Lecce-Wolfsburg: il treno della speranza nell’arte di Croci Sisinni

Nella foto: Il Dipinto di Croci Sisinni. Foto di ©F.Vizzarri Nell’ufficio del...

Lecce-Wolfsburg: il treno della speranza nell’arte di Croci Sisinni
Nella foto: Il Dipinto di Croci Sisinni. Foto di ©F.Vizzarri

Nell’ufficio del Patronato ACLI di Wolfsburg, si trova un dipinto che ritrae una famiglia di lavoratori migranti italiani, in attesa della partenza di un “treno speciale” Lecce-Wolfsburg. Al centro dell’opera, rappresentata con uno stile vagamente modiglianesco, emergono due figure femminili in primo piano, simbolo delle madri dei bambini, che appaiono, volutamente sottodimensionati, in piedi e seduti su una panchina. Intorno a loro, diverse valigie sono disposte in una prospettiva distorta, contribuendo a creare un’atmosfera di attesa e tensione. Sullo sfondo, due uomini, verosimilmente i padri dei bambini, sono impegnati in un dialogo. Sullo sfondo, l’immagine di un “treno speciale” (Sonderzug) recante la scritta “Lecce-Wolfsburg”.

L’autore di questo dipinto è Crocifisso “Croci” Sisinni, pittore e scultore di origini pugliesi, emigrato in Germania all’età di sedici anni per ricongiungersi ai genitori che già lavoravano a Wolfsburg. Quest’opera cattura un momento cruciale della sua vita, offrendo uno spaccato della sua esperienza migratoria.

Sisinni si trasferì in Germania giovanissimo, a sedici anni, lasciando la sua terra natale di Ostuni per affrontare quella che descrive come un’avventura: un “viaggio” oltre i confini, non solo geografici, ma soprattutto culturali e “mentali”, che si rivelò trasformativo per il suo percorso di vita e professionale. Oggi, dopo tanti anni, l’artista ha deciso di condividere la sua storia, contribuendo così alla costruzione di una memoria collettiva delle migrazioni italiane in Europa nel Secondo Dopoguerra. Presentiamo l’intervista realizzata da Francesco Vizzarri, storico dell’emigrazioni.

Vorrei iniziare con una domanda aperta e saperne di più sulla tua vita in Puglia prima di andare in Germania. Potresti dirmi dove vivevi, quale scuola hai frequentato e quali sono stati i motivi che ti hanno spinto a trasferirti a Wolfsburg?

La nostra famiglia era numerosa, composta da me, mio fratello e tre sorelle. Mio padre, un instancabile artigiano dell’edilizia, ci ha sempre trasmesso valori come il lavoro, il rispetto e la famiglia, accompagnandoci con grande dedizione. Lavorare nell’edilizia significava allora spostarci costantemente da un luogo all’altro, e noi non eravamo un’eccezione. Abbandonammo Trepuzzi, vicino a Lecce, nel cuore del Salento, per stabilirci a Ostuni. Qui, i miei genitori trovarono una nuova casa per noi e la mia giovinezza e gli anni scolastici sono profondamente legati a questa incantevole cittadina. Ostuni, con il suo unico fascino, divenne lo scenario dei nostri ricordi e delle nostre esperienze di crescita. Nel 1964, i miei genitori partirono per la Germania alla ricerca di opportunità.

Mio padre partì dal centro di emigrazione di Verona. Io e mio fratello fummo iscritti a un collegio, il GIL (Giovani Italiani Littorio). Abbiamo trascorso lì l’intero periodo della scuola elementare, cinque anni. Il nostro soggiorno e la nostra vita quotidiana erano completamente regolati da questa istituzione, gestita da sacerdoti e diretta da don Italo Pignatelli, una figura che occupa ancora un posto speciale nella mia memoria. Don Pignatelli ha avuto una grande influenza sulla mia vita, aiutandomi a scoprire e a sviluppare le mie capacità personali e artistiche. Attraverso il suo costante incoraggiamento e i compiti che mi affidava, ha avuto un ruolo decisivo nel mio sviluppo, aprendomi la strada per diventare un artista e uno scultore. La nostra possibilità di rimanere lì era dovuta agli affari dei nostri genitori all’estero, che provvedevano al nostro mantenimento, compresi istruzione, alloggio e cibo.

