Storace: a cinquant'anni dalla morte Sergio Ramelli fa ancora paura
C'è il Giubileo che pure potrebbe offrire un'opportunità, ma tutto lascia pensare che anche il 50mo anniversario dell'assassinio di Sergio Ramelli trascorrerà senza quella pacificazione nazionale con cui porre fine all'odio oltre la morte. Cinquant'anni come fosse ieri... Che anni, quegli anni. Terribili, struggenti, appassionati. Ma insanguinati. E ora, di fronte all'ennesimo ricordo di un giovane ucciso a sprangate a 19 anni – oggi ne avrebbe 69 – viene da pensare che cosa sia stato questo nostro Paese, in quale inferno sia precipitato in quel tempo. Certo, ragazzi assassinati a destra come a sinistra, identica esecrazione da destra ma non da sinistra. Perché quelli erano anche gli anni in cui si gridava che “uccidere un fascista non è reato”. E la buona società annuiva o al massimo faceva spallucce. Eppure Sergio Ramelli, con il suo sacrificio, è ancora oggi – mezzo secolo dopo – emblema di quanti lutti furono provocati nel nome dell'antifascismo militante. Quelle spranghe che lo m
C'è il Giubileo che pure potrebbe offrire un'opportunità, ma tutto lascia pensare che anche il 50mo anniversario dell'assassinio di Sergio Ramelli trascorrerà senza quella pacificazione nazionale con cui porre fine all'odio oltre la morte. Cinquant'anni come fosse ieri... Che anni, quegli anni. Terribili, struggenti, appassionati. Ma insanguinati. E ora, di fronte all'ennesimo ricordo di un giovane ucciso a sprangate a 19 anni – oggi ne avrebbe 69 – viene da pensare che cosa sia stato questo nostro Paese, in quale inferno sia precipitato in quel tempo. Certo, ragazzi assassinati a destra come a sinistra, identica esecrazione da destra ma non da sinistra. Perché quelli erano anche gli anni in cui si gridava che “uccidere un fascista non è reato”. E la buona società annuiva o al massimo faceva spallucce.
Eppure Sergio Ramelli, con il suo sacrificio, è ancora oggi – mezzo secolo dopo – emblema di quanti lutti furono provocati nel nome dell'antifascismo militante. Quelle spranghe che lo mandarono in coma per 47 lunghi giorni in un letto d'ospedale sino al trapasso, furono rievocate da Giorgia Meloni nel discorso d'insediamento alla Camera come neopresidente del Consiglio. E da Ignazio La Russa non appena eletto al vertice del Senato, ricordando anche militanti di sinistra uccisi nella sua Milano, “Fausto e Iaio”. E a Roma, Valerio Verbano di là come Angelo Mancia di qua, in una triste contabilità.
Quel sangue ebbe differenze però, nel ricordo popolare. Proprio perché l'odio consentiva di sentirsi intoccabili, impunibili, quasi eroici, se sotto il piombo e le sprangate si spezzavano vite di persone di destra (un anno dopo, nello stesso giorno in cui Ramelli morì, sempre a Milano veniva assassinato il consigliere provinciale del Msi Enrico Pedenovi). Era la rivendicazione dell'orrore.
Il delitto Ramelli – che oggi viene rievocato da una bellissima lettera aperta che propone di viverlo come esempio da non ripetere mai più, proprio nel nome della pacificazione – colpì la comunità missina in tutta Italia. Anche a Roma il selciato era disseminato di lutti atroci, a partire dal delitto Mattei e dalla strage di Acca Larentia, assieme ad una serie incredibile di omicidi in tutta la Capitale. Ma Ramelli provocò uno scossone enorme.
Anzitutto per la vittima prestabilita da un gruppo di estremisti rossi – individuati e condannati, sia pure a pene non degne dell'omicidio compiuto – perché Sergio Ramelli era visto come «il fascista della zona». A 19 anni. Perché a scuola scriveva temi contro le Brigate Rosse e militava nel Fronte della Gioventù. Vietato per quegli assassini con la spranga in mezzo. Poi, la dinamica dell'agguato, in una decina lo attesero sotto casa, chi colpiva, chi faceva il palo, chi preparava la via di fuga.
