Marianne Mirage e Teatro, il nuovo album: l'intervista

Marianne Mirage torna con Teatro, un album di poesia e verità in...

Marianne Mirage e Teatro, il nuovo album: l'intervista

Marianne Mirage torna con Teatro, un album di poesia e verità in cui la cantautrice non ha paura di crescere e sbagliare

Esce il 17 gennaio Teatro, quarto album in studio di Marianne Mirage, cantautrice e artista a tutto tondo, che qui propone - in versione digitale e in vinile - quello che definisce «un disco di poesia e verità». Nata nel 1989 a Cesena, da sempre appassionata di musica, viaggiatrice incallita, per un periodo anche studentessa di recitazione, nel 2014 viene notata dalla Sugar di Caterina Caselli per il singolo d'esordio Come quando fuori piove, mentre nel 2017 è a Sanremo con Le canzoni fanno male, brano scritto anche da Francesco Bianconi dei Baustelle. Ma poiché solo i treni hanno la strada segnata, Marianne Mirage (sfuggente fin dal nome d'arte, che sa di Francia, dive d'antan e allitterazioni ipnotiche) sfugge al classico curriculum della cantante italiana, preferendo sperimentazioni, personalizzazioni, diversificazioni e détour.

Una creatività vulcanica e pensosa che si riflette anche in Teatro, opera delle sonorità rétro vivificate da irrequietezza contemporanea ed eclettica, complica la mano di Maquis, suo produttore e compagno (spoiler: cercate una testimonianza del loro amore anche su Vogue Italia di febbraio prossimamente in edicola). Anche i testi sono sincretici, densi di citazioni ma anche di filosofia di vita, spiritualità che si fa concretezza, saggezza degli errori. Perché Mirage è in continua evoluzione, senza paura di sbagliare e di contraddirsi, come ci racconta anche in quest'intervista.

Marianne Mirage e Teatro il nuovo album l'intervista
Foto di Leonardo Vecci Innocenti
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Com'è fatto il teatro di Marianne Mirage?

Il mio teatro è una tragedia comica, è come piangere e ridere allo stesso tempo. Dai dolori viene la consapevolezza, le sfide della vita sono come gli atti di un'opera teatrale che portano alla crescita di un personaggio. Per raffigurarlo penso alla prima che abbiamo fatto al Piccolo Teatro Strehler di Milano: lì indossavo un'enorme parrucca con scrigni, candele, fiori, perché in fondo tutto ciò che mi succede va poi ad alimentare un mondo onirico e immaginario che parte sempre dalla mia testa.

Proprio in quell'occasioni indossavi una tunica bianca, molto semplice, e poi in testa quest'esplosione di colori e oggetti: ti piacciono i contrasti?

Assolutamente sì, penso che nell'unione delle differenze ci siamo noi. Lentamente ci rendiamo conto che gli algoritmi che vorrebbero ridurci a una cosa sola sono sbagliati. Siamo contraddizioni viventi, anche quando per esempio dico che ho paura di volare, in realtà non è vero perché poi quando lo faccio mi permette di fare cose che mi piacciono. Amo tantissimo avere queste sporcature, infatti anche il disco è registrato tenendo respiri e sbavature della voce, perché fa tutto parte della ricchezza del racconto.

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Foto di Leonardo Vecci Innocenti
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In molti testi di queste canzoni ti rivolgi a un interlocutore, a un “tu”: parli a te stessa?

Siamo tutti noi, in realtà, perché nel corso degli anni mi sono resa conto che, quando dico qualcosa, ci sono molti altri uguali a me che pensano allo stesso modo. Una volta una ragazza mi ha detto: “Ti prego, Marianne, questa canzone non spiegarla mai”. E in fondo sono d'accordo: più le spieghi e più le allontani dalla realtà, invece ognuno poi è libero di pescarci quello che sente.

Nel primissimo verso del primo singolo, Chiudi gli occhi, canti: «Ti aiuterò ma non sarò lì». Mi è sembrata una sintesi molto potente del crescere e diventare adulti.

A me piace evolvere ma allora stesso tempo crescere non mi piace, vorrei rimanere sempre così, col cuore intatto e pieno, ma crescendo invece siamo costretti a cambiare di fronte alle mancanze, alle delusioni, ai tradimenti. E quindi le figure che ti aiutano e sono presenti nella tua vita a un certo punto non ci sono più. Ma è proprio di fronte alla perdita che noi come esseri umani - ma lo fanno anche gli elefanti - ci ritroviamo come una tribù, un insieme di persone che si unisce per sostenersi nel dolore e festeggiare nella felicità. Anche i social li intendo così, non come un mondo voyeuristico ma come una tribù in cui incontrare i tuoi simili.

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In queste canzoni parli di dolore appunto, ma anche d'amore e di sesso: come li collochi nella tua personale galassia?

