Volontari con disabilità? Si può fare
Dopo anziani e migranti terza e ultima tappa del nostro viaggio nel volontariato che non ti asprtti. Questa volta i protagonisti sono Lorenzo, Michele e Luana. Con loro scopriamo nuove modalità dell'aiuto agli altri L'articolo Volontari con disabilità? Si può fare proviene da Vita.it.

Nel volontariato, la disabilità non è un ostacolo: anzi, può aiutare a superarli e a scoprire il valore di ciò che si fa e di ciò che si può fare. Lorenzo, Michele e Luana ne sono tre prove viventi.
«Ho iniziato a fare volontariato per Telethon qualche anno fa. È importante per me aiutare la ricerca e dare una mano alle persone che ne hanno bisogno». Lorenzo Di Napoli ha 22 anni e, come dice con orgoglio, «faccio parte della grande famiglia Anffas da tanto tempo. Ho iniziato a fare riabilitazione quando ero piccolo e ora frequento il centro diurno. Ho una disabilità intellettiva, ma questo non mi impedisce di fare le cose che amo. Mi piace fare teatro, aiutare come volontario sia nella Protezione Civile che per Telethon e, insieme ai miei amici autorappresentanti, ci impegniamo per migliorare la nostra vita e quella degli altri».
L’autorappresentazione, scommessa per l’autonomia
All’interno di Anffas, una delle associazioni storiche che si occupano di favorire e sostenere la partecipazione e l’autonomia delle persone con disabilità intellettiva, proprio l’autorappresentazione è una delle principali scommesse: il diritto di parlare di sé, dei propri bisogni ma soprattutto dei propri desideri e delle proprie capacità è il primo passo fondamentale verso l’autonomia.
E così Lorenzo Di Napoli parla di sé e del proprio impegno come volontario: «Con Telethon ho imparato tante cose sulla ricerca. Ho fatto videochiamate con persone che ci hanno spiegato come possiamo aiutare, ho partecipato a campagne pubblicitarie per far conoscere Telethon e ho venduto prodotti per raccogliere soldi. Ogni anno partecipo alle campagne Telethon insieme al gruppo degli autorappresentanti. Penso di essere un buon volontario, perché mi piace aiutare le persone in difficoltà. Sono una persona tranquilla e questo mi aiuta. Mi sento utile e lo consiglio a tutti: fare volontariato è importante e ti fa vivere una bella esperienza. La mia disabilità? No, non è un ostacolo».
Michele, un incarico da consigliere in associazione
Michele Comai (nella foto) ha 26 anni e vive a Trento. Il 17 aprile scorso è stato nominato consigliere all’interno della sezione di Trento dell’Aipd, l’associazione che frequenta da quando era piccolo. «Ho partecipato alle attività di gestione del tempo libero» racconta, «ai percorsi di autonomia, al percorso sull’affettività e al percorso “Quasi Amici” che propone escursioni in montagna». Oggi Michele sta imparando a vivere da solo, grazie ai percorsi di educazione all’autonomia dell’associazione.

«Ma nei weekend vado dai miei genitori. Ho anche un lavoro, in un magazzino che rifornisce gli ospedali. Sono contentissimo di essere diventato consigliere della mia associazione, perché mi piace stare a contatto con persone più giovani di me e aiutarle, facendo questo incarico. Mi piacerebbe di essere propositivo e parlare con i ragazzi. Vorrei anche scambiare qualche consiglio con i genitori dei ragazzi».
Luana, quella “di prima” e quella “di dopo”
Luana Cimmino ha 48 anni e vive a Sarzana, in Liguria: è la prova vivente di quanto il volontariato non conosca barriere. «A volte mi sembra di guardarmi allo specchio, mentre sono accanto a un paziente. Non è facile vedere chi sta vivendo ciò che ho passato, è un po’ rivivere un dolore che non è mai finito. Ma la voglia di stare vicino a quella persona e di poterle offrire sollievo e speranza supera il dolore. E fa bene anche a me».
Racconta la sua storia e a volte s’interrompe, come per riprendere fiato, per farsi coraggio: «Fino a poco tempo fa non riuscivo a parlarne con nessuno, oggi riesco a parlarne anche con te. Questi primi due mesi di volontariato mi hanno aiutato moltissimo ad aprirmi. Apprezzo la Luana di oggi molto più di quella di prima».
Quando la vita cambia
La “Luana di prima” era una grande sportiva. La sua passione era il cavallo, spesso gareggiava. Fu durante una competizione che la sua vita cambiò e prese una direzione che mai avrebbe immaginato: «È successo durante una gara con i vitelli: ho sbattuto la mia testa contro quella della cavalla. Un colpo fortissimo, quando sono caduta ero già in coma».
