187 del Codice della Strada.

Tuttavia, a dispetto dei nobili intenti proclamati dal legislatore, le intervenute modifiche hanno sollevato non poche polemiche e perplessità circa la loro effettiva idoneità a perseguire gli obiettivi fissati. Le maggiori criticità riguardano la fattispecie di cui all’art. 187, la cui nuova formulazione – come vedremo a breve – fa dubitare della sua legittimità costituzionale sotto diversi aspetti.

La disciplina dell’art. 187 CdS prima della riforma del Codice della Strada

Prima di addentrarci nell’analisi delle modifiche normative, è opportuna una breve ricostruzione della fattispecie in esame.

Ante riforma, l’art. 187 CdS era rubricato “Guida in stato di alterazione psico-fisica per uso di sostanze stupefacenti”. La disposizione antecedente all’entrata in vigore della l. 177/2024, già dalla sua rubrica, presupponeva che il conducente, per essere sanzionato, dovesse trovarsi alla guida “in stato di alterazione psico-fisica. Ciò significava che le Forze dell’ordine dovevano accertare la presenza di uno stato di alterazione psico-fisica del conducente, tale da ridurre le sue capacità di mettersi alla guida e costituire così un pericolo per la sicurezza e la pubblica incolumità.

Di analogo tenore era il contenuto del co. 1 che sanzionava con l’ammenda da euro 1.500 a euro 6.000 e l’arresto da sei mesi ad un anno, nonché con la sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida da uno a due anni, “chiunque guida in stato di alterazione psico-fisica dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope”.

La nuova formulazione dell’art. 187 CdS

Le differenze con la nuova formulazione dell’art. 187 sono lampanti. In primo luogo, cambia la rubrica della norma che ora è “Guida dopo l’assunzione di sostanze stupefacenti”. Viene quindi eliminato, già nel titolo, il riferimento allo stato di alterazione psico-fisica.

Quanto invece al contenuto normativo, il rinnovato art. 187 dispone che “Chiunque guida dopo aver assunto sostanze stupefacenti o psicotrope è punito con l’ammenda da euro 1.500 a euro 6.000 e l’arresto da sei mesi ad un anno.” Permane la sanzione della sospensione della patente.

L’automatismo della sanzione e i problemi costituzionali

Ne consegue che, affinchè si configuri il reato e si applichino le relative sanzioni, è sufficiente che il conducente risulti positivo agli accertamenti effettuati dalle Forze dell’ordine su campioni di saliva, sangue o urine, a prescindere dunque dall’effettiva sussistenza di uno stato di alterazione psico-fisica idoneo, in concreto, a ridurre le proprie capacità di guida e costituire così un pericolo.

Ulteriore problema però deriva proprio da questi test, dal momento che gli stessi possono rilevare la positività anche se l’assunzione di stupefacenti è stata effettuata diversi giorni prima del test medesimo. Ad esempio, con riferimento al THC, il componente psicoattivo della marijuana, esso permane ed è rilevabile nell’organismo del consumatore anche per diversi giorni dall’assunzione. Pertanto, un test salivare è in grado di rilevare la positività di un soggetto anche dopo ben tre giorni dall’ultima assunzione, mentre le analisi del sangue e delle urine arrivano, rispettivamente, fino a tre settimane e a un mese. Addirittura, il THC permane nei capelli fino a tre mesi.

Il principio di offensività e la sua violazione

Tanto premesso, è chiaro che l’illustrata modifica normativa rende indubbiamente più agevole e rapido l’intervento delle Forze dell’ordine. Al contempo però essa crea non pochi problemi in ordine alla sua legittimità costituzionale, con particolare riferimento al profilo dell’offensività della condotta dell’agente.

In ambito penalistico, il principio di offensività costituisce un principio di rilevanza costituzionale e, ad oggi, è considerato come uno dei pilastri su cui si fondano il diritto penale e la nozione di reato, al pari dei principi di legalità e tipicità, materialità e colpevolezza.

In forza del principio di offensività, il giudice, quando si trova dinanzi una condotta che rientra nell’ambito di una fattispecie tipica penalmente rilevante, è tenuto a valutare se la medesima sia idonea, in concreto, ad offendere o mettere in pericolo un bene o un interesse ritenuto meritevole di protezione dall’ordinamento giuridico.

Il Codice della Strada (d.lgs. 285/1992) si pone come obiettivo quello di tutelare la sicurezza stradale e la pubblica incolumità, reprimendo e sanzionando condotte idonee a mettere in pericolo utenti della strada e non solo.

Il legislatore, tuttavia, con la riforma dell’art. 187, punisce un soggetto per una condotta che potrebbe anche essere molto risalente nel tempo e assolutamente inidonea ad incidere, negativamente, sulla capacità di mettersi alla guida di una vettura. Allo stato, infatti, non sembra vi siano evidenze scientifiche in grado di dimostrare che l’assunzione di stupefacenti, effettuata diversi giorni prima, quando gli effetti psicotropi siano del tutto esauriti, sia in grado di alterare le capacità psico-fisiche di un soggetto.

