Marco Patricelli: è sbagliato paragonare l'accordo del 1938 a oggi

C'è molta confusione sotto le nuvole di guerra tra Russia e Ucraina, nelle fila degli specialisti dei corsi e ricorsi storici. Che non esistono. Esistono analogie, certo, ma niente altro. Gli spiragli di una pace calata dall'alto hanno fatto evocare la Conferenza di Monaco del 1938 e il Patto Ribbentrop-Molotov del 1939, con una certa disinvoltura. Poiché è Donald Trump a dare le carte al tavolo della diplomazia – e ci si stupisce che stia facendo né più né meno quello che ha promesso in campagna elettorale, per di più in tempi inauditi per la pachidermica Europa dei bizantinismi – ecco che fa comodo richiamare il pactum sceleris con cui il 23 agosto 1939 Stalin scelse l'alleanza economica, di supporto militare e di espansione territoriale con l'arcinemico Adolf Hitler, invece di gettarsi nelle braccia delle democrazie. Due o tre punti appena bastano per smentire ogni odierno arzigogolo sul patto spartitorio di Mosca. Basta prendere le parole di Stalin alla nomenklatura sovietica, pri

Marco Patricelli: è sbagliato paragonare l'accordo del 1938 a oggi

C'è molta confusione sotto le nuvole di guerra tra Russia e Ucraina, nelle fila degli specialisti dei corsi e ricorsi storici. Che non esistono. Esistono analogie, certo, ma niente altro. Gli spiragli di una pace calata dall'alto hanno fatto evocare la Conferenza di Monaco del 1938 e il Patto Ribbentrop-Molotov del 1939, con una certa disinvoltura. Poiché è Donald Trump a dare le carte al tavolo della diplomazia – e ci si stupisce che stia facendo né più né meno quello che ha promesso in campagna elettorale, per di più in tempi inauditi per la pachidermica Europa dei bizantinismi – ecco che fa comodo richiamare il pactum sceleris con cui il 23 agosto 1939 Stalin scelse l'alleanza economica, di supporto militare e di espansione territoriale con l'arcinemico Adolf Hitler, invece di gettarsi nelle braccia delle democrazie.

Due o tre punti appena bastano per smentire ogni odierno arzigogolo sul patto spartitorio di Mosca. Basta prendere le parole di Stalin alla nomenklatura sovietica, prima della firma del patto e mentre i suoi negoziatori facevano di tutto per far naufragare ogni intesa con gli occidentali: «Noi dobbiamo accettare la proposta tedesca e respingere cortesemente la missione anglo-francese. Il primo vantaggio che noi ne ricaveremo sarà l'annessione della Polonia fin quasi a Varsavia e con la Galizia ucraina. La Germania ci dà una totale libertà d'azione negli Stati baltici e non si oppone affatto a reincorporare la Bessarabia nell'URSS. La Germania è pronta a riconoscere l'inclusione nella nostra zona d'influenza della Romania, della Bulgaria e dell'Ungheria». Vero è, quindi, che il Patto Ribbentrop-Molotov è una causa scatenante della seconda guerra mondiale, scoppiata la settimana dopo, ed è risultante del lucido cinismo di Stalin, che condizionava le trattative con gli anglo-francesi al diritto di passaggio dell'Armata Rossa sul territorio polacco, che non solo non poteva essere concesso ma non aveva alcuna giustificazione strategica. Un piano lucido, altro che speculazioni postume sul genio di Stalin per prepararsi al confronto con Hitler ricostituendo i quadri dell'esercito decimato dalle sue “Purghe”. Trump, però, non è Stalin e Putin non è Hitler, né la similitudine vale a ruoli invertiti.

Piuttosto, è la Conferenza di Monaco del 29-30 settembre 1938 a sedurre con i suoi rimandi, e non solo per la stessa probabile sede delle trattative per chiudere il conflitto in Ucraina. Al pari della Cecoslovacchia di allora, tenuta fuori dalla porta, l'Ucraina dovrà verosimilmente firmare quello che i “grandi” di oggi avranno deciso per essa, senza poter influire nelle decisioni. Nel 1938 la guerra non c'era e la si voleva scongiurare perché Hitler pretendeva i Sudeti abitati dai tedeschi; oggi la guerra c'è ancora, la sorte era già decisa nei fatti due mesi dopo l'aggressione di Putin, e pure nei fatti si concluderà in base alle conquiste territoriali russe. Perla linea di demarcazione Zelensky o firma o si dimette, tanto non cambia nulla.

Il presidente cecoslovacco Edvard Beneš il 5 ottobre 1938 si dimise e se ne andò in esilio. Almeno due cose erano chiare in quella vergogna: la Cecoslovacchia, privata di tutte le sue linee di fortificazione ai confini col Reich, era indifendibile, e infatti sarà invasa senza colpo ferire nel marzo 1939; le democrazie, pur legate a Praga da patti vincolanti, non avevano alcuna intenzione di combattere per essa. Le analogie finiscono qui, perché la storia è nota. Churchill allora tuonò: «Potevate scegliere tra il disonore e la guerra. Avete scelto il disonore e avrete la guerra». Oggi si sceglie il disonore per far smettere la guerra. «Fate, ma fate presto», come disse Napoleone III a Cavour nel 1860. E all'Europa convitata di pietra va bene così.

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