Lo scontro Trump-Cina per le materie prime africane

di Mario Lettieri e Paolo Raimondi * –
L’intervento di Trump in Africa prosegue speditamente guidato dalla sua fame atavica per le materie prime e le terre rare di cui il continente è ricchissimo. Dopo aver alzato i dazi nei confronti della Cina, la rivalità geopolitica tra Washington e Pechino potrebbe manifestarsi in alcuni paesi africani. Una priorità di Trump è di scalzare la presenza cinese in Africa e indebolire le sue attività nei settori infrastrutturali e di sfruttamento delle materie prime.
I dazi servono per mettere il massimo della pressione nei confronti degli Stati già in grave difficoltà e di ottenere delle concessioni attraverso il ricatto. Anche le guerre possono essere sfruttate per far cassa in vari modi.
Come in Ucraina, i piani trumpiani di pacificazione dovrebbero essere pagati offrendo in cambio il controllo e lo sfruttamento del sottosuolo. Questo è il caso della Repubblica Democratica del Congo, dove alcune regioni settentrionali sono state invase dall’esercito del Ruanda. Il presidente della RDC Felix Tshisekedi ha, infatti, chiesto aiuto a Trump, offrendo un accordo per un accesso preferenziale americano ai tanti minerali del paese in cambio del sostegno diplomatico contro il coinvolgimento straniero nel conflitto.
Secondo il Wall Street Journal, Massad Boulos, il senior Africa Advisor di Trump, ha visitato la RDC, il Ruanda e i paesi limitrofi per tracciare un percorso verso qualche forma di pace e promuovere gli investimenti statunitensi in loco. È evidente che in ballo vi sono investimenti di miliardi di dollari al fine di sganciare la RDC dalla Cina.
Un ruolo importante è svolto dall’U.S.-Africa Business Center della Camera di Commercio americana per rafforzare la parternship tra imprese statunitensi e i paesi africani. Anche all’Indaba Mining, la principale conferenza mondiale sugli investimenti minerari, tenutosi a febbraio a Città del Capo, in Sudafrica, è emersa l’essenzialità del settore minerario africano per le imprese statunitensi.
L’amministrazione Trump sta portando avanti un duro scontro anche con il Sudafrica. Evidentemente vi è anche l’intenzione di minare la solidità del gruppo dei paesi Brics. Si ricordi che Trump, appena eletto, dichiarò che li avrebbe puniti con dazi del 100% se avessero smesso di usare il dollaro nei loro commerci.
L’attacco è ancora più chiaro se si considera che il 4 aprile scorso è stato presentato al Congresso americano uno specifico disegno di legge, l’“U.S.-South Africa Bilateral Relations Review Act” in cui si afferma: “Le azioni di politica estera del governo sudafricano … favoriscono direttamente la Cina, la Federazione Russa e Hamas, un noto rappresentante dell’Iran, e quindi minano la sicurezza nazionale e gli interessi di politica estera degli Stati Uniti”.
L’annuncio di un uso selettivo dei dazi contro il Sudafrica svela l’approccio sottostante. Mentre aveva imposto dazi del 25% su parti di auto assemblate in Sudafrica (Ford, Mercedes, VW, BMW, Hyundai, altre), molte materie prime (platino, carbone, oro, manganese e cromo) non sono state colpite.
Il Wall Street Journal del 4 aprile riportava i contenuti del progetto generale: “I minerali diventano la pedina di scambio definitiva negli accordi diplomatici di Trump”, e sosteneva che il presidente americano vuole l’accesso ai diritti minerari in tutto il mondo, sperando di superare la Cina in una competizione globale per le materie prime, allo scopo di mantenere la potenza militare e industriale Usa.
Sarebbe stato ordinato al Pentagono di proporre dei piani per la raffinazione dei metalli e per la protezione delle miniere gestite dagli Stati Uniti nei territori pericolosi. Secondo il WSJ, il consigliere per la sicurezza nazionale degli Usa, Mike Waltz, starebbe guidando questa campagna insieme al consigliere per l’Africa, Massad Boulos.
Lo scontro geopolitico è evidenziato anche nella vicenda del cosiddetto Corridoio di Lobito, progettato per portare le materie prime dello Zambia, della RDC e dell’Angola verso il porto di Lobito sull’Oceano Atlantico. In verità, detto progetto è stato finanziato dagli Usa e dall’Ue ben prima dell’arrivo di Trump. Esso è in chiara contrapposizione alla modernizzazione, operata dai cinesi, della ferrovia, la “Tazara Railway” lunga quasi 2mila km, che collega le regioni ricche di rame dello Zambia con il porto di Dar es Salaam in Tanzania, sull’Oceano Indiano.
La logica trumpiana è di chiara impostazione imperiale, nonostante egli rappresenti il più grande paese di antica democrazia.
* Mario Lettieri, già deputato e sottosegretario all’Economia; Paolo Raimondi, economista e docente universitario.
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