Al termine del periodo di permanenza in collegio, per esigenze familiari, abbiamo iniziato a esplorare il mondo del lavoro in età molto giovane, intraprendendo diverse professioni. In questo periodo ho affinato le mie capacità di scalpellino, che si sono rivelate molto preziose nel corso degli anni. Le prime esperienze lavorative erano per lo più all’interno del quartiere, con una prospettiva limitata. Eravamo adolescenti “con i paraocchi”, legati a una mentalità tipicamente provinciale che si rifletteva nei nostri pensieri e nelle nostre azioni. Finché, nel 1971, all’età di quindici anni, mi trasferii in Germania con i miei genitori, e precisamente a Wolfsburg.

Vorrei sapere di più sulla tua esperienza migratoria. Puoi raccontarmi quando e come sei andato in Germania? E come è stato il viaggio?

Il nostro viaggio si è svolto principalmente in treno, una „esperienza formativa” di 2.200 km per me. Contrariamente alla procedura abituale prevista per i lavoratori italiani intenzionati a recarsi in Germania per lavoro, noi non siamo passati per il centro di emigrazione di Verona. Con un treno, invece, siamo andati dapprima da Ostuni fino a Bologna, lì abbiamo alloggiato con altri migranti italiani in attesa del treno che sarebbe proseguito fino a Verona e poi attraverso il Brennero, verso la Germania. durante il viaggio ero sbalordito da paesaggi che non avevo visto prima: le Alpi, maestose, i laghi, le grandi città, le stazioni, la gente. Era per me la prima volta fuori dalla Puglia, fuori dal Salento.

La nostra destinazione era Wolfsburg, importante città industriale del Nord della Germania e sede della Volkswagen, dove lavoravano mio padre, mio cognato e mio fratello. Il mio primo „stage” è stato in un supermercato italiano a Wolfsburg. In seguito ho lavorato in un’azienda elettrica specializzata in impianti civili e industriali. Anche se si trattava di un apprendistato, il mio capo mi permetteva di frequentare la scuola una volta alla settimana come forma di istruzione. Questo includeva la stesura di relazioni e valutazioni, e devo ammettere che ho faticato a imparare e a usare la lingua tedesca, soprattutto durante gli esami. I primi giorni in Germania sono stati impegnativi. Per il primo anno mi sono sentito quasi „muto“ perché non capivo molto il tedesco e non sapevo ancora parlarlo.

Parlami ora della tua vita a Wolfsburg: le giornate/la routine, i lavori che hai svolto, le difficoltà che ha incontrato e i ricordi che hai della città negli anni Settanta. Ci sono eventi particolari che hanno definito questa fase della sua vita?

La mia prima impressione di Wolfsburg è stata intensa e allo stesso tempo stimolante, poiché mi sono trovata in una realtà completamente nuova. La città, con il suo carattere industriale avanzato, ha lasciato un forte impatto e mi ha spinto a volermi adattare rapidamente. All’inizio questo adattamento è stato impegnativo e talvolta traumatico, ma col tempo ho cominciato a integrarmi. Noi italiani ci siamo organizzati in gruppi di amici e familiari, trovando un po’ di conforto al Circolo Italiano, dove ho conosciuto molte persone con cui condividere esperienze. Alcuni di loro avevano anche formato un gruppo musicale che arricchiva le nostre serate e i nostri incontri culturali. Questa vicinanza ci permetteva di trascorrere i fine settimana insieme, alleviando in parte le enormi sfide che dovevamo affrontare sia dal punto di vista professionale che da quello dell’integrazione.

