Libano. Hezbollah apre al dialogo, ma sul disarmo detta le condizioni

Aprile 12, 2025 - 17:30
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Libano. Hezbollah apre al dialogo, ma sul disarmo detta le condizioni

di Giuseppe Gagliano –

A dieci mesi dall’inizio della guerra transfrontaliera con Israele e a cinque dalla fragile tregua del 27 novembre 2024, Hezbollah si dice pronto a discutere il proprio disarmo. Ma lo fa alle sue condizioni: fine dell’occupazione israeliana nel Sud del Libano, ritiro totale da cinque avamposti ancora sotto controllo israeliano e riconoscimento del diritto alla resistenza. Altro che resa: quella che si profila è una partita negoziale in cui il movimento sciita mostra flessibilità tattica, ma senza rinunciare al proprio arsenale come garanzia di deterrenza.
Le dichiarazioni del deputato Hassan Fadlallah, figura chiave del blocco Lealtà alla Resistenza, non lasciano spazio a dubbi: Hezbollah è pronto al dialogo, ma solo all’interno di una strategia nazionale di difesa e a patto che il governo libanese agisca concretamente contro quella che definisce un’aggressione militare continua da parte di Israele. Le violazioni del cessate-il-fuoco sarebbero quasi 1.400, con più di 120 morti e centinaia di feriti civili. Difficile in questo quadro immaginare un disarmo unilaterale da parte dell’unica milizia che, nella narrazione di sé, continua a rivendicare il ruolo di “difensore del Libano”.
Il presidente Joseph Aoun, salito al potere con l’appoggio diretto degli Stati Uniti, ha accolto con ottimismo l’apertura del partito sciita. Ma sa che il terreno è minato. Ogni passo verso un monopolio statale della forza, come richiesto dalla Risoluzione ONU 1701, rischia di provocare uno scontro frontale con l’asse Hezbollah-Iran. Tanto più che, secondo fonti ufficiali, le discussioni in sede di Gabinetto, Parlamento e Presidenza sono già avviate, e coinvolgono le tre massime cariche dello Stato.
Il quadro è complicato da una realtà geopolitica fatta di pressioni esterne e fratture interne. Da un lato, Washington chiede a Beirut garanzie sul disarmo di Hezbollah in cambio di aiuti finanziari. Dall’altro, lo stesso Fadlallah avverte: nessuna ambasciata, nessun diplomatico straniero ha il diritto di interferire. In parallelo, l’accusa è rivolta anche agli attori interni che, a detta di Hezbollah, alimentano “campagne contro la presidenza” e minano la coesione nazionale, in linea con “agende straniere”.
Il dilemma del Libano è ormai chiaro: può ancora esistere come Stato sovrano con un esercito che non controlla tutti i confini e una milizia armata con una sua agenda regionale? O deve accettare che Hezbollah resti un attore ibrido — parte del sistema, ma anche al di sopra di esso?
La risposta non arriverà subito. Ma intanto il movimento sciita lancia un messaggio: non si ritira, ma si siede al tavolo. E sfida lo Stato a fare lo stesso, senza più alibi né deleghe. Se il Libano vorrà davvero avviarsi verso una sovranità piena, dovrà farlo senza illusioni, ma con tutta la lucidità che una stagione di transizione storica richiede.

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Redazione Redazione Eventi e News