Paul Schrader, intervista a cena con il regista di Oh Canada: «Ho fatto molti errori, ma mi sono perdonato»
Paul Schrader, intervista al regista di Oh, Canada – I tradimenti si...
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Paul Schrader, intervista al regista di Oh, Canada - I tradimenti si racconta a Vogue Italia: «In questo mondo nessuno mi ha fatto favori. I critici? Possono scrivere di me ciò che vogliono»
Paul Schrader - il regista di Oh, Canada - I tradimenti, il film con protagonisti Jacob Elordi, Richard Gere e Uma Thurman al cinema dal 16 gennaio - ce lo ripete anche a cena, è un momento surreale, ma informale, ricco di spunti, tra un bicchiere di vino e una risata.
Siamo all’ultimo Lucca Film Festival, lui è uno degli ospiti principali, Premio alla Carriera della manifestazione: durante il giorno c’è stata la nostra intervista, ma è alla sera che si continua a parlare, invitati (tra i pochi) al tavolo, dove c’è anche Ethan Hawke, lo stesso che gli ha consegnato dal palco il riconoscimento e tra gli attori con cui ha lavorato, in particolare nello splendido First Reformed.
Schrader è una figura chiave del cinema americano. Critico, prima di essere sceneggiatore (vedi Taxi Driver) e regista è stato capace di affermarsi, non solo nel periodo della New Hollywood, rompendo altresì gli schemi con le produzioni industriali, provando semmai a recuperare una certa estetica dai valori classici.
Una voce coraggiosa, indomita, avvicinatasi tardivamente alla cinematografia rispetto agli amici e compagni Scorsese e Coppola, cresciuti invece in quel culto, ma che ha maturato poi una vocazione artistica eccelsa, prima al college, guardando a Bernardo Bertolucci, Bresson Dreyer, il cinema trascendentale, condividendo dopo la propria di visione. Una visione alternativa, all’avanguardia. Gli ultimi anni lo hanno portato a essere ulteriormente protagonista: Il collezionista di carte, The Master Gardener – Il maestro giardiniere, ed ora grazie a Oh Canada – I tradimenti, la sua ultima pellicola presentata in concorso al Festival di Cannes 2024, segnando il ritorno alla collaborazione con Richard Gere.
Paul Schrader, l'intervista di Vogue Italia
Partiamo proprio da Richard Gere.
Non ci siamo mai persi di vista in questi anni, lui ha fatto grandi successi, in termini di notorietà, io meno. Siamo diversi, poi ho scritto questa sceneggiatura, quello di un vecchio documentarista, davanti la camera, a raccontare di sé, della propria verità e vita. È un ruolo che lo ha affascinato e non aveva interpretato in tutta la sua carriera.
Che ricordo ha di American Gigolò?
Fino a quel momento avevo sviluppato personaggi complessi. In questo caso volevo fare un film che fosse più d’apparenza, bello da vedere, dovevo trovare un modo, venni in Italia, avvicinandomi alla cultura italiana.
Oh, Canada è tratto dal romanzo dello scrittore Russell Banks, I tradimenti, con il quale lei è stato molto amico.
Ci vedevamo ogni anno, era diventato un appuntamento fisso, ha avuto davvero un impatto su tante persone. Ha avuto il cancro, e questo mi ha davvero impressionato, anche perché adesso ho un'età in cui le persone che conosco stanno morendo, ma la sua scomparsa nel 2023, quasi due anni fa, mi ha colpito più duramente rispetto ad altri.
All’inizio della carriera lei è stato in primis critico: cosa si impara da un’esperienza del genere?
Due cose: il critico guarda a un “corpo” di un cadavere, vuole aprirlo ed esaminarlo, capire come respira. Un’artista, invece, guarda a questo corpo come a una donna incinta, pronta a dare alla luce, anzi non pensa ad altro. Io cerco di non rivedere i miei film ad esempio…
Perché?
Non voglio fare il critico di di me stesso, rischio di guardare e dirmi, “eri veramente forte, bravo”, dall’altro replicherei “dov’è quel talento?”. Sarebbe un disastro ripensare a tutti gli errori fatti.
È vero che fu licenziato dal giornale in cui collaborava?
Riguarda Easy Rider. Avevo capito fosse un film enorme, però non ero molto d’accordo, non sapevo se dire verità, o meno. Scrissi il mio pezzo negativo in totale libertà, e per questo sono stato licenziato, insieme al redattore.
Bertolucci e Il conformista l’hanno ispirata in maniera importante: in cosa?
Ha ridefinito la mia generazione, Bernardo in quel film era così libero dai soliti standard. lo avevo visto in alcuni piccoli progetti al college, avrei sempre voluto riprodurre una cosa simile, molte idee arrivano da lì. Il primo contatto avvenne nel 1976, quando venne a Firenze, per un film di Brian De Palma, Obsession, c’era anche De Niro, nel frattempo impegnato alla riprese di Novecento. Sono rimasto vicino a Bertolucci fino alla fine dei suoi giorni.
Più rimorsi o rimpianti alla fine?
Se ho sbagliato scelgo allora di perdonarmi, piuttosto che lottare per raggiungere un perdono. In questo mondo nessuno ti fa favori. Ai ragazzi, agli studenti, dico “guardate un film e pensate di poterlo fare”. L’altra domanda da porsi invece è “cosa posso fare che non c’è già là fuori?”.
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