Il „ghetto“ di Wolfsburg ha segnato profondamente la mia esperienza. Molti lavoratori italiani erano alloggiati in una sorta di „enclave“, costituita da baracche di legno a due piani con un’area recintata e un controllo di polizia all’ingresso. Questo ambiente era economico in quanto ospitava tutti gli operai della Volkswagen, ma l’organizzazione e la gestione di questo luogo furono per me traumatiche. L’accesso non era libero: solo gli italiani potevano entrare e alloggiare in quest’area ristretta. Quando volevo cercare mio padre, non potevo semplicemente entrare; mio padre doveva uscire e confermare la nostra relazione. Tuttavia, le cose cambiarono in seguito, quando fu costruita una nuova zona residenziale per gli operai della Volkswagen: il quartiere di Käsdorf, nel nord della città. La struttura comprendeva ristoranti, mense, chioschi e tutti i servizi per gli immigrati. Questo segnò un significativo „cambiamento di qualità“ rispetto alle precedenti sistemazioni per i „lavoratori ospiti“, che chiamavamo “baracche”, pur restando ancora riservate ai lavoratori italiani, ma con notevoli differenze rispetto al passato. Dopo qualche anno a Käsdorf, la mia famiglia si trasferì in una casa in affitto in una zona molto centrale, in via Porsche. Ricordo ancora che pagammo circa 2.500 marchi a un’agenzia immobiliare che ci fornì un’ottima sistemazione con tutti i comfort. Ci siamo sentiti a nostro agio durante questo periodo, anche perché i nostri vicini erano italiani e abbiamo trascorso molte serate con loro.

Parlando invece della mia esperienza lavorativa, devo dire che il mio percorso è stato forse un po‘ insolito rispetto a quello di molti connazionali che lavoravano alla Volkswagen. Infatti, grazie ai contatti e al sostegno del Circolo italiano e della missione, mi è stato offerto un lavoro diverso. Ho conosciuto una famiglia veneta che possedeva una gelateria a Hitzacker an der Elbe, una cittadina non lontana da Wolfsburg. Così ho iniziato a lavorare in questa gelateria. Conservo un bel ricordo di quel periodo. Ricordo con piacere che il fiume Elba costituiva il confine tra la Repubblica Federale e la Repubblica Democratica Tedesca (DDR): dalla nostra sponda del fiume si vedeva la Germania comunista, cioè la Germania dell’Est. Questo periodo fu speciale perché ero l’unico italiano tra i miei amici veneti. Non solo mi hanno dato un lavoro, ma anche un posto dove dormire e vivere. Questi amici sono diventati come una seconda famiglia per me. Qui in paese ho trovato molti amici italiani e tedeschi, che mi hanno insegnato molto. Al lavoro sono stato trattato bene, quasi come un figlio. Mi hanno aiutato e si sono occupati di tutto il necessario. La famiglia italiana con cui ho lavorato si è presa cura di me.

Potresti raccontarmi della comunità italiana a Wolfsburg? Quali erano i tuoi contatti, sia sul luogo di lavoro che all’interno della missione o del centro italiano? Inoltre, come trascorrevi il tempo libero e con chi condividevi queste attività?

La comunità italiana di Wolfsburg era vivace e offriva molte opportunità di networking. Ho avuto contatti sia in ambito professionale che attraverso la Missione Cattolica e il Centro italiano. La maggior parte del mio tempo libero lo trascorrevo al Centro, quando c’erano i festival organizzati nel fine settimana. In quelle occasioni si faceva amicizia con tante altre persone provenienti da varie regioni d’Italia, ma anche con lavoratori provenienti da Paesi extra-europei. Ad esempio conoscevo alcuni marocchini.

