Scorrimento di graduatoria: il riparto di giurisdizione
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I criteri di riparto di giurisdizione in materia di scorrimento di graduatoria sono stati di nuovo trattati dalla quarta sezione del Consiglio di Stato, con sentenza del 20 gennaio 2025 n. 390.
Il caso
La questione affrontata a Palazzo Spada riguarda la richiesta di riformare, previa sospensione dell’esecutività, la sentenza con la quale il giudice di prime cure aveva dichiarato inammissibile il ricorso di un candidato, ritenendo che le doglianze ivi espresse appartenessero alla competenza del giudice ordinario.
Nello specifico, il candidato vincitore riservista del concorso aveva impugnato dinanzi al T.A.R. del Lazio, tra gli altri, il provvedimento con il quale veniva disposto lo scorrimento di graduatoria, mettendo a disposizione dei candidati, per la scelta, ulteriori sedi ed amministrazioni non contemplate in precedenza.
La doglianza lamentata dal ricorrente, infatti, riposa sul presupposto di aver dapprima espresso la preferenza per una delle sedi tra quelle previste originariamente nel bando, ma di aver successivamente inviato formale rinuncia a prendere servizio nel posto assegnatogli, confidando in un futuro scorrimento della graduatoria e nella possibilità di poter ottenere una sede di servizio più vicina alla sua città di residenza situata in altra città, nella quale era già dipendente di altra Amministrazione, con contratto a tempo determinato, non ricompresa tra quelle che avevano indetto il concorso.
Infatti, successivamente alla rinuncia del ricorrente, si erano resi disponibili alcuni posti nella sede di interesse del medesimo sia presso l’Amministrazione che aveva bandito il concorso, sia presso altre Amministrazioni che si erano aggiunte a quelle che avevano di fatto bandito il concorso, attingendo alla graduatoria in questione; il ricorrente, pertanto, oltre alla richiesta di annullamento in parte degli atti impugnati che non gli consentivano la possibilità di scelta, ha domandato che venisse accertato il proprio interesse ad essere riammesso al concorso in argomento, “nella posizione e con il punteggio legittimamente spettante in graduatoria e, per l’effetto, all’assegnazione […] alla sede di sua prima scelta (ove disponibile) […]”.
Il TAR Lazio dichiarava il ricorso inammissibile per difetto di giurisdizione, ritenendo che le doglianze lamentate, come anzidetto, appartenessero alla cognizione del giudice ordinario, “collocandosi in una fase successiva allo svolgimento della procedura concorsuale e investendo le modalità con cui l’Amministrazione aveva provveduto allo scorrimento della graduatoria alla luce della lex specialis”.
Ricorrendo in secondo grado, il ricorrente evidenzia di aver impugnato l’atto amministrativo con cui l’amministrazione aveva ampliato il novero degli enti di destinazione, e di conseguenza, anche le sedi territoriali messe a disposizione dei candidati, deducendo l’ingiustizia di aver potuto scegliere in un ambito più ristretto di amministrazioni e sedi rispetto ai candidati collocatisi in una posizione deteriore alla sua all’esito del concorso.
La ricostruzione del riparto di giurisdizione
Nel ritenere le censure fondate, preliminarmente i giudici di Palazzo Spada ricostruiscono il presupposto normativo sul quale riposa il relativo riparto di giurisdizione.
Muovendo dall’art. 63 comma 1 del D.lgs. n. 165 del 2001, infatti, il giudice ribadisce come sia espressamente previsto che “sono devolute al giudice ordinario, in funzione di giudice del lavoro, tutte le controversie relative ai rapporti di lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni di cui all’articolo 1, comma 2, ad eccezione di quelle relative ai rapporti di lavoro di cui al comma 4, incluse le controversie concernenti l’assunzione al lavoro, il conferimento e la revoca degli incarichi dirigenziali e la responsabilità dirigenziale, nonché quelle concernenti le indennità di fine rapporto comunque denominate e corrisposte, ancorché vengano in questione atti amministrativi presupposti“.
Ancora, il comma 4 del medesimo articolo sancisce in particolare che “restano devolute alla giurisdizione del giudice amministrativo le controversie in materia di procedure concorsuali per l’assunzione dei dipendenti delle pubbliche amministrazioni […]“.
