Manufactures Dior fuori dall’amministrazione giudiziaria

I giudici del Tribunale di Milano hanno revocato in anticipo il provvedimento nei confronti di Manufactures Dior Srl, costola produttiva che ha come socio unico Christian Dior Italia Srl, in capo alla maison francese Christian Dior (del colosso del lusso Lvmh). A giugno scorso la società era stata ritenuta incapace incapace di prevenire e arginare […]

Manufactures Dior fuori dall’amministrazione giudiziaria
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I giudici del Tribunale di Milano hanno revocato in anticipo il provvedimento nei confronti di Manufactures Dior Srl, costola produttiva che ha come socio unico Christian Dior Italia Srl, in capo alla maison francese Christian Dior (del colosso del lusso Lvmh).

A giugno scorso la società era stata ritenuta incapace incapace di prevenire e arginare fenomeni di sfruttamento del lavoro nell’ambito del ciclo produttivo. Nello specifico, l’accusa si focalizzava sul mancato controllo della catena di fornitori, che a loro volta si sarebbero affidati a subfornitori con “lavoratori irregolari, paghe irrisorie e condizioni di lavoro lontane dalla legalità”, spiegavano i pm. A coordinare l’indagine di presunto caporalato erano stati il pm Paolo Storari insieme a Luisa Bollone.

Ora, a distanza di sette mesi (e quindi in anticipo sui 12 mesi inizialmente previsti), i giudici della sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano (Pendino, Cucciniello e Profeta) hanno dato atto all’azienda – come si legge su Il Sole 24 Ore – di aver “avviato un notevole sforzo di programmazione, economico e culturale per posizionarsi nel settore moda come un’impresa ad un alto grado di connotazione etica e di responsabilità sociale”.

Per far fronte all’emergenza, Manufactures Dior ha assunto 17 nuovi esperti per rafforzare i controlli sulla filiera produttiva e risolvere i contratti con fornitori critici, “definendo un nuovo modello di riferimento per le migliori prassi del settore”. La decisione segue le accuse del 2024 sulla scarsa vigilanza su subfornitori, dove lavoratori (23 persone di cui sette tra occupati in nero e di cui due clandestini sul territorio nazionale) venivano sfruttati in condizioni precarie. Un’indagine aveva rivelato violazioni di sicurezza, tra cui operai che dormivano nei laboratori e macchinari manomessi, rimuovendo alcuni dispositivi di sicurezza, per aumentare la produttività.

In questi mesi, la società ha quindi avviato un dialogo con il Tribunale, rafforzato le proprie procedure e ribadito il suo impegno per garantire condizioni di lavoro eque, trasparenza e integrità lungo l’intera filiera. Per dare un’idea, dagli atti emergeva che un “modello di borsa” acquistato da Dior a un “prezzo pari a 53 euro” da opifici cinesi veniva rivenduto al “dettaglio a 2.600 euro”.

Già a inizio 2024 Dior aveva ribadito le sue intenzioni di internalizzare i processi produttivi: “Dior seguirà l’evoluzione dei suoi prodotti artigianali, in particolare l’integrazione della produzione nei suoi atelier, e continuerà a offrire le migliori condizioni di lavoro a tutti coloro che contribuiscono, con immenso impegno e notevole know-how, a creare i prodotti Dior della migliore qualità”, aveva affermato l’azienda all’epoca.

Nei mesi successivi all’operazione, un’indagine della procura di Milano che aveva messo nel mirini l’operato di altri player, tra cui Giorgio Armani e Alviero Martini. Solo qualche giorno fa la misura è stata revocata anche nei confronti della Giorgio Armani Operations, mentre per Alviero Martini la revoca era già arrivata lo scorso ottobre.

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