Il Centro italiano è stato un punto d’incontro fondamentale per conoscere altre famiglie e formare gruppi di amici. Ci siamo impegnati in molte attività: ad esempio frequentavamo una piscina ben attrezzata di Wolfsburg, organizzavamo partite di calcio e facevamo tante serate organizzate e anche delle lunghe passeggiate. Ad un certo punto avevamo anche un giardino fuori città, uno Schrebergarten, dove con gli amici facevamo lunghe e divertenti grigliate: un’ottima occasione per trascorrere il fine settimana con altre famiglie. Oltre al Centro italiano e alla Missione Cattolica, a Wolfsburg erano attive anche le ACLI (Associazioni Cristiane Lavoratori Italiani), che svolgevano un ruolo importante come punto di contatto per molti italiani e come „centro sociale”. Per un breve periodo ho lavorato anche nel Patronato ACLI, nel corso degli anni Settanta. poiché per un lungo periodo sono stato malato e impossibilitato a fare lavori pesanti, durante i lunghi periodi di convalescenza, mi recano nell’ufficio del Patronato per dare una mano. Nonostante le mie limitate competenze, assistevo l’allora segretaria in questioni legali, nella traduzione di documenti, potendo mettere in campo le mia conoscenze di base della lingua tedesca. Non chiedevo nulla in cambio e mi sentivo apprezzato per il mio utile contributo.

Durante una visita al Patronato ACLI, ho trovato un tuo dipinto del 1977 che raffigura una famiglia italiana in attesa del treno speciale „Lecce-Wolfsburg”. Puoi dirmi qualcosa di più su questo quadro e sui ricordi ad esso associati?

Che bei ricordi ho di questo quadro! Il quadro faceva parte di una trilogia che presentai durante un concorso d’arte al Centro Italiano di Wolfsburg a metà degli anni Settanta. Il tema del dipinto era la „famiglia italiana di migranti in viaggio verso Wolfsburg“. Il secondo dipinto mostrava uno stormo di uccelli migratori, mentre il terzo raffigurava una strada della mia città natale, Ostuni, esprimendo la nostalgia per il mio luogo d’origine.

Per quanto riguarda il dipinto della famiglia in partenza, ho voluto creare un’immagine toccante degli italiani del Sud costretti dalla mancanza di opportunità di lavoro a intraprendere un viaggio in treno con le loro famiglie e i loro bambini, portando con sé tutto ciò che potevano. Il treno doveva portarli lontano, simboleggiando l’inizio di una nuova vita. Volevo catturare le espressioni di questi italiani del Sud che, nonostante le barbe curate, avevano un aspetto cupo, tormentato e magro, come se fossero „tristi“ ma allo stesso tempo pieni di speranza per la nuova vita che stava per dispiegarsi davanti ai loro occhi. I bambini aggrappati alle gonne delle madri e le valigie di cartone legate con lo spago rappresentavano tutto ciò che potevano portare con sé, l’intero mondo di chi le trasportava. Per questo dipinto ho tratto ispirazione da elementi della vita reale. Per esempio, una delle due figure maschili accanto al treno è stata ispirata da mio padre, mentre uno dei bambini potrebbe rappresentare me stesso quando sono partito per la Germania in pantaloncini, sottolineando la mia giovane età. In effetti, avevo solo quindici anni quando sono partito.

Quando hai deciso di tornare in Italia e quali sono stati i motivi che ti hanno spino a farlo? Vorrei che mi parlassi di questa esperienza del “ritorno” e anche di come hai mantenuto i rapporti con gli amici o familiari a Wolfsburg. Quali ricordi hai di quel periodo e prenderesti la stessa decisione oggi?