Presunzione assoluta di pericolosità e reato d’autore

La sensazione è che, in realtà, il legislatore abbia adottato un intervento teso esclusivamente a criminalizzare e disincentivare l’impiego di sostanze stupefacenti, trascurando totalmente la declamata ratio della riforma, ossia la riduzione degli incidenti stradali e il contrasto di comportamenti scorretti alla guida. Il nuovo art. 187 infatti introduce un automatismo, per cui l’assunzione di sostanze stupefacenti fa scattare il reato, a prescindere dall’accertamento di uno stato di alterazione idoneo a ledere o mettere il bene protetto dall’ordinamento, ossia la sicurezza stradale. Si introduce pertanto una presunzione assoluta di pericolosità, fondata su un semplice status dell’autore, ovvero l’aver assunto sostanze stupefacenti. In questo modo, il legislatore pone le basi per la creazione di un reato d’autore, in quanto la rilevanza penale della condotta dell’agente non dipende dalla sua effettiva offensività, ma piuttosto da una sua qualità individuale. Non è azzardato pertanto affermare che il riformato Codice della Strada diventa uno strumento di controllo sociale, volto a reprimere condotte che, sebbene socialmente discutibili, non mettono effettivamente in pericolo la sicurezza stradale e la pubblica incolumità.

L’impatto sui pazienti in terapia

Un altro aspetto particolarmente critico della riforma attiene alla mancata previsione di deroghe per tutti quei soggetti che assumono sostanze psicotrope per fini terapeutici. La norma, infatti, non contiene alcuna eccezione nei riguardi dei pazienti che, ad esempio, fanno uso di cannabis a scopo terapeutico. Tale lacuna normativa espone irrimediabilmente tali soggetti a gravi conseguenze e al rischio di una condanna penale e alla perdita della patente di guida.

Si evince chiaramente la totale irrazionalità della norma in commento la quale, nella sua rigidità e nel tentativo di reprimere l’assunzione di stupefacenti, non ha provveduto ad adottare trattamenti differenziati per soggetti che impiegano sostanze psicotrope a scopo esclusivamente terapeutico.

Tale mancanza si pone in evidente contrasto con il principio di uguaglianza, sancito dall’art. 3 della Costituzione, il quale obbliga la Repubblica a “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Ebbene, l’art. 187 CdS fa esattamente il contrario, introducendo, di fatto, un ostacolo di natura sociale nei confronti dei pazienti che fanno uso di stupefacenti, limitandone la libertà e l’uguaglianza.

La circostanza per cui l’art. 3 Cost. prevede che “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”, non comporta che lo Stato debba trattare allo stesso modo ogni situazione giuridica, ma anzi, rende necessario che lo Stato preveda la possibilità di applicare trattamenti differenziati in base alla situazione individuale di ciascuno. Tale assunto viene totalmente disatteso dalla riforma del Codice della Strada.

Le perplessità sul piano della legittimità costituzionale

In conclusione, la riforma dell’art. 187 solleva serie perplessità non solo sul piano della legittimità costituzionale, ma anche sull’efficacia e l’equità degli strumenti adottati per perseguire i suoi obiettivi dichiarati. La scelta del legislatore di punire indiscriminatamente chiunque guidi dopo aver assunto sostanze stupefacenti, senza alcuna considerazione per l’effettiva alterazione delle capacità psico-fisiche, si traduce in una criminalizzazione automatica di condotte che, in concreto, potrebbero risultare del tutto inoffensive. Tale approccio appare incongruente con il principio di offensività, cardine del diritto penale, che richiede l’esistenza di un pericolo concreto per un bene giuridico protetto.

Questa impostazione, oltre a sollevare dubbi sulla conformità ai dettami costituzionali, rischia di trasformare una normativa volta a tutelare la sicurezza stradale in uno strumento di controllo sociale e di stigmatizzazione del consumo di sostanze stupefacenti, indipendentemente dal loro impatto sulla guida. Una simile deriva normativa compromette la coerenza del sistema giuridico e sposta il fulcro dell’intervento legislativo dalla prevenzione degli incidenti stradali alla repressione di condotte personali, con un evidente scollamento rispetto alla ratio dichiarata della riforma.

La lotta al consumo di stupefacenti, pur essendo un obiettivo condivisibile, dovrebbe essere affrontata attraverso politiche e strumenti più adeguati e mirati, quali campagne di sensibilizzazione, potenziamento dei servizi di prevenzione e cura.

La scelta di perseguire tale finalità con l’inasprimento delle norme del Codice della Strada rischia, al contrario, di indebolire l’efficacia dell’intervento legislativo, aumentando il contenzioso giudiziario e colpendo categorie di cittadini – come i pazienti in terapia – senza una reale necessità di tutela della pubblica sicurezza.

 

The post Le perplessità generate dalla riforma del Codice della Strada appeared first on lentepubblica.it.

Qual è la vostra reazione?

like

dislike

love

funny

angry

sad

wow