Dopo aver infettato gli uccelli (e diverse specie di mammiferi) di quasi tutti i continenti terrestri ed essersi stabilito ormai da molti mesi negli allevamenti di bovini degli Stati Uniti, il virus dell'influenza aviaria H5N1 è stato ora per la prima volta individuato in un maiale.
L'animale, rimasto contagiato in una piccola fattoria dell'Oregon, non sembra rappresentare un rischio concreto di un'immediata accelerazione verso una nuova pandemia; ma la notizia di questo nuovo salto di specie, annunciata il 30 ottobre dal Dipartimento per l'Agricoltura degli USA, è comunque poco rassicurante. Vediamo perché.. Meno gradi di distanza. Ogni volta che il virus dell'aviaria H5N1 infetta una nuova specie di mammifero, ha la possibilità di acquisire nuove mutazioni che potrebbero renderlo più capace di infettare l'uomo. Fortunatamente non sembra essere ancora accaduto dopo il passaggio nelle mucche da latte: il virus circola tra i bovini e può infettare chi ha frequenti contatti con gli allevamenti (o chi beve il latte crudo, non pastorizzato, di questi animali); ma non è ancora "specializzato" nel contagiare la nostra specie e non sembra essere capace di trasmettersi da uomo a uomo - nonostante il caso, ancora in parte da esaminare, di un sospetto e contenuto focolaio tra pazienti nel Missouri.. L'ospite modello. Diverso è il caso dei maiali, che per alcune caratteristiche sembrano rappresentare gli incubatori perfetti di un virus capace di passare alla nostra specie. Questi animali presentano infatti, nelle alte vie respiratorie, recettori per l'influenza sia simili a quelli umani, sia simili a quelli degli uccelli. Possono quindi essere infettati contemporaneamente da virus influenzali di entrambi i regni, e se questo accadesse, i patogeni avrebbero la possibilità di scambiare materiale genetico, in un processo noto come riassortimento. Un rimescolamento che può dare origine a virus più capaci di compiere un salto di specie.. Un triste precedente. Proprio il riassortimento tra virus dell'influenza di maiali, uccelli e umani aveva dato origine, nel 2009, al ceppo di H1N1 responsabile di una pandemia che causò migliaia di morti, quella di influenza suina. Il rischio che qualcosa di simile possa ripetersi è reso più concreto dai frequenti contatti tra i maiali e la nostra specie: soltanto negli USA esistono 75 milioni di maiali da allevamento.. A stretto contatto. Un altro aspetto inquietante è che, negli Stati Uniti e non solo, sono frequenti i contesti in cui maiali, bovini e pollame siano allevati in ambienti attigui, spesso con condivisione di mangime: queste situazioni potrebbero favorire il passaggio del virus dell'aviaria da una specie all'altra, come sembra essere accaduto in Oregon.. sotto controllo (per ora). Fortunatamente, il singolo caso sembrerebbe poter restare piuttosto circoscritto. Il virus dell'aviaria ha infatti infettato un maiale in una piccola fattoria con solo altri quattro suini, che condividevano acqua e cibo con pollame recante l'H5N1.
Dopo la scoperta dell'infezione nel maiale, tutti gli animali della fattoria sono stati soppressi. Precedenti analisi avevano dimostrato che due dei maiali non erano rimasti contagiati (degli altri due si attendono gli esiti). Il suino rimasto infettato aveva sintomi lievi, e la fattoria è stata messa in quarantena per evitare contatti con l'esterno. Si pensa pertanto che questo singolo focolaio rappresenti un binario morto della temuta diffusione del virus dell'aviaria tra i maiali..