La decisione di tornare in Italia è stata presa principalmente per motivi di salute. Durante il periodo trascorso in fabbrica, la mia salute si è deteriorata e ho dovuto subire diversi interventi chirurgici. Per tre o quattro mesi non ho potuto lavorare e ho dovuto sottopormi a una riabilitazione intensiva, spesso costretta a rimanere in posizione orizzontale. In quei momenti difficili, ho promesso a me stesso: „Quando sarò di nuovo in piedi, dovrò tornare in Italia“ per riprendermi completamente. Devo dare atto alla Volkswagen di essere stata molto corretta e gentile durante il mio lungo periodo di recupero. Mi hanno persino inviato pacchetti con cioccolata e panettone per Natale, augurandomi una pronta guarigione senza farmi pressioni sulla data di rientro. Il loro rispetto per un dipendente che non poteva rientrare per motivi di salute era evidente.

Il ritorno in Italia ha suscitato inizialmente un sentimento di euforia, perché non vedevo l’ora di tornare nella mia terra e di rivedere i miei amici. Tuttavia, la situazione familiare era cambiata: solo mia sorella maggiore viveva a Ostuni. Gli altri membri della famiglia, tra cui mio padre, un’altra sorella e mia madre, erano rimasti a Wolfsburg. Mia sorella mi ospitò e iniziai a lavorare come cameriere in un ristorante. Col tempo mi sono ripreso anche fisicamente.

Ho pensato spesso a Wolfsburg e ho avuto l’opportunità, tra la fine degli anni Settanta e l’inizio degli anni Ottanta, di tornarci come „turista“. Ripensandoci, devo ammettere che probabilmente avrei continuato a vivere a Wolfsburg anche senza la mia malattia. Ho iniziato a stringere legami e amicizie con persone tedesche. Forse sarei rimasta lì se non mi fossi ammalata. Ma la decisione di tornare in Italia mi ha portato a una vita diversa, che oggi apprezzo molto. Per fortuna ho anche incontrato mia moglie, con la quale sono felice e con la quale credo che le cose siano andate bene.

Vorrei saperne di più sul tuo percorso di artista, in particolare sulle origini della tua bottega a Ostuni. Quando e come hai iniziato a lavorare con la scultura in pietra? Come si svolge oggi la tua attività?

A mio parere, la mia carriera artistica è iniziata in modo unico. Quando tornai dalla Germania, comprai una casa nel centro storico di Ostuni. Sotto questa casa c’era un piccolo negozio di cappelli che si trovava lì da diversi decenni. Grazie al mio hobby di disegnare e dipingere, avevo l’opportunità di esporre i miei quadri in questo negozio, soprattutto durante l’estate. Dipingevo ritratti e paesaggi e mi divertivo immensamente. Purtroppo accadde qualcosa di spiacevole: una notte i ladri entrarono nel negozio e rubarono tutti i miei quadri. Questo periodo è stato duro per me; ero depresso e volevo arrendermi e lasciarmi tutto alle spalle. Ma come si dice spesso: „Quando cadi da cavallo, risali subito“. Ed è quello che ho fatto: Non mi sono lasciato scoraggiare e ho cercato di ricominciare, di continuare a dipingere.

Fortunatamente ho trovato un modo per ricominciare. Ho ricevuto l’incarico di restaurare la base di una statua per la quale dovevo preparare una tavoletta di pietra. Mentre lavoravo su questa pietra, intagliandola e levigandola, avevo in mano quasi una „tela“ di pietra bianca. Da qui ho pensato di incidere con chiodi e cacciaviti e poi dipingere le rocce. Negli anni ho perfezionato questa tecnica di incisione e pittura. I motivi centrali sono angoli caratteristici del centro storico di Ostuni. Quello che è iniziato come un hobby si è trasformato in un lavoro. Posso dire con grande soddisfazione che molte delle mie opere sono esposte in Canada, Giappone, Stati Uniti e in molte altre parti del mondo.

Nel 2008, dopo molti anni, sei ritornato a Wolfsburg per partecipare a una mostra d’arte. Puoi raccontarmi come è andata, chi è stato coinvolto nell’iniziativa e che ruolo ha avuto l’amministrazione comunale? Che ricordi hai di questo viaggio e che significato questo ha per te?