A furia di botte gli spaccarono la testa, lasciandolo a terra sanguinante. E ancora, il coma in cui cadde, che caratterizzò ognuno dei 49 giorni in cui i militanti della destra italiana, da ogni città e paese chiedevano notizie sudi lui: «Si riprende?». No, non si riprese, e la notizia della sua morte, la fine della sua agonia, il buio che calò sui suoi occhi, fecero rapidamente il giro di tutta l'Italia missina. Ma furono proibitivi persino i funerali, l'estrema sinistra milanese puntava addirittura ad impedirli, non basta mai, neppure la preghiera...
Sergio Ramelli, martire vero. Ricevette l'onore di una corona dal Presidente della Repubblica – era Sergio Leone – e la sua bara fu portata a spalla dal leader del Msi Giorgio Almirante e Franco Servello, che del partito era vicesegretario nazionale. Colpito a morte il 13 marzo del 1975, Sergio Ramelli spirò il 29 aprile. Ebbene, in questo lungo cinquantennio è stato combattuto persino il rito della commemorazione sul luogo dell'agguato omicida. Tantissimi giovani e meno giovani hanno onorato il suo sacrificio giungendo a Milano da ogni dove e ogni volta sembrava un crimine quel Presente! che richiama alla memoria dei vivi il sacrificio dei morti. Macché, si pretende che sia reato anche quella mano tesa che saluta i Caduti. È la pietà che è morta di fronte al sacrificio a destra.
Ma il vento non ha disperso la memoria di Sergio Ramelli e di tanti, troppi come lui, se ancora oggi ne parliamo e ne scriviamo. Proprio come per i martiri di Acca Larentia, che saranno ricordati martedì prossimo a Roma come ogni anno, nessuno può permettersi di censurare il ricordo che richiama passioni, lotte ideali, mobilitazioni di popolo a nome di chi era etichettato come minoranza negletta.
A suo nome c'è anche un sito, Sergioramelli.it, che dà conto di varie iniziative, con in testa proprio la lettera aperta a cui facevamo riferimento, affinché la sua memoria non sia più vissuta come vittima di una parte, ma assurga a “simbolo di chiunque abbia il coraggio di esprimere liberamente le proprie idee, opponendosi all'omologazione culturale e ai dogmi del politicamente corretto”. Al suo sacrificio sono stati dedicati anche libri, a partire dal primo, “Sergio Ramelli, una storia che fa ancora paura”, e a quello molto più recente di Nicola Rao “Il tempo delle chiavi”.
Ci sono città che cominciano a dedicare luoghi pubblici a suo nome, così come tra marzo e aprile Poste italiane presenterà un francobollo commemorativo nel 50esimo. E la redazione del sito – spicca tra i curatori un nome che simboleggia un'epoca per molti di noi, Guido Giraudo – sta realizzando la grafica per una grande mostra in 25 pannelli che partirà da Milano e potrà essere rilanciata ovunque.
È così importante questa storia, a tanti anni dalla tragedia? In un mondo senza idee, diventa quasi difficile spiegare il valore di quella militanza politica. Con partiti profondamente diversi rispetto ad allora, prevalgono gli umori social – persino di coloro che non si rendono conto della gravità del dileggio rispetto a chi è morto ammazzato per una fede politica – sulle passioni che animavano le comunità di allora. Ecco, bisogna esserci per non dimenticare e con la missione di tenere viva la fiamma della memoria. Che non riguarda solo simboli di partito, ma storia di una comunità nazionale che prima o poi dovrà riconciliarsi con se stessa e con il proprio martirologio.
Anche la sinistra dovrà fare i conti con la propria storia. Proprio perché erano gli anni dell'antifascismo militante, con la spietatezza omicida che lo caratterizzò, spiegare a tutti e non solo a destra chi furono ragazzi come Sergio Ramelli può aiutare verso il percorso – l'obiettivo – di una Nazione finalmente pacificata. E cadranno tutti i tabù che l'hanno caratterizzata, gli uni contro gli altri. Già basterebbe non insultare chi morì per le sue idee. Invece, si continua ancora oggi...
Qual è la vostra reazione?