Sesso e dolore sono veramente molto vicini più di quello che pensiamo: mi è capitato anche di far l'amore e poi piangere. In effetti quando parliamo di emozioni in realtà siamo noi che gli diamo un nome definito, ma possono anche convivere tutte insieme. Possiamo provare felicità e sotto sotto già sentirci esposti al suo contrario, in ogni emozione c'è anche il suo contrario come nello yin e yang. Come diceva Édith Piaf l'amore è la prima emozione che ci accende ma sappiamo tutti che spesso proprio in amore le cose non vanno bene.

Riesci a tenere una distanza da cioè tra quello che provi nella tua vita e quello che poi è il risultato della tua arte?

Assolutamente no, perché sono completamente pazza. Il titolo Teatro viene anche dal fatto che ho studiato come attrice al Centro sperimentale di cinematografia e questo un po' mi ha portato a non riuscire a mettere confini con le persone, lo spazio e il tempo con gli altri per me è estremamente relativo, vivo con il cuore aperto e senza senso del pudore. Ho bisogno di manifestare sempre quello che provo, nel bene e nel male.

L'estetica di questo album sembra molto nostalgica ma anche permeata da una seduzione misteriosa, vagamente minacciosa: ti ritrovi in queste definizioni?

È come una rosa con le sue spine, una volta tolte quelle te la godi benissimo, in realtà è tutta scena. Non sono nemmeno molto nostalgica, è proprio che il mio modo di vivere è fermo nel tempo: ascolto i vinili (e infatti Teatro esce solo in vinile), mi vesto con abiti vintage come quello rosso della copertina, ieri sera ho visto L'uomo che amava le donne di Truffaut. È come se fossi in un congelatore. Ma poi adoro che noi italiani abbiamo una tradizione artistica così lunga e riconoscibile che dovremmo essere orgogliosi di poter continuamente citare il passato.

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Foto di Leonardo Vecci Innocenti
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Hai cantato con Patti Smith, Patty Pravo, Ornella Vanoni: chi c'è nel pantheon delle figure che ti ispirano?

Già loro tre sono clamorose, devo dire che le donne sono stupende in generale. Combatto con molto fervore quando sento che il potere femminile viene anche solo messo in discussione: dovresti fare così, dovresti fare colà. Secondo me dobbiamo imparare invece a contemplare, una parola difficilissima perché richiede noia, tempo e conoscenza. Tutte queste donne che abbiamo citato stavano stavano invece proprio nella contemplazione, nell'essenza. Ornella Vanoni mi ha proprio detto: “Non esistono più i fotografi che lavorano con le ombre”, invece bisogna riscoprire la complessità, l'ascolto, la sapienza.

Avendo così tanti riferimenti anche di donne del passato, cos'è per te la femminilità?

Uno dei concetti che naviga questo disco secondo me è la consapevolezza, e lo stesso vale per la femminilità: una donna puoi sentirla già attraverso gli occhi, la postura, come accavalla le gambe o muove le mani. E tutte queste cose sono fatte dalla sua consapevolezza, allora può starci bene anche una ruga, un maglione invece di una scollatura, l'importante è trasmettete tutto il tuo stare bene in te stessa.

A proposito di consapevolezza, sui social tu racconti molto anche la tua passione per lo yoga.

Lo yoga è stato una chiave di lettura della mia vita, un'àncora di salvezza nei momenti difficili. Fare l'artista significa essere sempre esposto al volere degli altri, accettare i no, invece lo yoga mi ha insegnato che per afferrare un momento di felicità dovevo solo ascoltarmi, essere me in quel momento. Quindi l'ho vissuto, l'ho insegnato e mi sono resa conto che anche con la musica faccio la stessa cosa, voglio dare dolcezza agli altri perché dai fan ricevo sempre molto, quindi in qualche modo voglio sempre restituire. Succede anche nei concerti, che in sostanza vengono fatti dal pubblico: il teatro diventa una cattedrale, un tempio in cui succede sempre qualcosa di magico e imprevisto.

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La ricchezza delle tue ispirazioni si ritrova anche nello spazio che hai chiamato Casa Mirage: non è un progetto un po' insolito per una cantante?

Lo è, ma nasce tutto dalla mia testa perché odio gli schemi, l'idea di fare una cosa sola, l'idea di vivere la casa solo un luogo in cui stare. Invece Casa Mirage è un nido, dove tutti possono passare più tempo possibile, ho capito che la volevo proprio quando ho trovato un nido in giardino. L'ho riempita di colori, di materiali, di arte ma anche di spiritualità: voglio che le persone ci passino del tempo per confrontarsi, parlare, unire arti diverse.

Concludiamo con un altro sguardo al passato: le canzoni fanno ancora male?

Le canzoni faranno sempre male. C'è sempre un po' di bene anche nel male, c'è sempre anche un po' di pace nel tormento. Le canzoni per maieutica tirano fuori quello che hai dentro, il peggio e poi il meglio, ti fanno scoprire chi sei e quindi alla fine ti fanno crescere.

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