Lo sfregio alla vittima di Acca Larenzia. "Abbia una tomba": l'appello della zia
Una storia che ancora oggi trasuda dolore per la destra italiana. Una vicenda che spiega, meglio di mille parole, la tensione, l'amore per la politica e la follia assassina degli anni Settanta. Un gruppo di amici che, col massimo tatto possibile, vorrebbero dare una mano, concreta, per non spegnere la fiamma di quel ricordo. Francesco Ciavatta, uno dei tre ragazzi morti nella strage di Acca Larenzia, è sepolto a terra, nel cimitero di un piccolo paese del Molise, Montagano, in provincia di Campobasso. Adesso, la concessione della tomba è scaduta e c'è il rischio che i resti vengano trasferiti nell'ossario comune. Il padre, che a Roma lavorava come portiere in un prestigioso condominio in via Deruta 19, si suicidò per la disperazione, dopo aver bevuto una bottiglia di acido muriatico. La madre decise così di tornare al suo paese di origine. Troppi i ricordi dolorosi legati alla Capitale per riuscire ancora a trascorrervi del tempo. Trentadue mesi fa anche la donna è deceduta, per cause
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Una storia che ancora oggi trasuda dolore per la destra italiana. Una vicenda che spiega, meglio di mille parole, la tensione, l'amore per la politica e la follia assassina degli anni Settanta. Un gruppo di amici che, col massimo tatto possibile, vorrebbero dare una mano, concreta, per non spegnere la fiamma di quel ricordo. Francesco Ciavatta, uno dei tre ragazzi morti nella strage di Acca Larenzia, è sepolto a terra, nel cimitero di un piccolo paese del Molise, Montagano, in provincia di Campobasso. Adesso, la concessione della tomba è scaduta e c'è il rischio che i resti vengano trasferiti nell'ossario comune. Il padre, che a Roma lavorava come portiere in un prestigioso condominio in via Deruta 19, si suicidò per la disperazione, dopo aver bevuto una bottiglia di acido muriatico. La madre decise così di tornare al suo paese di origine. Troppi i ricordi dolorosi legati alla Capitale per riuscire ancora a trascorrervi del tempo. Trentadue mesi fa anche la donna è deceduta, per cause naturali legate all'età. In questi giorni un gruppo di suoi coetanei, che con Francesco ha condiviso un percorso di vita, di passione e anche di profonda e sincera amicizia ha contattato il nostro quotidiano. Per raccontarci una storia di politica con la P maiuscola: nobile, autentica e struggente. L'unica parente di Francesco rimasta ancora in vita è una zia.
Ed è a lei che spetta ogni tipo di decisione legata a novità nella tumulazione dei resti del congiunto. «La nostra è un'idea che vuol partire dal massimo e più doveroso rispetto per il ruolo della zia, nessuno vuole scavalcarla o non tenere conto del suo dolore, delle sue scelte, delle sue volontà. Questo deve essere chiaro-ci raccontano - Abbiamo pensato che potrebbe essere bello acquistare, a nostre spese, un loculo. Dove traslare i resti di Francesco. E porlo vicino a quello della madre. Un gesto simbolico, che acquisterebbe un valore importante per chi ha una sensibilità religiosa, cristiana. Madre e figlio, che in vita si sono voluti così tanto bene, ma hanno avuto troppo poco tempo per condividere emozioni, esperienze e amore, si ritroverebbero finalmente vicini. Uno accanto all'altro». Per comprendere appieno cosa abbia significato Acca Larenzia per la destra italiana è indispensabile fare un salto indietro nel tempo. Al 1978, in un periodo nel quale le passioni erano spesso macchiate col sangue di giovani innocenti. Acca Larenzia è un simbolo, positivo da un lato, drammaticamente negativo dall'altro. In quegli anni tanti giovani si avvicinavano alla politica.
E lo facevano in modo viscerale, trascorrendo ore, giornate intere nelle sedi dei partiti, discutendo con i propri amici nelle scuole se il capitalismo fosse l'unica soluzione nell'Occidente, seil comunismo rappresentasse davvero un simbolo di libertà o per quale motivo il concetto di patria fosse tanto importante. Uno scenario lontano anni luce da quello attuale, nel quale l'antipolitica è penetrata nelle nostre viscere. Francesco venne ucciso a Roma, il 7 gennaio 1978, insieme al ventenne, iscritto al primo anno di medicina e chirurgia, Franco Bigonzetti, alla sede del Movimento Sociale Italiano, in via Acca Larenzia, nel quartiere Tuscolano. Un terzo militante del Msi, Stefano Recchioni, morì poche ore più tardi, durante degli scontri con le forze dell'ordine, nel corso di una manifestazione di protesta. Francesco, che all'epoca ero uno studente delle superiori e aveva appena 18 anni, dopo essere stato ferito da un colpo di pistola cerco di fuggire lungo la scalinata situata a lato dell'ingresso ma, inseguito dagli aggressori, fu colpito nuovamente alla schiena e morì in ambulanza durante il trasporto in ospedale. L'agguato venne rivendicato dai Nuclei armati per il contropotere territoriale, ma non sono mai stati individuati i colpevoli materiali di quel gesto così vile. Nessuno ha mai pagato per tutto quel dolore.
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