Vallone: la prima della Scala tra pistole, duelli, zingare e accattoni. Verdi e la sua Forza del destino
L a Forza del Manzoni. Grazie a lui, Verdi che era ateo, cambiò il finale, salvando la vita al protagonista, in cambio della sua anima resa a Dio. In Don Alvaro, ò la fuerza del sino, l'opera del drammaturgo spagnolo Angel de Saavedra da cui è tratta, di morti ce ne erano già abbastanza. E c'è chi intravede nel melodramma anche il riflesso misericordioso del romanzo dello scrittore milanese, I Promessi sposi con la sua umanità, vittima della tirannia e della sorte. «La Forza del destino è uno zibaldone», spiega Riccardo Chailly che la dirigerà questa sera. Colpi di pistola, inseguimenti e duelli, palazzi e accampamenti di soldati, zingare e mendicanti, osterie e conventi. Un caleidoscopio di vicende che il Bussetano riuscì incredibilmente a trasformare in un'opera lirica». Lo stesso Francesco Maria Piave trascorse due mesi a villa sant'Agata prima di riuscire a dare unità al libretto che, dopo la sua malattia, passò nelle mani del Ghislanzoni. A complicarne il lavoro anche la richie
L a Forza del Manzoni. Grazie a lui, Verdi che era ateo, cambiò il finale, salvando la vita al protagonista, in cambio della sua anima resa a Dio. In Don Alvaro, ò la fuerza del sino, l'opera del drammaturgo spagnolo Angel de Saavedra da cui è tratta, di morti ce ne erano già abbastanza. E c'è chi intravede nel melodramma anche il riflesso misericordioso del romanzo dello scrittore milanese, I Promessi sposi con la sua umanità, vittima della tirannia e della sorte.
«La Forza del destino è uno zibaldone», spiega Riccardo Chailly che la dirigerà questa sera. Colpi di pistola, inseguimenti e duelli, palazzi e accampamenti di soldati, zingare e mendicanti, osterie e conventi. Un caleidoscopio di vicende che il Bussetano riuscì incredibilmente a trasformare in un'opera lirica».
Lo stesso Francesco Maria Piave trascorse due mesi a villa sant'Agata prima di riuscire a dare unità al libretto che, dopo la sua malattia, passò nelle mani del Ghislanzoni. A complicarne il lavoro anche la richiesta di incastonarci una scena tratta da un dramma di Schiller, un altro dei suoi amori letterari. Dopo due anni di inattività, l'impulso creativo di Giuseppe Verdi salì alle stelle, grazie anche al fiume di rubli che dal Teatro Imperiale di San Pietroburgo arrivarono fino alle campagne piacentine.
Non solo. Per assistere alle prove in Russia, Verdi e la Strepponi furono omaggiati di pellicce, colbacchi e un appartamento ben riscaldato, un lusso per l'epoca. Debuttò in prima assoluta il 10 novembre del 1862. Dopo alcune recite all'Apollonio di Roma (1863), venne riscritta appositamente per la Scala dove andò in scena con grande successo il 27 febbraio del 1869. Il pubblico applaudì l'opera ma soprattutto il ritorno di Verdi dopo ben ventiquattro anni nella città che gli aveva regalato la fama.
«La Forza del destino segna la riconciliazione col teatro milanese da cui si era allontanato bruscamente dopo il flop di Giovanna d'Arco nel 1845» spiega il direttore musicale scaligero. Nella Forza i destini s'incrociano di continuo, dentro e fuori dall'opera. Ci sono voluti quasi sessant'anni per farla tornare ad inaugurare la stagione, da quando Gianandrea Gavazzeni salì sul podio nell'allestimento di Margherita Wallmann.
Celebre nel '78 quello con le scene di Renato Guttuso e Monserrat Caballè, il più recente con la bacchetta di Riccardo Muti, venticinque anni fa. Troppi per un'opera complessa, ma molto amata dal pubblico. Ora tocca a Chailly dirigere. «L'ho eseguita spesso in forma di concerto. La Sinfonia è mia compagna di viaggio da ormai mezzo secolo nel mondo, ma non ho mai eseguito l'opera integrale». Il cast è stellare dal soprano russo Anna Netrebko (Leonora), il tenore californiano Brian Jadge (Don Alvaro), il baritono francese Ludovic Tézier (Don Carlo), il mezzosoprano Vasilisa Berzhanskaya (Preziosilla), il basso Alexander Vinogradov (Padre Guardiano), il baritono siciliano Marco Filippo Romano (Fra Melitone). Tre e ore e 47 minuti di musica dove il coro, diretto da Alberto Malazzi, è il grande protagonista, lo si sente cantare anche in lontananza, dietro le quinte.
Ascolteremo l'edizione critica integrale di Casa Ricordi (2005) firmata da Philip Gosset e William Holmes, che restituisce alla partitura, ripulita dagli errori a stampa ottocentesca, la sua originaria bellezza. Pezzi memorabili? «Prima di tutto, la Sinfonia (verrà eseguita a sipario chiuso) che sostituisce il preludio originario. La chiusa del secondo atto La Vergine degli angeli, un pezzo la cui altezza musicale è talmente commovente da richiamare i grandi momenti di preghiera collettiva di Nabucco e Lombardi».
Dall'estasi spirituale al dramma umano, nell'altalena sul pentagramma di un'opera che sa toccare gli animi. «Nel terzo atto, le romanze di Alvaro O tu che in seno agli angeli, dominata dall'assolo del clarinetto, e di Don Carlo Urna fatale, accendono una grande tensione». Con la celebre aria di Leonora Pace, mio Dio, canto celestiale accompagnato dall'arpa e al pizzicato degli archi, si torna alla tragedia, pronta a stemperarsi ancora una volta nella leggerezza del duetto tra il Padre Guardiano e Fra Melitone Del mondo i disinganni. Un duetto tragicomico tra l'assoluta serietà spirituale del primo e la cialtroneria del secondo, che ricorda un po' Don Abbondio. «Già rodato in Un ballo in maschera, il registro comico ritorna qui come in Falstaff» precisa Chailly. Per Verdi questi personaggi non sono affatto minori, come la zingara Preziosilla che scopre sotto gli abiti da studente il nobile Don Carlo a caccia dell'omicida del padre, Don Alvaro.
L'opera si conclude con Non imprecare, umiliati, intreccio delle voci e clarinetto basso, dalla melodia cupa, sinistra. «Verdi approda con questo terzetto a un finale rarefatto, anticipando quello dell'Aida. Un tremolo di archi, qualche nota d'arpa, i pizzicati di violoncelli e contrabbassi, raddoppiati dal timpano e dalla gran cassa in pianissimo. Un finale di una morbidezza e di una leggerezza che porta alla commozione» conclude Chailly.
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