Il giudice di prime cure, nella sentenza impugnata, in materia di riparto di giurisdizione richiama un costante indirizzo giurisprudenziale (ex multis Cass. S.U. n.16527 del 2008) a mente del quale, nelle controversie relative a procedure concorsuali nell’ambito del pubblico impiego privatizzato, è devoluta alla giurisdizione del giudice ordinario la cognizione della pretesa avanzata dal candidato, utilmente collocato nella graduatoria finale, al riconoscimento del diritto allo scorrimento di graduatoria, in quanto è direttamente con essa che si fa valere il “diritto all’assunzione”.
Lo scorrimento, infatti, consente di addivenire alla stipula di un contratto di lavoro, in forza di eventi successivi alla definizione del procedimento concorsuale con l’approvazione della graduatoria e nei confronti di partecipanti che, ancorché non vincitori della selezione, siano risultati comunque idonei. Ciò può avvenire secondo due ipotesi: o dando seguito a specifiche previsioni del bando in merito al possibile utilizzo della graduatoria, oppure perché, per atti normativi ovvero per specifiche disposizioni della lex specialis, venga mantenuta l’efficacia della graduatoria ai fini dell’assunzione degli idonei in relazione ad eventuali posti resisi vacanti ovvero disponibili entro un determinato periodo di tempo.
Poiché detto istituto ha quale indefettibile presupposto la decisione dell’amministrazione di coprire il posto ricorrendo all’utilizzo della graduatoria ancora efficace, detta decisione, una volta che sia stata assunta a mezzo di specifica determinazione, ben può essere equiparata ad un vero e proprio espletamento di tutte le fasi di una procedura concorsuale, andando ex se ad identificare ulteriori vincitori.
Per le esposte ragioni, attesa l’ultrattività della graduatoria approvata seppure negli argini dei termini normativamente previsti, la pretesa allo scorrimento deve necessariamente collocarsi al di fuori dell’ambito della procedura concorsuale e, di conseguenza, devoluta alla cognizione del giudice ordinario in quanto controversia inerente al diritto all’assunzione.
La riserva di giurisdizione amministrativa in materia di procedure concorsuali di cui al richiamato art. 63, 4 comma, del D.lgs. n. 165 del 2001, infatti, non estende la sua applicazione alla fase successiva all’approvazione della graduatoria e, segnatamente, alle controversie in ordine alle pretese di assunzione avanzate in esito allo svolgimento del concorso.
Laddove invece, la pretesa al riconoscimento del suddetto diritto avvenga in conseguenza di indizione di ulteriori e diverse procedure per la copertura dei posti resisi vacanti, poiché la contestazione coinvolge inevitabilmente l’esercizio del potere dell’amministrazione, di conseguenza, si configura di fatto una situazione di interesse legittimo la cui tutela è devoluta al giudice amministrativo.
Dunque, è demandata alla giurisdizione amministrativa la controversia in cui il candidato, partecipante ad un concorso pubblico risultandovi idoneo ma non vincitore, al verificarsi della necessità di coprire un posto relativo alla medesima qualifica, chieda che sia utilizzata la graduatoria di detto concorso in contrapposizione alla decisione dell’Amministrazione di indire un nuovo concorso in luogo dello scorrimento della medesima.
Macro e micro-organizzazione come parametro di riparto di giurisdizione
Tuttavia, chiariscono i giudici del Consiglio di Stato richiamando una sentenza della stessa sezione su analogo caso interessante la medesima selezione, la n. 2545 del 15 marzo 2024, che “l’orientamento cui ha aderito la sentenza impugnata, pur essendo in astratto consolidato e condivisibile, non può trovare applicazione nella fattispecie in esame nella quale, di contro, vengono in rilievo atti di macro-organizzazione, che, secondo un costante indirizzo giurisprudenziale, rientrano nella giurisdizione del giudice amministrativo quando costituiscono, come nel caso di specie, la fonte immediata e diretta della lesione della posizione giuridica soggettiva fatta valere in giudizio”.
Secondo consolidati indirizzi giurisprudenziali, infatti, ai fini del riparto di giurisdizione nelle controversie in materia di pubblico impiego occorre preliminarmente distinguere tra gli atti di macro-organizzazione e quelli di micro-organizzazione. I primi sono quegli atti riguardanti le linee fondamentali di organizzazione degli uffici, i modi di conferimento degli incarichi dirigenziali, nonché le modalità di copertura del fabbisogno di personale che, per loro stessa natura, sono assoggettati a regole e principi pubblicistici; i secondi, invece, sono atti a mezzo dei quali si dispone l’organizzazione dei singoli uffici e pertanto assoggettati alla disciplina privatistica.
