Uniqlo non utilizza più il cotone dello Xingjiang. E i netizen cinesi boicottano il brand

Uniqlo è sotto i riflettori da giorni dopo i commenti dell’amministratore delegato della società madre giapponese Fast Retailing, Tadashi Yanai, che ha dichiarato in maniera indiretta di non utilizzare più il cotone proveniente dalla regione cinese dello Xinjiang per le sue collezioni. Come riportato da Reuters il 29 novembre, i netizen cinesi della piattaforma di […]

Uniqlo non utilizza più il cotone dello Xingjiang. E i netizen cinesi boicottano il brand
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Uniqlo è sotto i riflettori da giorni dopo i commenti dell’amministratore delegato della società madre giapponese Fast Retailing, Tadashi Yanai, che ha dichiarato in maniera indiretta di non utilizzare più il cotone proveniente dalla regione cinese dello Xinjiang per le sue collezioni. Come riportato da Reuters il 29 novembre, i netizen cinesi della piattaforma di social media Weibo hanno boicottato Uniqlo, minacciando di non acquistare più i suoi prodotti. La rivolta dei consumatori cinesi ha avuto una rilevanza mediatica importante poiché si tratta del mercato estero più grande in termini di valore economico per Fast Retailing, che con la Cina continentale, Taiwan e Hong Kong rappresentano più di un quinto delle sue entrate, pari a circa 21 miliardi di dollari nel 2023, e dove risiedono oltre mille store Uniqlo.

Tuttavia, Yanai e l’intera Fast Retailing hanno chiarito che la questione dell’approvvigionamento dallo Xinjiang è divenuta per loro non etica e in linea con i valori del gruppo, dopo che il Governo degli Stati Uniti ha accusato la Cina di abusi contro la popolazione uigura, minoranza musulmana che abita proprio nello Xinjiang e che lavora in condizioni non rispettose o conformi nelle aziende che producono il cotone. Pechino, dal canto suo, nega qualsiasi abuso dei lavoratori nella regione, da cui proviene la maggior parte del cotone prodotto in Cina.

Nel 2021 H&M ha dovuto affrontare il medesimo boicottaggio dei consumatori in Cina per una dichiarazione sul suo sito web che esprimeva preoccupazione per le accuse di lavoro forzato nello Xinjiang e affermava che non si sarebbe più rifornita di cotone da lì. Lo stesso era accaduto prima anche a Tommy Hilfiger e Calvin Klein, e nel 2022 ad Adidas.

“È troppo presto per dire se ci sarà un danno duraturo, ma perdere anche solo un piccolo numero di consumatori non sarà d’aiuto, considerando quanto sia difficile la situazione per l’industria dell’abbigliamento in questo momento”, ha dichiarato a Reuters Ben Cavender, amministratore delegato di China Market Research Group, con sede a Shanghai.

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