E in coma è rimasta per tre mesi Luana, che di quel periodo conserva ricordi drammatici: «Dopo i primi giorni, io riuscivo a sentire, mi accorgevo di essere in ospedale, ma non capivo perché e non riuscivo a comunicare. Battevo le gambe sul letto per dire “Ci sono!”, ma i medici pensavano fosse un riflesso involontario. Mi sono svegliata con un’emiparesi a destra, praticamente ero bloccata. Ma ancora non capivo: quando mi hanno dimessa dall’ospedale, pensavo che il medico mi avrebbe detto come curarmi per guarire. Invece il neurologo mi ha annunciato che sarei rimasta disabile per sempre. Così sono entrata, a quasi 50 anni, in un mondo sconosciuto, in cui mi sarei persa, se non fossi entrata nella struttura riabilitativa della Fondazione Don Gnocchi, a La Spezia, dove ho trovato una vera e propria famiglia»
Qui Luana è rimasta tre mesi ricoverata, dal 5 dicembre al 19 marzo. 1Non mi hanno mai lasciata sola, erano incredibili: quando mi hanno dimesso sono scoppiata a piangere, perché lì mi sentivo a casa». Quel legame però non si è mai spezzato, anzi: negli anni, si è rafforzato. E non solo per ragioni terapeutiche.
«All’indizio andavo tre volte a settimana, per la fisioterapia: so che dovrò farla per sempre, perché se mi fermo torno indietro e perdo tutto quello che ho conquistato. Il primo anno è stato intenso, il medico mi ha detto che tutto il recupero avviene nei primi 12 mesi. Così quindi mi sono messa sotto, perché sentivo come un orologio che mi ticchettava nella testa: ogni giorno che passava era un giorno in meno a disposizione. Ho anche ripreso a guidare, ho la patente e sono autonoma negli spostamenti. Oggi vado alla Fondazione una volta a settimana, il lunedì: da due mesi circa, arrivo qualche ora prima della fisioterapia, per offrire un po’ del mio tempo a chi vuole parlare».
Una testimonianza che aiuta
Tutto è iniziato quando dalla Fondazione l’hanno invitata a portare la propria testimonianza in un gruppo di pazienti e familiari. «Quando ho visto come i pazienti reagivano al mio racconto, ho capito quanto fosse importante che io fossi lì: sembrava che avessi dato la parola ai pazienti, anche a quelli che ancora dovevano ritrovarla. Mi sono resa conto di quanto avessero bisogno di ascoltare e di parlare: un bisogno che era stato anche mio. Perché con i parenti non è facile parlare, c’è la dimensione affettiva che rende tutto più complicato. Con i dottori anche è complicato: li vedi come dottori, appunto, non riesci a parlare apertamente. Ma con una persona che ha vissuto la tua stessa esperienza ed è ripartita da zero, riesci ad aprirti: senti che ti capisce, che conosce le tue necessità, che può darti un buon consiglio. Io conosco il loro dolore e lo porto ancora addosso, ma rispetto a loro ho avuto il tempo e il modo di acquistare consapevolezza».
Certo non è facile, Luana lo ammette: «È un colpo tutte le volte che vedo una persona nelle condizioni in cui ero io, magari uscita da poco dal coma, o con un’emiparesi. Ma la voglia di starle vicino e provare ad aiutarla supera il mio dolore e mi fa stare lì»
Così, ogni lunedì mattina, Luana manda un messaggio a una volontaria, «per chiedere se c’è qualcuno dei pazienti che ha voglia di parlare: e c’è quasi sempre qualcuno che ne ha voglia. Allora vado lì, prima della fisioterapia, mi accompagnano nella stanza del paziente e chiacchieriamo, per mezz’ora, quaranta minuti. Qualcuno mi chiede dell’incidente, qualcuno invece vuole solo sfogarsi, altri ancora preferiscono parlare del più o del meno, o mi chiedono un consiglio su come fare un movimento. A me tutto questo fa un gran bene: mi abituo sempre più a parlare di ciò che è stato e di ciò che sono. E poi vedere una persona nel letto che sorride è una sensazione bellissima».
Ogni cosa è una conquista
Oggi piove, Luana è a casa, ha appena finito di lavorare: «Ho ripreso il mio lavoro di impiegata, dopo l’incidente, solo che ora lavoro sempre da remoto. Mi alzo alle 6 per iniziare alle 8.30, prepararmi è lungo e complicato. Non c’è dubbio che questa vita sia più faticosa di quella di prima. Ma apprezzo più la Luana di adesso rispetto a quella di prima: quella di prima faceva tante cose, ma aveva perso un po’ il gusto, faceva tutto meccanicamente: ora ogni cosa è una conquista, riprendere a guidare è stata una grandissima emozione. La Luana di prima non avrebbe fatto volontariato e non avrebbe mai saputo quanto fosse bello farlo: non perché non avesse un cuore o fosse cattiva, ma perché aveva mille cose da fare e non sentiva questa necessità».
Il volontariato? Una necessità
Oggi per lei il volontariato «è proprio una necessità: la Luana di adesso fa volontariato perché è felice quando riesce ad aiutare gli altri, con tutti i suoi limiti e le sue difficoltà. Io consiglio a tutti di provare, soprattutto a chi ha una disabilità: so che non è facile, non tutti accettano la propria condizione, ma posso assicurare che stare accanto a chi vive la stessa esperienza, aiuta tanto a ritrovare se stessi e il proprio posto nel mondo».
Nell’immagine Lorenzo Di Napoli con un amico durante una gita, foto Anffas – le immagini di Luana sono state fornite da lei stessa
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