Un nuovo orizzonte giurisprudenziale: lettura delle chat del coniuge
La recente sentenza della Corte di Cassazione, emessa il 27 gennaio, ha segnato una svolta decisiva nella tutela della privacy, stabilendo che la lettura non autorizzata delle chat del coniuge costituisce reato. In un caso emblematico, un uomo è stato condannato per aver esibito conversazioni private estratte dal cellulare della sua ex moglie, nonostante fosse in possesso del codice di sblocco. I magistrati hanno precisato che “non rileva la circostanza che le chiavi di accesso siano state comunicate in passato se l'accesso avviene contro la volontà del titolare”, ribadendo il principio inalienabile della riservatezza delle comunicazioni personali. A conferma di quanto sostenuto dagli ermellini, l'avvocato Alessandra Cagnazzo, che lavora fra Roma e Milano da 25 anni occupandosi esclusivamente di Diritto di famiglia, di separazioni, conflitti familiari e di minori, ha offerto approfondimenti sulla vicenda. PAROLA ALL'ESPERTA. «La Cassazione, in passato e in più occasioni, adottava un o
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La recente sentenza della Corte di Cassazione, emessa il 27 gennaio, ha segnato una svolta decisiva nella tutela della privacy, stabilendo che la lettura non autorizzata delle chat del coniuge costituisce reato. In un caso emblematico, un uomo è stato condannato per aver esibito conversazioni private estratte dal cellulare della sua ex moglie, nonostante fosse in possesso del codice di sblocco. I magistrati hanno precisato che “non rileva la circostanza che le chiavi di accesso siano state comunicate in passato se l'accesso avviene contro la volontà del titolare”, ribadendo il principio inalienabile della riservatezza delle comunicazioni personali. A conferma di quanto sostenuto dagli ermellini, l'avvocato Alessandra Cagnazzo, che lavora fra Roma e Milano da 25 anni occupandosi esclusivamente di Diritto di famiglia, di separazioni, conflitti familiari e di minori, ha offerto approfondimenti sulla vicenda.
PAROLA ALL'ESPERTA. «La Cassazione, in passato e in più occasioni, adottava un orientamento diverso secondo cui le chat potevano essere utilizzate nei procedimenti di separazione e divorzio per comprovare il tradimento e dimostrare come la vita coniugale fosse divenuta intollerabile. Oggi, tuttavia, il possesso antecedente del codice non autorizza alcun accesso successivo se questo si configura in violazione della volontà del titolare».
In un ulteriore intervento, ha osservato: «La legge dice che si perviene alla separazione quando la vita coniugale è diventata intollerabile. Ai fini della dichiarazione di addebito della separazione nei confronti del coniuge, nel corso del giudizio di separazione, è necessario dimostrare non solo che quest'ultimo ha violato uno o più obblighi familiari (ad esempio: la fedeltà, la coabitazione, l'obbligo di assistenza morale e materiale, per citarne alcuni) ma che quella violazione è stata la causa della crisi familiare stessa. La violazione dell'obbligo di fedeltà è certamente fra quelle violazioni che si riescono a dimostrare con più facilità, essendo sufficiente produrre appunto, nel giudizio, prove documentali (ad esempio: fotografie, messaggistica) dalle quali si evinca l'esistenza di una relazione sentimentale, di un corteggiamento ricambiato, che non necessariamente deve essere approdato all'incontro sessuale perché integri gli estremi di un'infedeltà coniugale. Quando si procede alla prova del tradimento, dunque, la produzione di conversazioni in chat dalle quali si evinca l'esistenza di una relazione extraconiugale è sufficiente per attribuire l'addebito della separazione, con rilevanti conseguenze economiche per il coniuge inadempiente. Nella corposa casistica di tradimenti, portati e discussi nelle aule di tribunale, la produzione e ammissione degli screenshot delle chat prese dal cellulare del coniuge infedele era subordinata al fatto che dette conversazioni non fossero state ottenute in modo illecito, ovverosia, in modo non violento (come può accadere quando si strappi lo smartphone dalle mani del coniuge per apprenderne i contenuti), ovvero quando si utilizzino mezzi illegali come i software spia».
NUOVE PROSPETTIVE. L'avvocato Cagnazzo aggiunge: «Questa recente sentenza ci impone ora di considerare una nuova prospettiva, operando un forte impatto sulla tutela del diritto alla privacy: ogni accesso non autorizzato, per quanto possa essere giustificato da prassi consolidate, rappresenta ora una violazione dell'intimità e della dignità personale. La giurisprudenza deve adeguarsi all'evoluzione tecnologica, garantendo criteri più stringenti nella raccolta delle prove digitali».
Inoltre, sottolinea: «L'ordinamento deve rivedere le modalità con cui vengono raccolte le informazioni nei procedimenti familiari, affinché ogni prova sia ottenuta nel rispetto dei principi etici e legali, evitando che la digitalizzazione diventi pretesto per violazioni inaccettabili».
La sentenza, inserita in un contesto normativo in continua evoluzione, impone un bilanciamento attento tra l'esigenza di accertamento e la tutela dell'autonomia individuale. Essa rappresenta un monito per chi intende utilizzare mezzi digitali a fini probatori senza il necessario consenso, stabilendo che ogni accesso illecito alle comunicazioni private comporta conseguenze legali significative. La decisione, unitamente alle chiare dichiarazioni dell'avvocato Cagnazzo, apre la strada a una riflessione più ampia: «È fondamentale che la giurisprudenza si adatti alle nuove sfide poste dalla digitalizzazione, garantendo che il rispetto dell'intimità non sia mai sacrificato in nome dell'efficienza probatoria». Conclude dicendo: «La sentenza di oggi è un invito a ripensare le modalità di raccolta delle prove nel diritto di famiglia, affinché la tecnologia sia al servizio della giustizia e della protezione dei diritti individuali».
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