Sono pertanto devolute alla cognizione del giudice amministrativo le controversie concernenti gli atti di macro-organizzazione e nei cui confronti, poiché atti presupposti rispetto a quelli di organizzazione e gestione dei singoli rapporti di lavoro, sono in astratto configurabili posizioni di interesse legittimo ben potendo essi produrre immediatamente effetti pregiudizievoli per il dipendente ed essendo del tutto irrilevante, rispetto al riparto di giurisdizione, la loro incidenza riflessa sullo stesso rapporto di lavoro.
Gli atti di micro-organizzazione, invece, poiché idonei ad incidere direttamente ed in via esclusiva sulla concreta gestione del rapporto di lavoro, rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario.
Sul punto, infatti, nella sentenza di cui si discute viene richiamato quanto più volte chiarito dalla Cassazione a Sezioni Unite; coerentemente con i criteri di riparto della giurisdizione per come delineati nella Carta costituzionale, è devoluta al giudice amministrativo “la cognizione delle controversie riguardanti la legittimità degli atti amministrativi di c.d. “macro-organizzazione”, espressione di un potere amministrativo, rientrante nel più ampio potere di auto-organizzazione degli enti pubblici e non riconducibili alla categoria degli atti privatistici di gestione, assunti con la capacità e i poteri del privato datore di lavoro, ai sensi dell’art. 5, comma 2 del citato T.U.P.I.”.
Tale approdo è coerente con il più generale orientamento secondo cui il riparto di giurisdizione tra giudice ordinario e giudice amministrativo “si fonda non già sul petitum formale, ovvero sul tipo di pronuncia giurisdizionale richiesta con l’azione proposta, ma sulla causa petendi o petitum sostanziale, dato dalla consistenza obiettiva, come tale definita dalla legge, della posizione giuridica soggettiva azionata, a prescindere dal tipo di pronuncia necessaria alla sua tutela” (ex multis: Cons. Stato, II, 20 dicembre 2021).
Le conclusioni del Consiglio di Stato sullo scorrimento di graduatoria
Secondo i giudici di Palazzo Spada, in maniera pienamente condivisibile, nella vicenda de qua l’elemento che rileva non è la pretesa del ricorrente nel vedersi riconosciuto il diritto allo scorrimento di per sé, quanto quello di poter nuovamente scegliere tra le sedi messe successivamente a disposizione dei candidati idonei da parte dell’Amministrazione, attraverso atti di macro-organizzazione che, in quanto tali, sono devoluti alla cognizione del giudice amministrativo.
In particolare, aderendo all’interpretazione data dalla Cassazione, lo stesso Consiglio di Stato ribadisce che “la giurisdizione spetta, rispettivamente, al giudice ordinario o al giudice amministrativo, a seconda che:
- a) la controversia concreta involga un atto di mera gestione delle graduatorie, riguardante in via diretta la posizione soggettiva dell’interessato e il suo diritto al collocamento nella giusta posizione nell’ambito della graduatoria (giurisdizione ordinaria);
- b) l’oggetto diretto del giudizio sia l’accertamento della legittimità della stessa regolamentazione generale delle graduatorie, quale adottata con atto […] (giurisdizione amministrativa generale di legittimità)”.
Sostiene in particolare, rispetto alla seconda previsione, che questa possa ritenersi valida ancorché, nella vicenda in argomento, la domanda del ricorrente “non mira all’annullamento integrale dell’atto generale dell’amministrazione, ma intende denunciare l’illegittimità di singole disposizioni del provvedimento a monte rispetto ai riflessi, in termini di illegittimità derivata, che da esse derivano su singoli atti applicativi a valle (nel caso in esame, l’avviso di scorrimento)”.
Nel disporre lo scorrimento della graduatoria del concorso, con conseguente concessione ai candidati collocati in posizione deteriore rispetto al ricorrente di poter scegliere ulteriori sedi ed amministrazioni non rientranti tra quelle originariamente previste nel bando di concorso, infatti, l’Amministrazione ha di fatto adottato un atto di macro–organizzazione. Questo atto ha avuto l’effetto di ampliare la sfera delle destinazioni di servizio dei soggetti utilmente collocati in graduatoria ancorché collocati in posizioni inferiori, pur tuttavia negando la medesima opportunità di poter accedere a tali posti al ricorrente vincitore.
Ne deriva, stanti le condivisibili argomentazioni sin qui richiamate, che la situazione giuridica fatta valere dall’appellante, attesa la contestazione del medesimo in ordine alla natura dei provvedimenti impugnati quali “atti di macro-organizzazione”, ben possa essere qualificata quale interesse legittimo, con la conseguente devoluzione della controversia alla cognizione del giudice amministrativo.
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