I legami con Wolfsburg sono rimasti forti nel corso degli anni e non sono mai venuti meno. Ho mantenuto un’amicizia di lunga data con il mio caro amico Cosimo Barletta e sua moglie, che gestiscono un’azienda a Wolfsburg. Quando sono tornato nel 2008 per esporre le mie opere, è stata un’esperienza straordinaria. Finalmente potevo rivisitare la città che mi aveva accolto e ospitato per tanto tempo. Devo dire che De Mitri, in collaborazione con il Consolato italiano, ha organizzato tutto alla perfezione: il volo e tutti i dettagli logistici. Il volo per Colonia e poi il treno per Wolfsburg: tornare in questa città è stato esaltante perché è stato il luogo in cui ho vissuto un’evoluzione notevole in tutti gli aspetti della mia vita.

Ho condiviso le emozioni di questo ritorno con il sindaco durante la mostra. Wolfsburg mi ha dato molto perché sono arrivato qui a quindici anni e ho lasciato la città a venticinque. Ho avuto la fortuna di essere in una città che mi ha insegnato molte cose, sia dal punto di vista professionale che sociale. Qui ho interagito con persone diverse da quelle del mio piccolo paese in Puglia, che hanno allargato i miei orizzonti e mi hanno insegnato molto. La partecipazione alla mostra mi ha fatto sentire meno un lavoratore ospite e più un artista, un „maestro“, come ho sottolineato al sindaco. Ho evidenziato che, come italiani, spesso non abbiamo opportunità, ma possediamo competenze, e ce ne sono molte.

L’occasione della mostra coincideva anche con il 70° anniversario della fondazione di Wolfsburg. Pertanto, ho voluto contribuire con un’opera che evidenziasse in modo specifico il contributo dell’emigrazione italiana alla storia economica e sociale della città. Il pezzo mostra Ostuni, dove vivo, da un lato e Wolfsburg, con il suo castello, dall’altro. C’è una „rottura“, una „crepa“ nella pietra tra queste due città. Vedo questa „crepa“ come un „confine“, sia geografico che culturale e mentale, tra due stati d’animo: quello del giovane in Italia e quello dell’emigrante in Germania. Un confine culturale che deve essere superato. Per me, che provengo da un piccolo paese del Sud Italia, è stata un’esperienza travolgente e indimenticabile quando a quindici anni ho visto per la prima volta lo stabilimento della Volkswagen, ho attraversato le immense ciminiere, ho percorso il Brücke berlinese e sono salito su una „scala mobile“ che ha segnato profondamente il corso della mia vita.

Sei tornato a Wolfsburg di recente? Se si, hai incontrato amici di un tempo? Come sono ora i vostri rapporti?

Nel 2014 ho finalmente realizzato il sogno di andare a Wolfsburg con la mia famiglia. Abbiamo volato fino ad Amburgo, dove mia moglie e i miei figli sono rimasti per qualche giorno (la loro prima volta in Germania). Poi siamo andati a Wolfsburg e anche a Hitzacker sull’Elba. Abbiamo festeggiato il mio 58° compleanno, esattamente 40 anni dopo la mia maggiore età. È stato un momento bellissimo che ho potuto condividere con la mia famiglia.

È stata un’esperienza molto emozionante, soprattutto tornare alla gelateria dove avevo lavorato da giovane. Anche se i proprietari erano cambiati, è stato significativo camminare per le stradine del villaggio, che mi hanno portato tanta gioia. Riunirsi con gli amici è stato un momento prezioso. In un certo senso, posso dire che Hitzacker ha un significato ancora più profondo di Wolfsburg, perché è lì che ho fatto amicizia con i tedeschi e si può dire che mi sono integrata completamente. Alcuni di questi amici li ho ritrovati in seguito attraverso i social network e alcuni sono venuti a trovarmi a Ostuni. È stata un’esperienza meravigliosa perché abbiamo riunito le nostre rispettive famiglie, ricordato momenti del passato.

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